La guerra in Ucraina ha fornito un nuovo impulso all’impiego delle orbite spaziali quale teatro attraverso cui condurre operazioni belliche sul dominio terrestre. L’ingresso delle corporations private nei conflitti apre a nuovi scenari per i governi che tradizionalmente possiedono il monopolio dei satelliti a scopi civili e militari. Le guerre del futuro si combatteranno nello spazio?
Articolo pubblicato sul numero Ucraina, un anno dopo
La tecnologia spaziale al servizio di Kyiv
“La guerra tra Russia e Ucraina è il primo grande conflitto in cui entrambe le parti hanno fatto affidamento sulle capacità spaziali. E non sarà l’ultimo”. Si apre in questi termini il lungo articolo apparso sul Financial Times lo scorso novembre a firma Anders Fogh Rasmussen, ex segretario generale della NATO e membro del gruppo consultivo dell’Agenzia Spaziale Europea sull’esplorazione umana e robotica dello spazio.[1] Mai come nel teatro ucraino, di fatto, le tecnologie spaziali sono divenute una componente essenziale per l’esecuzione stessa delle operazioni militari, tanto a livello comunicativo quanto di intelligence. Già nei mesi precedenti all’operazione militare speciale russa, i sistemi di spionaggio via satellite e le immagini GPS raccolte da compagnie private con sede negli Stati Uniti furono in grado di mostrare ammassamenti sospetti di truppe russe al confine con l’Ucraina, segnale di un’imminente invasione del Paese poi concretizzatasi lo scorso 24 febbraio 2022. Proprio in quell’occasione, già intorno alle 3:15 del mattino si registrava un andirivieni di notizie a seguito della pubblicazione su Google Maps delle immagini di una congestione di mezzi militari russi sulla via che collega Belgorod all’Ucraina, monitorata quasi in tempo reale dai servizi di intelligence occidentali e dallo stesso governo di Kyiv attraverso le risorse di sorveglianza e ricognizione prontamente messe a disposizione da fornitori commerciali statunitensi ed europei. A prescindere dagli ingenti aiuti finanziari e militari prontamente concessi dai governi dei Paesi NATO (Stati Uniti e Unione Europea in primis), è dunque nell’ambito della comunicazione satellitare e dei servizi spaziali forniti da società private che si registrano i maggiori successi nel sostegno concreto dell’Ucraina, al fine di garantirne la sopravvivenza sia sul campo di battaglia, sia nella guerra dell’informazione nei confronti dell’opinione pubblica. A questo proposito, è Starlink – il sistema di comunicazione satellitare di Space X, una delle aziende di proprietà del miliardario Elon Musk – ad aver fornito il maggior vantaggio tattico-strategico ai decisori politici e militari ucraini, che grazie ad un sistema di satelliti posizionati nell’orbita bassa della Terra e terminali installati in territorio ucraino hanno permesso e continuano attualmente a permettere tanto lo scambio di informazioni militari nei differenti teatri di combattimento, quanto le comunicazioni del Presidente Volodimir Zelens’kyj alla nazione, nonché le sue apparizioni al Parlamento Europeo e i costanti post sui social media a sostegno della causa ucraina. L’intervento di Elon Musk ha fatto seguito ad un tweet del Vice-premier e Ministro della Trasformazione Digitale Mykhailo Fedorov, che due giorni dopo l’attacco russo ha chiesto espressamente l’invio di stazioni Starlink per contrastare gli attacchi russi ai sistemi di comunicazione via cavo, facili obiettivi militari attraverso cui passa il 90% della comunicazione. In concomitanza con la fornitura dei sistemi di comunicazione e il posizionamento in orbita dei satelliti di Musk, non è tardata ad arrivare la presa di distanza degli Stati Uniti dalle azioni poste in essere da Space X, che – come esplicitato in una conferenza stampa dal portavoce del Pentagono John Kirby – non ha previsto alcun coinvolgimento diretto dell’esercito statunitense.[2] Se può apparire sorprendente la modalità attraverso cui è giunta la richiesta dei modem satellitari a Space X – come sottolineato, si tratta di un tweet e non di una richiesta formale proveniente dal Governo né dal Ministero di cui Fedorov è a capo -, ancor più ragguardevole è la trasformazione che, in pochi mesi di guerra, ha provocato Starlink nelle modalità di comunicazione ed esecuzione delle operazioni belliche nei conflitti.[3] Musk ha de facto geograficamente spostato la comunicazione tattica dalla Terra alle orbite, concentrando nelle mani di corporations private – o “gigacapitalisti” – satelliti e sistemi spaziali tradizionalmente in mano a governi e Forze armate. Non solo la sicurezza delle comunicazioni di backup segnerà la vita di qualunque impegno militare moderno, bensì sarà il contributo dei capitalisti privati come Elon Musk a fornire un vantaggio tattico agli Eserciti in guerra attraverso la vendita agli stessi governi belligeranti di sistemi di comunicazione e immagini satellitari scattate grazie a satelliti estremamente performanti e paragonabili a quelli di cui dispongono gli apparati militari, segnando una cesura non di poco conto con il passato.
La deterrenza spaziale russa
Se a livello operativo i belligeranti hanno fatto ricorso alla tecnologia spaziale e ai sistemi di comunicazione satellitare di Starlink solo a seguito dello scoppio della guerra, non sono mancate azioni di deterrenza nello spazio e attacchi cibernetici ai sistemi satellitari occidentali da parte della Federazione Russa già sul finire del 2021. Nel mese di novembre, il Ministero della Difesa russo ha effettuato un lancio missilistico volto ad abbattere un satellite fuori uso di epoca sovietica, il Kosmos 1408,[4] sollevando forti proteste internazionali per la nube di oltre 1000 detriti disseminati nell’orbita bassa della Terra. La distruzione del Kosmos 1408, inequivocabilmente interpretata come atto di deterrenza militare, ha messo in allerta tutto il sistema di sicurezza e il dipartimento tecnico di Starlink, che per mesi ha dovuto effettuare continue manovre al fine di evitare una possibile collisione dei satelliti con i detriti spaziali, consumando così una notevole quantità di propellente necessario al loro mantenimento in orbita e, di conseguenza, riducendo inevitabilmente la qualità dei servizi offerti dalla compagnia. La Federazione Russa, già intenzionata a vietare i satelliti di Elon Musk per questioni di sicurezza nazionale su tutto il proprio territorio, si è poi dovuta difendere dalle accuse internazionali secondo cui i rottami del Kosmos 1408 abbiano messo in grave pericolo la Stazione Spaziale Internazionale, ai cui astronauti è stato prontamente richiesto di effettuare le procedure di emergenza rifugiandosi nelle astronavi Sojuz e Crew Dragon in partenza per la Terra nel caso in cui si fosse verificato l’impatto.[5]
Se prima del conflitto in Ucraina le superpotenze si limitavano a colpire i satelliti rivali attraverso attacchi cibernetici, interferenze e segnali elettromagnetici di disturbo (il cosiddetto “jamming”) – come avvenuto poco prima dell’invasione russa con l’attacco hacker al satellite geostazionario Ka-Sat della compagnia statunitense Viasat,[6] che trasmetteva in Europa affittando numerosi canali di trasmissione all’Ucraina -, la sempre più complessa rete di satelliti nelle orbite basse e l’inefficacia delle operazioni cibernetiche sembrano spingere nella direzione di una disabilitazione (o, addirittura un completo abbattimento) dei satelliti stessi, con conseguenze straordinariamente pericolose anche per i rapporti di forza che intercorrono tra la compagnia privata di Musk, gli Stati Uniti e i governi nazionali che possiedono satelliti in orbita per scopi militari.
La minaccia nucleare nello spazio
Tra il 1996 e il 1999, due colonnelli dell’aeronautica cinese – Quiao Liang e Wang Xiangsui – diedero alle stampe “Guerra senza limiti”, un volume in cui, muovendo dall’analisi della guerra del Golfo, passarono in esame i cambiamenti che hanno interessato i conflitti “negli strumenti, nella tecnologia, nelle modalità e nelle forme”.[7] A mettere in discussione i modelli tradizionali e la stessa logica bellica sarebbero le nuove dimensioni in cui si combattono le guerre tradizionali – il dominio cyber e lo spazio primi tra tutti. In quest’ottica, non fa eccezione il conflitto in Ucraina, in cui l’impiego delle nuove tecnologie spaziali durante le operazioni militari a non più esclusivo appannaggio delle Forze armate mantiene alto il rischio di un’estensione della guerra anche al cosmo. È quanto è rischiato di accadere durante una delle finestre di maggiore tensione del conflitto, a seguito delle dichiarazioni del presidente russo Vladimir Putin di essere pronto ad impiegare l’arma nucleare per difendere la sicurezza nazionale della Russia. A tal proposito, non è da escludere la possibilità che siano proprio le orbite basse terrestri uno dei teatri plausibili in cui potrebbe eventualmente avvenire la detonazione di un ordigno nucleare,[8] con conseguenze limitate in termini di perdite di vite umane, ma disastrose per via dell’affollamento di tale fascia orbitale. Di fatto, è a quelle altitudini (tra i 540 e i 570 chilometri) che viaggiano la maggior parte dei satelliti in orbita, compresi i Satelliti Starlink di Elon Musk – indispensabili alle comunicazioni del fronte ucraino. Al contempo, nel caso in cui si manifestasse lo scenario descritto, l’impulso elettromagnetico scatenato dalla detonazione nucleare causerebbe altresì un’interruzione istantanea di tutti i segnali radio.[9] Il lancio di ordigni nucleari nello spazio non è una prerogativa del ventunesimo secolo, poiché già nei primi anni della Guerra Fredda entrambe le superpotenze hanno condotto esperimenti di questo tipo in orbita. É il caso, ad esempio, di Starfish Prime, un test nucleare che ha visto impiegati la Commissione per l’Energia Atomica e l’Agenzia Militare per la Difesa Atomica degli Stati Uniti il 9 luglio 1962, all’interno della più ampia Operazione Fishbowl.[10] Secondo i report dell’Intelligence Britannica pubblicati dalla BBC dopo essere stati desecretati quasi un cinquantennio dopo,[11] l’esplosione nucleare a 400 chilometri di distanza dall’Oceano Pacifico (pari a 1,4 megatoni in confronto ai 15 chilotoni della bomba sganciata su Hiroshima) ha avuto ripercussioni fino alle Hawaii, situate ad oltre mille chilometri di distanza, causando l’interruzione delle forniture di elettricità. Allo stesso tempo, il test statunitense è stato ritenuto responsabile della messa fuori uso di Ariel 1, il primo satellite artificiale del Regno Unito lanciato in orbita nello stesso anno. Dal canto suo, nello stesso arco temporale l’Unione Sovietica effettuò oltre 31 esperimenti nucleari nello spazio fino all’esplosione della “Bomba dello Zar” da 50 megatoni nel 1961, detonata a 4.000 metri sopra il Circolo Polare Artico. Con la progressiva distensione delle relazioni tra i due poli ideologici e il successo delle negoziazioni in ambito di disarmo nucleare, dagli anni 70 non si sono più verificati simili esperimenti nello spazio, anche in virtù dell’entrata in vigore, nel 1967, del Trattato sui Principi che Governano le Attività degli Stati in Materia di Esplorazione ed Utilizzazione dello Spazio Extra-atmosferico, compresa la Luna e gli altri Corpi Celesti – meglio noto come Outer Space Treaty (OST).[12] Di fatto, ai sensi del trattato è vietato qualsiasi dispiegamento di armi nucleari nonché qualsiasi altro tipo di arma di distruzione di massa nello spazio, con l’obiettivo più ampio del libero accesso, uso ed esplorazione dello spazio a soli scopi pacifici. Ciononostante, l’eventuale detonazione dell’arma nucleare nell’orbita bassa della Terra nella cornice del conflitto russo-ucraino aprirebbe a nuovi scenari anche dal punto di vista giuridico, in quanto si caratterizzerebbe come atto offensivo e di deterrenza senza tuttavia essere diretto nei confronti di alcuna nazione specifica in conformità del divieto di rivendicazioni di sovranità delle orbite, dello spazio extra-atmosferico e dei corpi celesti da parte dei singoli Stati.
Spazio e guerra: dai mari alle orbite
Per gli allievi che hanno frequentato lo US Naval War College durante gli ultimi decenni del Diciannovesimo secolo non era inusuale apprendere come la capacità di controllare le rotte commerciali attraverso i mari e, al contempo, godere di una posizione geografica tale da permettere il controllo delle proprie coste fossero caratteristiche fondamentali per ottenere un vantaggio strategico sugli avversari. Tali presupposti furono l’oggetto delle lezioni impartite dall’ammiraglio Alfred Thayer Mahan, poi confluite nello studio “The influence of Sea Power upon history” in cui fu in grado di dimostrare che nessuno Stato può avvalersi del titolo di grande potenza qualora non riesca a comandare sui mari e sulle proprie coste.[13] Una lezione che gli americani compresero cinquant’anni dopo, quando nel contesto della seconda guerra mondiale la Marina imperiale giapponese colpì le installazioni militari statunitensi sull’isola di Oahu, nell’arcipelago delle Hawaii. L’attacco di Pearl Harbor – poi definito il “day of infamy” dal presidente Roosevelt durante il suo discorso alla nazione – fu uno spartiacque nella storia militare contemporanea per via dei cambiamenti alle regole stesse della guerra e soprattutto delle dinamiche aria-mare. Se entrambe le potenze belligeranti possedevano portaerei, non era lo stesso il livello di accuratezza tecnologica, né tantomeno l’importanza che statunitensi e giapponesi attribuivano a tali strumenti. Aggiunta alla guerra di superficie per i primi e alternativa per i secondi, le forze nipponiche furono in grado di portare una profonda innovazione al combattimento sfruttando il vantaggio degli aerei sulle navi ed elaborando tattiche militari attorno alle portaerei. Benché a livello operativo le azioni nipponiche conseguirono la quasi distruzione della flotta statunitense nel Pacifico, a livello strategico gli statunitensi sottovalutarono in larga misura le potenzialità di condurre una guerra tramite portaerei. Il risultato fu dunque l’abbandono della nave da guerra come strumento chiave per il controllo dei mari, affidando quest’ultimo compito al comando aereo. Dall’aria allo spazio, il passo fu breve: proteggere il continente nordamericano dallo spazio divenne una priorità per le successive Amministrazioni americane tanto quanto per l’Unione sovietica, che durante i primi anni della Guerra Fredda si dedicò alla costruzione di una forza missilistica anche attraverso il lancio del primo satellite artificiale, lo Sputnik I, nell’orbita bassa della Terra. Se la Mutua Distruzione Assicurata (MAD) prevenne la guerra nucleare, altrettanto importante fu l’esplorazione dello spazio per sorvegliare le capacità degli avversari, controllare gli oceani e individuare potenziali missili attraverso satelliti spia capaci di osservare basi militari antagoniste. Una prospettiva “dall’alto verso il basso” a cui non è stata sottratta nemmeno la guerra in Ucraina, e prima ancora l’operazione Desert Storm in Iraq, in cui l’impiego di armi di precisione (cosiddette precision-guided munitions) ha nuovamente alterato la struttura della guerra grazie al coinvolgimento della dimensione spaziale. Ben oltre la sfera tecnologica, tali munizioni necessitarono infatti di informazioni di intelligence che non potevano più essere fornite dai sistemi tradizionali, spostando il baricentro dei conflitti nello spazio – indispensabile per condurre una guerra impiegando la missilistica di precisione.
Il futuro delle guerre spaziali
“L’umanità sta andando nello spazio per fare la guerra in modo più efficiente”, scrisse il politologo George Friedman su Geopolitical Futures alla fine del 2021.[14] Solo due anni prima gli Stati Uniti hanno istituito la Space Force e riattivato lo Space Command (in pausa dal 2002), rispettivamente una burocrazia politica e un comando combattente con sede in Colorado, ben lontano dai centri decisionali di Washington.[15] Un chiaro segno di come lo spazio abbia assunto negli anni una forte connotazione strategica, tanto che nel 2018 anche i leader dei Paesi NATO hanno preso atto del rapido processo di evoluzione che sta interessando l’ambiente spaziale anche dal punto di vista militare e, successivamente in occasione dell’adozione della Space Policy a Bruxelles, hanno riconosciuto lo spazio quale quinto dominio operativo dell’Alleanza dopo terra, mare, aria e cyber.[16] Se le guerre del futuro non si combatteranno necessariamente nello spazio, come già avvenuto in passato è ragionevole pensare che si rafforzerà l’uso del dominio spaziale attraverso azioni di deterrenza nei confronti delle reti di spionaggio e intelligence avversarie tramite l’impiego di missili, sistemi antisatellite e, – non è da escludere – armi a propulsione nucleare, capaci di mettere fuori uso i satelliti che continuano a proliferare nelle orbite basse della Terra. Tale scenario potrebbe manifestarsi anche in virtù della moltiplicazione delle potenze spaziali, non più limitate a Stati Uniti e Federazione Russa come in epoca di confronto bipolare, bensì con l’avvento della presenza cinese – approdata in uno degli strategici “Punti di Lagrange”, in cui i veicoli spaziali rimangono stazionari, e sulla faccia nascosta della Luna – e di una serie di medie potenze regionali i cui programmi spaziali risultano estremamente promettenti. In questo senso, dunque, si può leggere anche il rilancio del programma lunare Artemis degli USA: con una forte valenza civile e scientifica, ma con un substrato militare particolarmente evidente.
Note
[1] Anders Fogh Rasmussen, Ukraine shows how space is now central to warfare, Financial Times, 21 novembre 2022.
[2] US Department of Defense, Pentagon Press Secretary John F. Kirby Holds a Press Briefing, Transcript, 2 marzo 2022.
[3] Marcello Spagnulo, L’invisibile battaglia spaziale nella guerra d’Ucraina. In: Limes 7/2022, La guerra Grande, pp. 221-226.
[4] NASA, Russia tests anti-satellite missile, debris disrupts International Space Station, 15 novembre 2012.
[5] Marcello Spagnulo, op. cit.
[6] Viasat, KA-SAT Network cyber attack overview.
[7] Liang Quiao, Wang Xiangsui, Guerra senza limiti. L’arte della guerra asimmetrica fra terrorismo e globalizzazione, 1999.
[8] Marcello Spagnulo, La prossima bomba nucleare potrebbe esplodere nello spazio. In: Limes 9/22, L’ombra della bomba, pp. 45-50.
[9] Marcello Spagnulo, op. cit.
[10] US Department of State, Office of the Historian. Memorandum of the President’s Decisions, 20 giugno 1962. Foreign Relations of the United States, 1961–1963, Volumes VII, VIII, IX, Arms Control; National Security Policy.
[11] BBC, The Cold War nuke that fried satellites, Settembre 2015.
[12] UNOOSA, Treaty on Principles Governing the Activities of States in the Exploration and Use of Outer Space, including the Moon and Other Celestial Bodies, 1967.
[13] Alfred Thayer Mahan, The influence of Sea Power upon History 1660-1783, 1890.
[14] George Friedman, Lo spazio serve a preparare le guerre di domani. Traduzione in: Limes 12/2021, Lo spazio serve a farci la guerra, pp. 47-58.
[15] Federico Petroni, Look up: l’America innalza il suo limes cosmico. In: Limes 12/2021, Lo spazio serve a farci la guerra, pp.37-46.
[16] NATO, NATO’s approach to space, 2019.