L’Unione economica eurasiatica (Uee) è nata nel 2015 per favorire l’integrazione di alcuni Stati ex-Unione Sovietica: Russia, Bielorussia, Kazakistan, Armenia e Kirghizistan. Oggi l’Uee si ritrova ad affrontare nuove sfide geopolitiche, a partire dalle conseguenze della guerra Ucraina.


Le restrizioni economiche imposte alla Federazione Russa e alla Bielorussia in correlazione alla guerra in Ucraina hanno acceso i riflettori e relative zone d’ombra sulle entità economico-geografiche che caratterizzano il cuscinetto – presumibilmente finanziario e commerciale – dell’attuale area di scontro e rivendicazione del Donbass (allargato). Lo shock delle sanzioni viene stimato per il 2022 in una perdita dell’8,6% complessivo del Pil per l’Unione economica eurasiatica (Russia, Bielorussia, Armenia, Kazakistan e Kirghizistan), mentre per la Russia è stimato al -35% per il secondo quadrimestre[1]. Ciononostante, trattandosi di uno spazio economico con un mercato comune da 180,637 milioni di abitanti, ed un PIL pari al 3,2% di quello globale, l’UEEA è destinata a rivestire un ruolo di primo piano nelle relazioni commerciali internazionali, di cui le attuali esportazioni ammontano a 731 miliardi di dollari, il 2,4%. La sua rilevanza nell’aiutare Mosca ad aggirare le sanzioni è, tuttavia, altamente limitata e fuorviante.

L’area di riferimento è stata animata, sin dalla creazione della sua nuova veste sorta dalle ceneri dell’Unione Sovietica, da vari tentativi di cooperazione commerciale, economico-finanziaria e politica volti da una parte a suggellare quelli che sono stati identificati come nuovi e più forti ambiti di solidarietà anti-russa, dall’altra a ridare slancio a economie e società notoriamente critiche e in balia delle correnti post-disgregazione e pro-capitalizzazione di sistemi-paese del tutto inconsapevoli, inesperti e manchevoli di salda e giusta guida politica capace di intravedere le nuove direzioni al moto del 1991.

Di fatto, però, la Russia sembra, più di tutti, aver beneficiato della recente e friabile unione, soprattutto se comparata al modello europeo. Infatti, lo slancio economico racchiuso nell’Unione Economica Eurasiatica volto al rafforzamento delle potenzialità di ogni paese membro può essersi scontrato con una realtà di dipendenza economica ed influenza culturale, etnica, religiosa e linguistica che hanno legato per secoli i popoli post-sovietici alla madre russa e che costituiscono il fondamento di rapporti di potere collaudati. E’  rilevante come il progetto abbia consolidato e radicato un sistema di competitività basato sulla forza economica, ad esempio, di grandi aziende russe la cui compravendita è agevolata in rapporto alla debolezza di paesi da economie piccole, rafforzandone domini settoriali o societari. Una tensione dirimente riguarda, in aggiunta, i rapporti tra le due maggiori economie, principalmente e largamente esportatrici e gli altri tre stati membri, dipendenti de facto da importazioni tanto energetiche quanto alimentari. Oppure, basta pensare che il PIL russo ammonta all’86% di quello dell’intera unione, apparendo pertanto più una garanzia di cooperazione commerciale per Mosca nonché un corridoio verso Europa e Asia Orientale. Inoltre, in linea con l’obiettivo di integrare e modernizzare il mercato, Mosca ha ambiziosamente spronato più di tutti il progetto.

La regione, infatti, è una rilevante via di transito, con il ripristino della vecchia Via della seta mediante corridoi multimodali che, attraverso il Mar Nero e il Caucaso, collegheranno l’Europa con la costa del Pacifico, aggirando la tratta Transiberiana e il corridoio ucraino. Già la nuova via della Seta aveva rilevato il potenziale dell’area nel fornire ponti economicamente potenzialmente rivoluzionari nel campo dell’efficientamento di nuove rotte commerciali con un riferimento particolare allo sbocco nel Mar Arabico ed in Asia Occidentale, dunque, con i paesi mediterranei dell’Europa comunitaria. Ma più recentemente, Teheran ha collaudato un meccanismo che ha una forte connotazione politica legata alla partecipazione internazionale ed il consenso (limitato) alle sanzioni occidentali. Infatti, la compagnia di stato di navigazione commerciale iraniana ha trasportato 41 tonnellate di laminati di legno da Astrakhan, capitale dell’omonima oblast sul Caspio, a Chabahar, nel golfo di Oman e al confine tra Pakistan e India.[2].

Allo scoppio della “crisi ucraina” nel 2014 molti esperti russi e occidentali hanno cominciato a parlare dell’Asia centrale come probabile teatro di ulteriori conflitti etnici e separatisti nello spazio post-Sovietico. Il politologo russo Alexandr Knyazev l’ha descritta con il termine “afghanizzazione” (afganizatsiya), dunque una frammentazione intenzionale del paese e la creazione del “caos controllato” sul suo territorio, con conseguenze sulla dimensione. Se così fosse, però, stupirebbe che, in assenza di uno studio sufficientemente ampio dell’UEEA di questo istituto, sia Iran che Turchia abbiano manifestato la volontà di aderire al suo dinamismo che, nonostante le prime impasse, la prospetta come nuova realtà economica di impatto ma anche di cambiamento nel panorama geopolitico (mentre le prospettive di adesione dell’Uzbekistan sono più facilmente prevedibili). Ciò che permane vero, tuttavia, è che la crisi ucraina ha mutato profondamente non solo le prospettive, ma la natura stessa del progetto di Unione Eurasiatica.

L’influenza dell’asse Mosca-Kiev

Secondo lo studioso Luk’janov l’obiettivo principale della strategia di integrazione eurasiatica, nei suoi vari sforzi, consisterebbe proprio nel “recupero” dell’Ucraina, delineandone un ruolo molto più importante per la realizzazione di questo processo di integrazione rispetto ai paesi dell’Asia centrale, in particolare quelli economicamente deboli come Tagikistan e Kirghizistan, e in cui forse solo il Kazakistan fa eccezione. Senza dubbio la mancata partecipazione dell’Ucraina pregiudica notevolmente i progetti di reintegrazione economica e politica di Mosca. Al tempo stesso, però, non minerebbe la rilevanza della dimensione orientale dell’Unione Eurasiatica, una direzione sempre più nettamente chiara delle mosse dell’UE in virtù della presenza cinese nel mondo e l’opportunità commerciale che rappresenta il polo asiatico. Inoltre, la prospettiva di fare della Russia un ponte eurasiatico tra l’Europa e l’Estremo Oriente è da tempo ampiamente presente nel dibattito politico, economico e culturale russo. Pertanto, possiamo considerare il peso ucraino nel determinare la formazione e lo sviluppo dell’UEEA come una componente decisiva in questo processo di costruzione – all’inizio meccanicizzato e ostacolato – che adesso rivendica sempre maggiore integrità non più di matrice ideologica o militare[3], in conformità ad obiettivi economici tratti dal modello europeo ma senza Europa.
Se a fondamento e a fondazione dell’UEEA vi era proprio la volontà di creare un polo alternativo, competitivo ma anche cooperativo, strumentalmente rispetto agli interessi del Cremlino, rispetto all’UE la stessa mancata inclusione dell’Ucraina, che ha poi costituito la stessa scintilla del conflitto che dal 2014 e in maniera ancor più esagerata oggi incaglia l’area e si spande nelle sue ripercussioni mondiali, ne ha provocato una paralisi precoce ma in via di superamento. E’ proprio a partire dal 2014 che assistiamo, infatti, a sviluppi significativi tra cui la formalizzazione dell’unione.

Nonostante il cambiamento politico ed economico apportato dalla rivoluzione socio-politica seguita all’”Euromaidan”, i lavori per l’unione economica euroasiatica iniziano nel gennaio 2015. Anzi, iniziano proprio sulla base del riconoscimento che proteggere le economie dell’area dipendeva dall’attenzionato rinnovo dei metodi di cooperazione con l’Ucraina, a beneficio di tutti i paesi della regione. Le prospettive strategiche e finanziarie, dunque, si sono adattate artificialmente ai presupposti dell’assenza dell’Ucraina contando sull’appoggio incondizionato di Armenia e Kirghizistan, che pure nell’autunno 2013 avevano rinunciato al progetto europeo.

Alle origini della paralisi

Su questa traiettoria, l’annessione della Crimea. Nel 2014, proprio a fine di quel maggio critico e doloroso per Kiev, la Russia, il Kazakistan e la Bielorussia hanno siglato ad Alma Ata la nascita dell’Unione Economica Eurasiatica suggellando una cooperazione economica ed istituzionale che superasse la mera Unione doganale, puntando, all’orizzonte, ad una più stretta cooperazione politica con i paesi dell’ex CSI. L’annessione, tuttavia, ha allontanato dalla già lanciata velleità cooperativa l’Ucraina, asset strategico, economico, geografico e politico che può considerarsi fondamentale nella definizione dell’integrazione regionale geografica e settoriale. E, così come oggi, la violazione del diritto internazionale ha sempre delle ripercussioni, dovute a prassi insite nello scalfire norme di unione politica fondate sull’affidabilità e sul rispetto di comportamenti attesi, anche se minimizzate da legami economici (leggi energetici), politico-istituzionali e culturali. Peraltro è, il rispetto del diritto internazionale universalmente riconosciuto, il primo dei principi fondativi del trattato dell’UEEA.
Le vicende del 2014 e la tensione con l’Ucraina ha minato, in aggiunta, anche un presupposto e pilastro fondamentale, almeno sulla carta, del rilancio in materia cooperativa: il principio di uguaglianza dei membri dell’Unione Eurasiatica che avrebbe visto il riconoscimento politico di egual posizionamento di Russia, Ucraina, Kazakhstan e Bielorussia ed anche Armenia e Kirghizistan, lo stesso che aveva spinto Nazarbayev, Navcuk e Lukashenko alla firma del Memorandum di Budapest nel 1994[4]. Nella stessa ottica, il partenariato avrebbe fornito maggiori strumenti per uno sviluppo economico interno all’area che avrebbe di conseguenza favorito il dialogo politico e finanziario con l’UE, in linea con la multivector policy, contribuendo a caratterizzare l’UEEA come l’esperimento di integrazione più dinamico e promettente nell’area, emulando il modello europeo. Se però lo spazio ex sovietico ha subito una frammentazione politica, giuridica, economica e doganale in seguito alla grande dissoluzione e alla formazione dei 15 stati indipendenti, dall’altro i profondi legami esistenti tra quegli stessi Stati hanno innescato un opposto processo di integrazione regionale che è stato definito “holding together regionalism[5]. Se alla CSI non aderirono le 3 repubbliche baltiche, l’Ucraina non ratificò mai lo statuto, divenendo membro associato, e, come è noto, la Georgia rivendicò e approntò l’uscita nel 2009, scelta che trasse con sé il peso del conflitto bellico. Tuttavia, fu proprio in seno alla CSI che nel 1993 venne concluso un Trattato sulla formazione di un’unione economica tra gli Stati membri.
Il progetto di una nuova Unione eurasiatica origina, come detto, dal discorso del presidente kazako Nursultan Nazarbayev del 1994, quando venne proposta la costituzione di organi sovranazionali in grado di regolare uno spazio economico comune e, al tempo stesso, di garantire una politica comune di difesa tra gli Stati membri. A seguito di tale proposta, nel 1995, vennero conclusi alcuni accordi per istituire una prima unione doganale tra Bielorussia, Federazione Russa e Kazakhstan ma la dimensione del CSI è stata superata solamente dal Trattato sull’Unione Doganale e sullo Spazio Economico Comune[6] ad inizio millennio, entro il quale si previdero funzioni precise, fu preparato un codice tariffario doganale interno volto ad agevolare la cooperazione doganale, ufficialmente creata all’interno dell’accordo del 2009 tra quei tre paesi.

Il progetto fu rilanciato da Putin nell’ottobre 2011, ancor prima di essere rieletto presidente per la terza volta. Nello stesso anno fu istituita la Commissione Economica Euroasiatica, un organo fondamentale per il funzionamento e lo sviluppo sia dell’unione doganale che del futuro spazio economico comune. Lo Spazio Economico Euroasiatico risulta dall’entrata in vigore di ben diciassette trattati internazionali che, inglobando gli accordi esistenti, “rapì il consenso” tanto di Armenia quanto di Kirghizistan, portando a cinque il numero totale di Stati membri. Dall’anno successivo, lavori collaterali hanno promosso la liberalizzazione di persone, beni, servizi e capitali: prende avvio lo spazio economico eurasiatico, tutt’oggi limitato da rilevanti restrizioni agli scambi e alle procedure doganali.
Già emerse durante la prima ondata pandemica, alcune problematiche tra cui introduzione di limitazioni quantitative a beni di prima necessità, misure anti-dumping nonché le conseguenze di shock esterni e misure protezionistiche che dimostrano avere la meglio sulla cooperazione nell’UEEA, come appare chiaro in queste settimane con l’aumento incondizionato dei prezzi del gas e del petrolio russi. Allo stesso tempo, il crollo dell’economia russa significa anche quello di economie più piccole ad esse legate, di cui un ampio sostegno è fornito proprio dalle rimesse.
E’ fondamentale, inoltre, specificare come l’Armenia è l’unico dei paesi membri ad avere un accordo commerciale ad ovest (l’Armenia-EU CEPA, in vigore dal 1 marzo 2021) che significativamente abbatte barriere commerciali e finanziarie ma non condivide confini con gli altri membri dell’unione, rendendo ben più complicato il supporto all’economia russa in questo frangente data la necessità di passare da un paese terzo. Inoltre, le sanzioni hanno avuto anche l’effetto di accendere i riflettori sulle compagnie e sulle mosse economico-commerciali e finanziarie generali di tutti i paesi dell’area, soprattutto il Kazakistan, che sembrerebbe erroneamente il più disposto ad aiutare il Cremlino bypassare le sanzioni. Eppure, niente di tutto ciò sembra delinearsi. Tra l’altro, un altro grande partner russo, Lukashenko è soggetto a sanzioni e restrizioni oggettive e soggettive e la struttura commerciale, peraltro fortemente dipendente da Mosca, non lo rende un’ancora adeguata per Mosca.
Ad ampliare la forbice dell’ambiguità è anche la non appartenenza dell’UEEA al WCO (la Commissione dell’UEEA ha richiesto la concessione dello status di osservatore), nonostante ne riprenda norme e principi[7], replicando la posizione di uno solo dei suoi membri, la Bielorussia, che, dopo aver richiesto congiuntamente a Federazione Russa e Kazakhstan l’adesione, l’ha vista negata e, ad oggi, si trova ancora in fase di negoziazione (ripresa proprio grazie all’accesso di tale Paese all’Unione Economica Euroasiatica.
Le dinamiche geopolitiche dell’organismo possono compromettere l’effettiva indipendenza di un istituto ad oggi rimesso alla struttura egemonica del potere di Mosca in termini di valorizzazione, accrescimento e indirizzamento degli assets strategici dell’area. Dal lato opposto, le stesse hanno consolidato i legami commerciali ed economici tra i paesi membri prospettando nel tempo un’istituzionalizzazione di quella rete già presente, migliorandola e accrescendone le trame certamente, con qualche eccezione se si pensa al Kazakhstan e alla sua recente diversificazione dei legami commerciali e finanziari in ambito bilaterale sempre più diretti ad Est ed ad Ovest di Astana[8].

Uno sguardo al futuro

Nell’anno della presidenza Kirghiza dell’Unione Economica Eurasiatica, proprio lo scorso 27 maggio, in occasione del meeting del Comitato organizzativo ed il Consiglio Supremo, è stata non solo fondata la giornata dell’Unione Economica Eurasiatica, ma anche stabilita quella del prossimo Summit, che si terrà a Biskek a dicembre. I lavori sono confluiti nell’approvazione delle linee guida per gli stati membri circa la politica macroeconomica per il 2022-2023 e quelli preparatori includono niente di meno che la negoziazione di un accordo di libero scambio con l’Indonesia, mentre sono già all’attivo le negoziazioni con Mercosur e ASEAN. Un riconoscimento, oltre che uno slancio alla strategia dell’Unione, del grande potenziale del polo pacifico in materia di commercio internazionale, anche sulla scorta dei lunghi e crescenti “FTAs” dell’UE con paesi quali Singapore, Vietnam, con Cina, Giappone, Corea del Sud e con Filippine e Indonesia ci si trova in fase di trattativa. Il RCEP ha, in particolare, ricostruito la fitta rete di cooperazione regionale e riproposto sullo scacchiere internazionale nuovi spunti per avviare trattative che proprio l’Asia Centrale non può ignorare, essendo come già dimostrato, nella storia contemporanea, attraverso la costruzione di un ponte strategico e rilevantemente complesso, a livello gestionale e politico, per la BRI.
Pur radicandosi in un organismo decisionale intergovernativo, l’Unione Economica Eurasiatica adotta un modello di governance quasi equiparabile a quello europeo, organizzandosi soprattutto attorno a funzioni di controllo ed esecutive; mediante decisioni, direttive e raccomandazioni ne dirige lo sviluppo. Così, alla Commissione spetta un ruolo determinante nell’attuazione e nella gestione dell’unione doganale[9].
Da questa prospettiva, le capacità dell’UEEA di affrontare il contesto sanzionatorio e punitivo si prospettano quali vettori di una più forte e indipendente presenza nella scena economica globale, complessa e allo stesso tempo, in ragione degli stimoli economici legati alle misure economiche in risposta alla crisi pandemica, promettente.
Più in generale, lo sfondo tematico delle prossime interlocuzioni è ampio e focalizzato sul mercato interno in previsione delle dinamiche economiche, di sicurezza, tecnologiche e di sviluppo globali. Si propone inoltre di riflettere sull’ ”Eurasianismo”, sull’unione di comunità, sistemi agricoli e produttivi e di monete, sulle strategie di sviluppo di un mercato interno più solido, digitale e integrato, nonché sul turismo e sul settore dei trasporti.
Molti analisti ricollegano l’ideologia eurasianista, portata alla diffusione politologica dal filosofo Dugin, alla pragmatica politica internazionalistica di Putin. Il collocamento prevalentemente asiatico della Russia è infatti sempre più evidente nelle dichiarazioni e nelle mosse politico-economiche, indicando una serie di potenzialità da sfruttare: dai vantaggi offerti dalle rotte aeree russe per i collegamenti tra Asia, Europa e Nordamerica alla costruzione di collegamenti energetici e logistici tra l’area eurasiatica, il Giappone e la Cina, sino alle diverse opportunità di cooperazione tecnologica con i paesi asiatici. Tutte potenzialità, dunque, che possano risaltare l’effettiva collocazione geografica di fulcro, chiave di volta, più che ponte, di un mondo inter e iperconnesso. Infatti, non c’è strategia di Putin che non coordini la logica del consenso interno, ed il rafforzamento della statualità russa, con risvolti sul bilanciamento di potere mondiale (Kolosov, 2011). In questo senso, l’Unione Economica Eurasiatica potrebbe divenire per Mosca una componente della nuova politica estera della Russia, strumentale al riconoscimento e l’implementazione da un lato dello spostamento dell’asseto globale del potere economico e politico e dall’altro della matrice culturale europea dei suoi stessi assets economici, da non minimizzare.


Note

[1] Previsioni di JP Morgan.
[2] Questa nuova rotta marittima è stata riaperta il 12 giugno in piena connivenza politica ad agevolare Mosca sulla base di un collaudo effettuato già qualche anno fa in funzione anti-Suez. La strategia dell’Iran al centro è anche funzionale ad accelerare una serie di accordi commerciali volti a potenziare l’asse Nord-Sud e, in questa fase, a ridurre il peso di sanzioni tanto alla Russia quanto all’Iran e del boicottaggio delle attività di navigazione ma anche finanziarie e, purtroppo, culturali delle parti occidentali riunite sotto il fronte punitivo. Il supporto iraniano alla Russia, evidenziato anche dal supporto all’invio di armi dalle milizie sciite irachene di Pasdaran fino al nord del Caspio, ha una forte valenza strategico-securitaria più larga, più anti-occidentale e più remunerativa in cui l’Asia Centrale gioca un ruolo cardine, come dimostrato dai crescenti accordi commerciali ( tra tutti l’  accordo di Ashgabath per la creazione di un stabile corridoio di transito di merci tra l’Asia centrale e il Golfo Persico).
[3] Marrella F., Barbirotto P.I. (2018). L’Unione Economica eurasiatica: una rivoluzione russa per il commercio internazionale?, Diritto del Commercio Internazionale 1/2018. Milano, Giuffré Editore. Estratto consultabile: https://www.tb.camcom.gov.it/uploads/PME/pdf/Paper%20informativo%20Unione%20Economia%20Euroasiatica.pdf
[4] Il trattato che dispose il rientro in Russia per lo smantellamento delle armi nucleari ucraine. Kiev ha invocato la violazione del Memorandum a seguito dell’invasione della Crimea. Infatti, con esso l’Ucraina ottenne assicurazioni da Russia, Stati Uniti e Regno Unito, raggiunti anche da Cina e Francia, per la salvaguardia della sua sicurezza, indipendenza ed integrità territoriale.
[5] A. Libman, E. Vinokurov, Holding-Together Regionalism: Twenty years of Post Soviet integration, 1st Ed., London, Palgrave Macmillan, 2012, pp. 12-13.
[6] disponibile al sito http://www.eurasiancommission.org/ru/act/trade/catr/nontariff/Pages/Dogovor_ 26021999.aspx
[7]  Tra questi il trattamento della nazione più favorita, il libero commercio, le esportazioni, i dazi doganali e barriere non tariffarie, le clausole di salvaguardia, le misure antidumping e le misure di compensazione, i trasporti, il diritto d’autore e la proprietà intellettuale, e le misure di sostegno all’agricoltura e gli aiuti di Stato
[8] https://investmentpolicy.unctad.org/international-investment-agreements/countries/107/kazakhstan
[9] In questo contesto ad essa spetta: la disciplina dei regolamenti tecnici, la politica macroeconomica e monetaria, la politica di concorrenza, la politica energetica ed i monopoli di risorse naturali, la proprietà intellettuale, i trasporti, i mercati finanziari, la circolazione dei lavoratori, quella dei servizi e degli investimenti. Accanto alla generale funzione di vigilanza svolta dalla commissione, il trattato riconosce una funzione di controllo giurisdizionale specifico in capo alla Corte dell’UEEA, con sede a Minsk.


Foto copertina: Unione Economica Eurasiatica