La giustizia di transizione in Siria: uno specchio per la comunità internazionale


A cosa dovrebbe mirare un processo di transizione in Siria?


Di Nicole Di Maria

I pilastri della giustizia di transizione 

Dopo tredici anni, la guerra civile in Siria sembra essere arrivata ad una fine o, almeno, ad uno stabile impasse. Quello che viene spesso sottovalutato è però il delicato processo post-conflitto di un Paese, che andrebbe trattato con precisione chirurgica. La Siria, macellata da violenze interne fomentate da interferenze estere, si trova a dover guardare al suo futuro senza aver avuto il tempo di superare il lutto del suo passato recente. Le notizie di atrocità e focolai di violenza continuano, le intrusioni di terzi nello scenario nazionale non sono finite, ma il governo ad interim del Paese sta portando avanti una campagna politica che merita attenzione ed analisi. La comunità internazionale, insieme a ricercatori, analisti e giornalisti, ha il dovere di osservare e riflettere su cosa la guerra civile in Siria implichi in termini di sicurezza, ricostruzione e diritto internazionale. Bisogna chiedersi quindi a cosa somiglierebbe un processo di transitional justice in Siria.
La giustizia di transizione, così come pensata dalle Nazioni Unite, è un processo che concerne meccanismi atti a ricreare un tessuto sociale, giuridico e politico dopo una guerra o grandi violazioni del diritto internazionale[1].
Questo strumento nasce da un’iniziativa del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che si proponeva di stabilire tecniche e approcci da utilizzare in un contesto di dopo-guerra, per assicurare la presenza di giustizia e stato di diritto[2].
I pilastri della transitional justice fungono da standard giuridici minimi per l’organizzazione di piani di transizione generici. Si tratta di cinque punti primari: verità, giustizia, riparazione, commemorazione, garanzie di prevenzione. Ma se gli obiettivi basilari di questo processo possono essere considerati lineari ed intuitivi, il lavoro per accertarsi che funzionino ha bisogno di visioni più complesse ed olistiche. Infatti, non è possibile creare un unico piano applicabile a qualsiasi contesto post-conflitto, ma è fondamentale contestualizzare ogni storia di guerra ed ogni Paese separatamente.
Tenendo in considerazione il rapporto delle Nazioni Unite S/2004/616 [3]che traccia le linee guida generali da applicare nei processi di giustizia di transizione, possiamo identificare dei punti chiave utili ad analizzare vari contesti postbellici. Innanzitutto, bisogna considerare la necessità e l’utilità di una possibile peace operation da parte dell’ONU: questo punto va di pari passo con una valutazione di quali sono le necessità del Paese. È fondamentale poi riconoscere il contesto politico specifico del caso preso in esame e creare una squadra di esperti per una riforma politico-giuridica domestica. Integrare i civili e, nel caso di guerre civili, i diversi gruppi di belligeranti risulta poi fondamentale per stimolare i processi democratici futuri del Paese. La giustizia di transizione è dunque formata da strutture necessariamente democratiche, con l’obiettivo di promuovere le fondamenta di una serie di garanzie per la prevenzione di conflitti futuri. Ma oltre a riempire vuoti giuridici e politici – tipici dei contesti postbellici -, è necessario concentrarsi anche su un’analisi comparativa che tiene a mente errori passati commessi in situazioni simili.

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Esperienze, speranze ed errori passati: il caso dell’Iraq

Dall’ Iraq post-Hussein si possono chiaramente osservare le conseguenze di una transitional justice applicata troppo frettolosamente. L’Iraq ha visto la creazione della De-Baathification Commission, una Commissione finalizzata ad eliminare l’influenza del partito Ba’ath dall’Iraq, partito che Hussein ha mantenuto al potere durante il suo regime. La Commissione è stata una creazione della Coalition Provisional Authority (CPA), un governo di transizione creato dalla coalizione statunitense dopo l’invasione del 2003. Ma la De-Baathification Commission si rivelò essere più un mezzo per legittimare politiche discriminatorie che uno strumento per implementare un percorso di transitional justice.
Tra i primi punti d’azione della CPA si trova la dissoluzione di tutte le strutture finanziare, politiche e militari del partito Ba’ath. Una decisione che ha lasciato centinaia di migliaia di iracheni armati, disoccupati ed esclusi da quasi ogni ambiente sociale[4]. La nuova struttura del Paese creò un sistema politico di compromesso tra l’idea di un Iraq unito indipendentemente dall’esistenza di varie comunità e l’Iraq unicamente come conglomerato di diverse comunità, aumentando dunque la fusione tra politica e identità etnico-religiosa piuttosto che l’unione di politica e rappresentazione[5]. Questo approccio ha portato alla suddivisione delle principali cariche politiche — Presidente, Primo Ministro, Speaker del Parlamento — tra le principali comunità di curdi, sciiti e sunniti.

Se il settarismo in Iraq però è ancora presente a causa di un mancato processo di transitional justice ben implementato, va riconosciuto che il Paese si sia impegnato per riconoscere ed indagare su altre violenze. Il riconoscimento del genocidio degli Yazidi perpetrato dall’ISIS, riconosciuto come tale anche dalle Nazioni Unite[6], è un passo importantissimo per reintegrare i civili nella società e provvedere a strumenti minimi per garantirgli una vita più simile possibile a quella che avevano prima delle atrocità vissute – oltre ad aiutare la creazione di una narrativa comune nella società. La riabilitazione della comunità Yazida viene supportata dal governo tramite politiche di ricostruzione e creazione di leggi ad hoc per garantire alle vittime una retribuzione[7]. Inoltre, più recentemente l’Iraq ha creato dei programmi per il ritrovamento di persone scomparse attraverso la creazione di comitati specifici, formazione medico-legale fornita alle autorità irachene e cooperazione internazionale con l’aiuto della Commissione Internazionale per le Persone Scomparse[8]. Nonostante gli errori, questi ultimi passi avanti fatti dall’Iraq propongono una nota positiva che va tenuta in considerazione.

L’esperienza tunisina

La Tunisia, dopo la tragica protesta di Mohamed Bouazizi del 2010 che diede vita ad una importantissima serie di lotte nazionali ed il successivo crollo del regime di Ben Ali nel 2011, vide cominciare un processo di democratizzazione che ad oggi sembra aver cambiato rotta. Le elezioni parlamentari del 2011 erano state organizzate entro un anno dall’esilio di Ben Ali, riflettendo la fame di democrazia che il Paese aveva. Interessante osservare come la legge elettorale disegnata per quelle elezioni dava o toglieva la possibilità a persone che avevano fatto parte del regime di Ben Ali di partecipare alle candidature in base al loro ruolo nel vecchio governo, non secondo il loro tempo di mandato[9].
Successivamente, nel 2013, in Tunisia viene approvata la legge per l’organizzazione di un processo di transitional justice, creando dunque la Truth and Dignity Commission (TDC) che sarebbe servita principalmente – ma non solo – come strumento per investigare gli abusi commessi dal regime di Ben Ali[10]. Nonostante i nobili sforzi, la situazione odierna della Tunisia è tutt’altro che stabilizzata. È infatti necessario sottolineare che, nonostante la TDC abbia aiutato la conservazione di una memoria collettiva, i dibattiti che la circondavano hanno sollevato dei dubbi riguardo ad un approccio sbilanciato alla narrativa storica[11]. Le discussioni civili si sono spesso incentrate sulla questione delle riparazioni alle vittime, i cui fondi sono stati organizzati in maniera settoriale, frammentando i programmi tra gruppi religiosi — la maggior parte delle vittime di arresti arbitrari erano Islamisti — e politici — i feriti durante la rivoluzione vennero etichettati come “martiri” — dunque fomentando una separazione sociale tra le vittime[12]. Ad oggi la Tunisia si trova ad affrontare una crescita economica sempre più lenta (se non in calo), con una percentuale di debito altissima[13]. Le cause che hanno portato alle proteste della Primavera Araba non sono state risolte[14],

creando un terreno fertile per il piano politico dell’attuale presidente Saied, che è riuscito a trattenere il potere tra le sue mani con un “auto colpo di stato”[15] per proteggere il Paese da un presupposto pericolo antidemocratico posto da influenze straniere. La Tunisia, sotto Saied, si trova in uno stato di mancata sicurezza ed alta repressione, rischiando di far scoppiare di nuovo quel risentimento esploso nel 2011.


 

Al-Sharaa e la transizione in Siria

Dopo la caduta del regime di Assad e la sua fuga dal Paese, la Siria ha visto al-Sharaa passare da guida del gruppo terroristico Hayat Tahrir al-Sham (HTS) a ricoprire il ruolo di Presidente ad interim della Siria. Allontanatosi dalle connessioni terroristiche, spogliatosi dei vestiti militari ed indossando una retorica diplomatica, al-Sharaa ha da subito lanciato un appello per una transizione politica in Siria facendo anche riferimento alla creazione di un organo per un processo di transitional justice. Il 13 marzo di quest’anno è stata firmata dal Presidente ad interim una costituzione provvisoria valida per cinque anni, atta a delineare una struttura legale per questa fase transitoria. Secondo la Costituzione, il Presidente avrebbe un ruolo solo esecutivo durante questa fase di transizione, con la sola eccezione di poter dichiarare uno stato d’emergenza[16]. Sembra essere, finora, una costituzione che mira a bilanciare una transizione democratica con la necessità di sicurezza e giustizia. Il nuovo documento è indirizzato anche verso la necessità di investigare e perseguire i crimini che sono stati commessi dal governo di Assad, mentre il Paese si riassembla e viene formata una nuova Assemblea per una Costituzione permanente[17].
La Costituzione temporanea sta ricevendo già delle critiche, principalmente dall’Amministrazione Autonoma a guida Curda e dal gruppo Syrian Democratic Forces (SDF), finanziato dagli Stati Uniti, a cui è affiliata. Le contestazioni riguardano una mancata costanza nell’uso di un linguaggio inclusivo di alcuni gruppi etnico-religiosi in Siria, presente in alcuni articoli della Costituzione ma completamente assente in altri[18]. Nella migliori delle ipotesi, la nuova Assemblea costituita prenderà in esame le critiche poste alla Costituzione provvisoria.

Sicurezza o comodità?

Ma la Costituzione non può essere l’unico focus di analisi circa la transizione siriana. Restano ancora alcune questioni di sicurezza e sovranità che al-Sharaa deve affrontare, tra cui gli attacchi al territorio nel sud della Siria che Israele porta avanti dal dicembre 2024 dopo aver invaso la zona demilitarizzata e controllata dalle forze delle Nazioni Unite, infrangendo il diritto siriano alla sua sovranità territoriale[19]. Vanno anche considerati i traffici illegali che la Siria continua a notare nel suo territorio, tra cui lo smercio di armi illegali verso Hezbollah in Libano[20]. Inoltre, è chiaro dagli scontri tra gruppi Alawiti e Sunniti che esistono ancora rancori profondi all’interno della società. Al-Sharaa, nonostante abbia indicato gli Alawiti come istigatori degli attacchi, ha anche riconosciuto l’illegalità delle risposte violente da parte dei Sunniti, richiedendo legge e giustizia per tutti[21].
Continuando su questa linea, le influenze esterne sulla Siria non sono andate via via scomparendo come Assad quando HTS ha preso il controllo di Damasco. Israele stesso ha riportato sui suoi media le richieste di supporto ricevute dai gruppi Alwiti22, continuando ad echeggiare la retorica appoggiata dall’Occidente di Israele come unica anima bianca mediorientale. Ma Israele non è solo. Infatti, la presenza della Turchia in Siria – soprattutto in ambito militare – continua a serpeggiare risultando quasi soffocante. Ankara continua discussioni e accordi con Damasco per migliorare e creare basi militari in Siria, posizionare consiglieri e ufficiali militari tra gli alti funzionari siriani, assicurarsi l’unione delle milizie pro-Turchia all’esercito unito siriano e proteggere le sue frontiere da infiltrazioni jihadiste e traffici di droga, naturalmente fornendo in cambio grande supporto militare ed economico alla Siria23. Ma per una Siria in transizione, essere così dipendenti da una Turchia così ingombrante può diventare un’arma a doppio taglio. Al- Sharaa rischia di mantenere la Siria nella posizione di scacchiere per le partite di terzi, soprattutto considerate le tensioni aeree tra Turchia e Israele che sono già state avvistate nel cielo siriano24.

A cosa dovrebbe mirare una transizione in Siria?

Prima della creazione della costituzione temporanea, durante la Conferenza Nazionale chiamata da al-Sharaa25 si è parlato di portare allo Stato il controllo delle armi – impresa difficile a causa di truppe riluttanti al disarmo nel sud della Siria[22]. Sicuramente, un progetto di disarmo e riabilitazione dovrebbe essere centrale per evitare futuri focolai di violenze ed integrare le milizie all’interno della società civile. Allo stesso tempo è necessario continuare a lavorare sull’integrazione dei diversi gruppi militari impiegati come procure per spingere gli interessi di terzi all’interno del governo. Dopo una guerra per procura come quella che ha distrutto la Siria, fare in modo che i diversi gruppi si sentano rappresentati e ascoltati è essenziale per una stabilità a lungo termine. Tra le richieste del gruppo SDF che si continua a proporre come una delle procure principali dell’Occidente in Siria[23] e le discussioni interne sul disarmo del gruppo curdo dei lavoratori (PKK)[24], i gruppi belligeranti sembrano ancora divisi. Vanno anche ricordati i tantissimi rifugiati siriani che hanno lasciato il Paese durante la guerra e che adesso – nonostante la possibilità di tornare a casa – sono consapevoli della grande incertezza che dovrebbero affrontare nella costruzione di un futuro in Siria[25]. Al-Sharaa dovrà indicare la strada verso una nuova Siria, più sicura ed inclusiva. Per non commettere l’errore iracheno della “de- baathificazione” va evitata la demonizzazione di certi gruppi e personaggi che sono stati vicini al regime di Assad, promuovendo invece una narrativa comune giusta e fondata sulla legge e la riabilitazione delle vittime. Va assicurata la presenza di leggi democratiche, che mirino a creare una nuova classe politica che non trovi terreno fertile per retoriche tiranniche basate sul settarismo identitario come in Tunisia. A livello di sicurezza nazionale, inoltre, vanno rese indipendenti le milizie che fungono ancora da procure per eliminare le relazioni coi loro benefattori. La retorica di una Siria unita è fondamentale per aiutare le nuove generazioni a far fiore un tessuto sociale unito.

La transizione in Siria è ancora una partita aperta. Difficile fare predizioni. Tuttavia, dopo anni di neoimperialismo basato sul divide et impera, la Siria deve diventare uno specchio per la comunità internazionale. In uno scenario globale al momento in crisi più che mai, gli occhi della storia non possono sottovalutare la transizione siriana, che – in modo positivo o negativo – fungerà da lezione e da precedente. Ma la necessità di vedere questo Paese come uno specchio non va fraintesa come un insulto alla sua indipendenza: va eliminata ogni accezione imperialista, eurocentrica e coloniale da questo approccio. È l’intera comunità internazionale ad avere bisogno della Siria come specchio per riflettere sui malfunzionamenti del sistema in cui si trova, e non viceversa.


Note

[1] UNGA, A/HRC/37/65, Joint study on the contribution of transitional justice to the prevention of gross violations and abuses of human rights and serious violations of international humanitarian law, against         humanity,             and         their         recurrence. https://docs.un.org/en/A/HRC/37/65 including genocide, war crimes, ethnic cleansing and crimes
[2] UNSC, S/2004/616, The rule of law and transitional justice in conflict and post-conflict societies. https://docs.un.org/en/S/2004/616

[3] Ibid.
[4] Palandjian, Nora. «Institutionalizing Exclusion: De- Ba‘thification in Post-2003 Iraq». Project on Middle East Political Science (blog), 21 ottobre 2019. https://pomeps.org/institutionalizing-exclusion-de- bathification-in-post-2003-iraq.
[5] Carnegie Endowment for International Peace. «Iraq’s Sectarian Crisis: A Legacy of Exclusion». https://carnegieendowment.org/research/2014/04/iraqs- sectarian-crisis-a-legacy-of-exclusion?lang=en.
[6]  «ISIL Crimes against Yazidis Constitute Genocide, UN Investigation Team Finds | UN News», 10 maggio 2021. https://news.un.org/en/story/2021/05/1091662.
[7] International Centre for Counter-Terrorism – ICCT. «Ten Years on from the Yazidi Genocide: Searching for Redress             for         the          War        against   ISIS». https://icct.nl/publication/ten-years-yazidi-genocide- searching-redress-war-against-isis.
[8] ICMP. «Iraq Seeks to Enhance Efforts to Find Missing Persons, Including through Coordination of the Missing Persons Process by the Ministry of Justice – International     Commission          on           Missing  Persons». https://icmp.int/press-releases/iraq-seeks-to-enhance- efforts-to-find-missing-persons-including-through- coordination-of-the-missing-persons-process-by-the- ministry-of-justice/.
[9] Inoltre, questo decreto-legge non permetteva la candidatura a chi aveva sollecitato il presidente deposto a candidarsi nuovamente nelle elezioni che si sarebbero dovute tenere nel 2014. «PACE website», 24 novembre 2011. https://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref- XML2HTML-EN.asp?fileid=13195&lang=en.
[10] «Tunisia | International Center for Transitional Justice». https://www.ictj.org/where-we-work/tunisia.
[11] Ibidem.
[12] Mali, Dr Kora Andrieu, Human Rights Officer, United Nations Stabilisation Mission in. «Confronting the Dictatorial Past in Tunisia: The Politicization of Transitional Justice». JusticeInfo.net, 31 agosto 2015. https://www.justiceinfo.net/en/1818-confronting-the- dictatorial-past-in-tunisia-the-politicization-of- transitional-justice.html.
[13] Carnegie Endowment for International Peace. «A Path Out of Tunisia’s Economic           Crisis». https://carnegieendowment.org/research/2024/10/a- path-out-of-tunisias-economic-crisis?lang=en.
[14] Carnegie Endowment for International Peace. «Global Lessons for Tunisia’s Stalled Transition». https://carnegieendowment.org/research/2022/07/globa l-lessons-for-tunisias-stalled-transition?lang=en.
[15] Guesmi, Haythem. «What Happened in Tunisia Was a Coup».   Al Jazeera. https://www.aljazeera.com/opinions/2021/7/27/what- happened-in-tunisia-was-a-coup.
[16] «Syria Gets Temporary Constitution for Five-Year Transition», 14 marzo 2025. https://www.bbc.com/news/articles/c70ely2p6e4o.
[17] Al Jazeera. «Syria’s al-Sharaa Signs Temporary Constitution». https://www.aljazeera.com/news/2025/3/13/syrias-al- sharaa-signs-five-year-temporary-constitution.
[18] Kajjo, Sirwan. «Analysts See Flaws in Syria’s Temporary Constitution». Voice of America, 14 marzo 2025. https://www.voanews.com/a/analysts-see-flaws- in-syria-s-temporary-constitution/8011117.html.
[19] Milanovic, Marko. «Israel’s Use of Force Against Syria and the Right of Self-Defense». EJIL: Talk! (blog), 12           dicembre         2024. https://www.ejiltalk.org/israels-use-of-force-against- syria-and-the-right-of-self-defense/.
[20] L’Orient Today. «Arrest of Syrian Groups “Involved in Arms Sales to Hezbollah”», 19 febbraio 2025. https://today.lorientlejour.com/article/1448469/arrest- of-syrian-groups-involved-in-arms-sales-to- hezbollah.html.
[21] Nakhoul, Samia, Maya Gebeily, e Timour Azhari. «New Syrian Leader Sharaa Says Killings of Alawites Threaten Unity, Vows Justice». Reuters, 10 marzo 2025, sez.  Middle   East. https://www.reuters.com/world/middle-east/new- syrian-leader-sharaa-says-killings-alawites-threaten- unity-vows-justice-2025-03-10/.
[22] «South Syria Fighters Reluctant to Give up Weapons: Spokesman – AL-Monitor: The Middle Eastʼs Leading Independent News Source since 2012». https://www.al- monitor.com/originals/2025/01/south-syria-fighters- reluctant-give-weapons-spokesman. [23] «SDF Rejects Integration and Calls for Israeli Involvement in Syria». levant24, 4 febbraio 2025.
[24] Dinc, Pinar. «PKK Leader’s Call to Disarm Fuels Hope for End to Kurdish Conflict – but Peace Is Not Imminent».   The         Conversation,       4             marzo     2025. http://theconversation.com/pkk-leaders-call-to-disarm- fuels-hope-for-end-to-kurdish-conflict-but-peace-is- not-imminent-251281.
[25] Al-Khalili, Charlotte, e Melissa Gatter. «Syria after Assad: Why Many Syrian Refugees Aren’t Returning Home».  The         Conversation,       24           marzo     2025. http://theconversation.com/syria-after-assad-why- many-syrian-refugees-arent-returning-home-251654.


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