La Russia nell’Artico tra grandi progetti e la ricerca di ulteriori giacimenti sembrano essere di vitale importanza per l’economia e il governo russo che sta investendo ingenti somme nella conquista del “grande deserto di ghiaccio”.
Introduzione
La Federazione Russa, sin dalla sua nascita (o rinascita) dalle ceneri dell’impero Sovietico ha attraversato e attraversa tutt’ora momenti di profonda crisi economica. Però, una costante nell’economia Russa è sempre stata l’esportazione di carburanti fossili (Gas e petrolio), vista l’abbondanza di giacimenti entro il territorio nazionale.
Questa costante, che può essere vista come una vera dipendenza, nel corso del 900 e negli ultimi anni si è rivelata un’arma a doppio taglio. Le due crisi petrolifere e il relativo crollo dei prezzi del petrolio del 1974 e del 1979, per quanto originate da fattori per così dire mediorientali, influenzarono negativamente l’economia sovietica andandosi a sommare ai fattori sociali che già stavano corrodendo l’URSS agevolandone il crollo.
Indeed, the years following 1973 are remembered as the years of stagflation. The 1974–5 slump was triggered by an exogenous factor, the so- called oil crisis set off by events that took place in the last quarter of 1973. […] A Marxist commentator claims that ‘the 1974–75 recession was a classical overproduction crisis and the outcome of a typical phase of decline of the rate of profit’, which pre- dated the leap in oil prices following the Yom Kippur War.[1]
Come accennato, la Federazione Russa e la sua economia hanno continuato ad essere fortemente dipendenti dall’ export di petrolio e gas, dipendenza che negli ultimi anni si è rivelata un vantaggio nei confronti di molti paesi importatori e dipendenti soprattutto dal gas, quali i paesi dell’Unione Europea. Non a caso il “Gap” decisionale a livello strategico nei confronti della Russia da parte statunitense ed europea si è allargato.
Da parte Europea, infatti, sanzionare la Russia si è rivelato in alcuni casi controproducente, proprio per via della forte dipendenza energetica che abbiamo nei confronti della Federazione.
The EU, however, has systematically failed to develop any clear collective policy towards Russia. The EU does not think in terms of balance of power and hence has never related to Russia for what the really is, that is, a great power. Russia, for its part, has never understood what sort of actor the EU is. EU member states continue to allow themselves to be seduced by Russia into multiple bilateralisms which are seriously prejudicial to the development of a unified strategic approach to Moscow.[2]
La Federazione Russa nel 2010, grazie ai proventi derivati dall’aumento della produzione e del prezzo del petrolio riuscì ad avviare la famosa riforma dell’esercito che a lungo era stata rimandata, per ragioni strategico-politiche ma soprattutto economiche. Ma è proprio questo fattore che possiamo prendere ad esempio per mostrare quanto sia sensibile l’altalenante economia russa alle alterazioni del mercato energetico. Con il brusco calo dei prezzi del petrolio del 2014 l’economia della Federazione Russa subì uno shock e la crisi che ne seguì diede una battuta d’arresto alla riforma dell’esercito avviata solo pochi anni prima che ad oggi è in una fase di rallentamento tale da sfiorare lo stallo.
However, while the funding allocated to rearmament has been impressive, Russia’s ambitious plans to reinvigorate its defense-industrial sector have encountered economic challenges. First, the decline in oil prices from over $100 per barrel in the summer of 2014 to an average price of around $40 per barrel over 2015, and around $30 per barrel during the first half of 2016, exacerbated a pre-existing slowdown in economic growth[3].
Questa breve introduzione ai fatti riguardanti questo aspetto dell’economia russa ci fornisce la base necessaria per poter comprendere con uno spettro più ampio la recente vicenda del progetto Vostok Oil della compagnia Rosneft e della tanto citata “corsa all’Artico” avviata dalla Russia.
Il progetto di Rosneft
Vostok Oil is one of Russia’s biggest oil projects, comparable in size with the exploration of West Siberia in the 1970s or the U.S. Bakken oil province over the past decade.[4]
La già citata Rosneft è una grande compagnia petrolifera Russa la cui gestione è quasi totalmente statale e che nel 2019 ha deciso di avviare il progetto “Vostok Oil”.
Un progetto ambizioso atto a creare il più grande deposito petrolifero del mondo (con una stima di stoccaggio di circa 44 bilioni di barili). Una cifra notevole, almeno quanto l’ambiziosità del progetto stesso e che ha richiesto la ricerca di investimenti ingenti da parte di altre importanti compagnie petrolifere e stati esteri nonché un fortissimo investimento statale per assicurarsi quante più rotte e “spazi” possibili nella sfera artica e nei mari del nord.
Rosneft is in discussions with Vitol, Glencore and Gunvor, among others, over investments in its Vostok Oil project in the Arctic, having already secured a deal with Swiss-based Trafigura, which took a 10% stake at the end of last year. […] Rosneft attempted to sell stakes in the project in 2019 when its chief executive Igor Sechin travelled to Japan, China and India for a roadshow with local investors.[5]
Gli accordi però sembrerebbero aver avuto uno stop a causa dell’abbassamento dei prezzi del petrolio visto nel 2020, la qual cosa ancora una volta ha rallentato i progetti economici russi. Anche la cosiddetta green energy ha contribuito ad allontanare possibili investitori, allettati dalle nuove prospettive e sviluppi che questa offre. Ad oggi però, seppur il progetto dal punto di vista economico è rallentato, la “corsa all’artico” è ancora molto attiva. La Federazione Russa ha da sempre mostrato interesse per quella inaccessibile, o quasi, zona del mondo che tra l’altro le è estremamente vicina. Le nuove tecnologie hanno permesso di addentrarsi con sempre maggiore facilità tra i ghiacci artici e lo stesso surriscaldamento globale sta tristemente favorendo le operazioni. È oramai tristemente noto che lo scioglimento dei ghiacciai è un dato di fatto.
The Intergovernmental Panel on Climate Change recently reminded the world that rising temperatures mean we will all be in very deep trouble this century. But perhaps some will be in less trouble than others. The northern ice is melting faster than previously thought, and the Arctic could even be ice-free by 2040, meaning the scramble for the top of the globe may accelerate. With new sea routes opening up and oil and gas waiting to be discovered, the biggest winner of this evolving situation is likely to be Russia.[6]
La ricerca di nuovi giacimenti, i vantaggi tattici e geopolitici nonché la possibilità di progetti come Vostok Oil hanno reso l’artico un importantissimo “nuovo mondo” per la Federazione che è ad oggi “leader” nella sua conquista.
Artico: ultima frontiera (?)
Abbiamo già accennato al fatto che la Federazione Russa ha fatto dell’Artico una meta che difficilmente ha intenzione di farsi sottrarre. Grandi progetti quali Vostok Oil e la ricerca di ulteriori giacimenti sembrano essere di vitale importanza per l’economia e il governo russo che sta investendo ingenti somme nella conquista del “grande deserto di ghiaccio”. Una distesa che, come accennato, sta diventando sempre più accessibile e che non gode delle sole attenzioni russe.
Russia is not alone in the Arctic, of course. The United States, Canada, Norway, Denmark, Sweden, Finland, and Iceland all have territory that lies within the Arctic Circle. Yet other countries beyond these would like a piece of the pie, arguing that the Arctic belongs to nobody and that it is a “global common”. China – nowhere near the Arctic – declared its intention of becoming a “polar superpower” in 2014. In 2018 it issued its Arctic Policy, in which it vows to pursue its interests in the region[7].
La “corsa all’Artico” è più complessa di come appare ma la Federazione Russa, è possibile affermare, che si trovi in una posizione di vantaggio rispetto ai suoi concorrenti. La flotta rompighiaccio di cui dispongono è la più imponente ed efficiente al mondo. “Russia has an impressive fleet at its disposal: 40 icebreakers, including nuclear ones”[8]. Oltre a questo, i Russi hanno già condotto numerose ed importanti spedizioni scientifiche sul territorio (piantando anche una bandiera sul fondale marino Artico) e da non sottovalutare è anche l’aspetto tattico-militare. L’esercito Russo ha a sua disposizione diverse brigate artiche, stabilito e ristabilito basi aereo-navali (anche di epoca sovietica) e intensificato l’attività sottomarina nella zona.
Russia is building up its Arctic military presence, creating new Arctic brigades, establishing an Arctic Joint Strategic Command, and restoring cold war-era airports. The Arctic region remains one of Russia’s main strategic priorities.[9]
Al contempo, gli altri paesi già citati, stanno portando avanti strategie verso l’Artico nettamente diverse utilizzando spesso retoriche di salvaguardia dell’ambiente e perpetuando il discorso dell’Artico quale terra di nessuno (o di tutti che dir si voglia) ma quella russa per quanto di “vecchio stampo” sembra essere quella che sta portando i maggiori vantaggi. Forse la determinazione russa a conquistare l’Artico riflette appieno il periodo di grande crisi che questi ultimi stanno vivendo? O semplicemente i russi stanno cavalcando il momento favorevole per marcare il territorio in uno spazio che con il passare del tempo apre sempre più prospettive?
Conclusioni
È estremamente difficile cercare una risposta alle due domande poste alla fine del paragrafo precedente. A mio avviso una possibile risposta potrebbe essere posta nel mezzo delle due. Che la Federazione Russa sia in una pesante crisi economica è oramai un fatto e sicuramente le possibilità che può offrire una “terra di nessuno” sono estremamente allettanti. Del resto, guardando alla storia, la scoperta delle Americhe fu una grande “boccata d’ossigeno” per le grandi monarchie europee, estremamente indebitate e sull’orlo del collasso (in particolare quella spagnola). Ciononostante, non è possibile utilizzare solo questa chiave di lettura per spiegare un progetto così vasto ed ambizioso. Sicuramente il progetto Vostok oil è imponente e nonostante la tendenza di molti paesi e anche di molte grandi compagnie sia verso la già citata green energy, la dipendenza dai carburanti fossili è ad oggi ancora fortissima e a mio avviso la Russia ha soppesato i guadagni di “breve periodo” che un progetto come Vostok oil può apportarle. L’indipendenza dai carburanti fossili e l’ascesa della green energy quale fonte energetica primaria mondiale sono ad oggi ancora lontani. Per quanto riguarda la “corsa all’Artico” la questione ha molteplici aspetti da tenere in considerazione e il mio parere è che nessuno escluda gli altri. Tutti gli aspetti della “conquista” sono stati accennati nel corso di questo articolo (Dal mero supporto al progetto Vostok sino alla militarizzazione Artica) ma un ultimo fattore credo sia di fondamentale importanza, la questione sociale interna alla Russia stessa. Le campagne che la Russia ha intrapreso negli ultimi anni, a partire dall’Ucraina sino ad arrivare alla Siria avevano, tra i vantaggi geopolitici e strategici, una forte componente sociale. La Russia di Putin cerca di riguadagnare lo status di superpotenza oramai perduto dal 1991 o almeno tenta di farlo agli occhi della sua popolazione. Il consenso è fondamentale per il presidente Vladimir Putin che deve gestire un paese in crisi e ancora molto instabile al suo interno. Dunque, la campagna di conquista di uno spazio come l’Artico che è stato da sempre vicino e quasi inaccessibile e che agli occhi di molti ricorda la grandezza del periodo sovietico, oltre tutti i guadagni tattico-economici, non può che essere a mio avviso un “toccasana” per l’opinione pubblica, soprattutto se avallato dalla promessa di forti guadagni economici. Un’ultima nota, infine, non può che essere riservata alla situazione di pandemia globale che stiamo vivendo a causa del COVID-19. Tutti i progetti elencati e le ambizioni, non solo Russe ma di tutti gli attori che abbiamo visto guardare all’Artico hanno subito un forte stop a causa della crisi pandemica ed è probabile che a seguito di quest’ultima molte carte in tavola vengano “rimescolate”.
l’Artico ha un’indubbia importanza strategica per la Russia, la Cina, gli Stati Uniti e l’Unione Europea. Tuttavia, la crisi economica globale causata dal COVID-19 ha avuto un impatto notevole su tutti questi attori della regione artica. La crisi continuerà, almeno per ora, a ridurre il commercio via nave e la domanda di petrolio e gas, forse limitando anche le loro attività nella regione.[10]
In conclusione, il progetto Vostok Oil, e le mire russe verso l’Artico, seppur rallentate restano in piedi e la crisi pandemica le ha solo “messe in naftalina”. È estremamente probabile, a mio avviso, che conclusa la situazione di emergenza globale gran parte delle questioni geopolitiche torneranno in prima pagina e la “corsa all’Artico” potrebbe ricoprire un ruolo preminente sulle tavole di discussione di tutte le potenze interessate.
Note
[1] La Barca, Giuseppe. “The Oil Shock, the Partial Recovery and their Impact on Trade Policies Across the Atlantic.” The US, the EC and World Trade: From the Kennedy Round to the Start of the Uruguay Round. London: Bloomsbury Academic, 2016. 49–76. Bloomsbury Collections. Web. 1 Jul. 2019
[2] R. Alcaro, J. Peterson, E. Greco The West and the Global Power Shift: Transatlantic Relations and Global Governance, Pallgrave Macmillan, 2016, Londra, cit. pp 166-167
[3] R. Connolly, C. Sendstad, Russian Rearmament, Routledge, 2018, cit. p. 151
[4] https://www.reuters.com/article/rosneft-oil-traders/exclusive-rosneft-seeks-to-tempt-trading houses-into-arctic-oil-project-with-supply-deals-idUSL8N2JP4YS
[5] Ivi.
[6] https://ecfr.eu/article/commentary_strategy_on_ice_has_russia_already_won_the_scramble_for_the_arct/
[7] Ivi.
[8] Ivi.
[9] Ivi.
[10] https://ecfr.eu/rome/article/frozen-out-perche-lue-ha-bisogno-di-una-strategia-per-lartico/
BIBLIOGRAFIA:
La Barca, Giuseppe. “The Oil Shock, the Partial Recovery and their Impact on Trade Policies Across the Atlantic.” The US, the EC and World Trade: From the Kennedy Round to the Start of the Uruguay Round. London: Bloomsbury Academic, 2016. 49–76. Bloomsbury Collections. Web.
R. Alcaro, J. Peterson, E. Greco, The West and the Global Power Shift: Transatlantic Relations and Global Governance, Pallgrave Macmillan, 2016, Londra
R. Connolly, C. Sendstad, Russian Rearmament, Routledge, 2018
SITOGRAFIA:
https://ecfr.eu/article/commentary_strategy_on_ice_has_russia_already_won_the_scramble_for_the_arct/
https://www.reuters.com/article/rosneft-oil-traders/exclusive-rosneft-seeks-to-tempt-trading houses-into-arctic-oil-project-with-supply-deals-idUSL8N2JP4YS
https://ecfr.eu/article/commentary_strategy_on_ice_has_russia_already_won_the_scramble_for_the_arct/
Foto copertina: Alexei Andronov / TASS – TheMoscowTimes