La “Grande Carta Verde” della Libia del 1988: una lettura islamica dei diritti umani


L’approfondimento della Grande Carta Verde dei diritti dell’uomo nell’epoca della Jamahiriyya, emanata da Mu’ammar Gheddafi nel 1988, si inserisce in un discorso più generale sulla tutela dei diritti umani nell’ambito dei paesi islamici, in particolar modo nella regione a maggioranza araba. Bisogna precisare che sebbene la locuzione “diritti umani” rimandi a situazioni soggettive assimilabili universalmente ad ogni uomo, a prescindere dalla sua appartenenza etnica, religiosa o nazionale, la loro applicazione è stata storicamente declinata secondo visioni particolari e pluralistiche.


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Il dibattito tra universale e particolare assume una rilevanza netta nell’ambito dei paesi di religione islamica, in cui questa «ha condizionato il pensiero dottrinale, l’ermeneutica giuridica e le norme di comportamento»1, conducendo alla nascita di una pluralità di scuole e interpretazioni più o meno legate alla legge rivelata, la shari’a. La dialettica tra shari’a e siyàsa, cioè il diritto come prodotto della politica, ha animato numerosi dibattiti nel mondo musulmano e si è parzialmente risolta nel corso del XIX secolo, sotto l’influenza dei colonizzatori europei, con l’affermazione della siyàsa mediante «la costruzione di sistemi di diritto positivo fondati sulla legge (qanùn2.

I processi di modernizzazione e di laicizzazione del diritto nel mondo arabo-islamico hanno investito soprattutto alcuni settori, come ad esempio quello delle obbligazioni e dei contratti, per ragioni politiche ed economiche, mentre gli ambiti legati al diritto di famiglia e a quello penale risultano generalmente più attaccati alle radici sciaraitiche3.

Ciò ha avuto come effetto la necessità di una lettura autoctona per i diritti umani, inscindibili ancora oggi dalla matrice religiosa, da cui ricevono legittimazione, tutela e garanzia. I riferimenti religiosi nei testi costituzionali umani sono una cifra distintiva dei paesi arabo-islamici e variano in base al grado di acculturazione giuridica e sociale dei loro ordinamenti rispetto a quelli occidentali. Tali riferimenti sono stati ripresi nel corso degli ultimi decenni anche dalle Carte regionali redatte in quest’area, veri e propri tentativi di delineare delle “Carte islamiche dei diritti” 4.

Questi documenti dunque non devono essere interpretati in contrasto con le carte universali dei diritti come la Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948 e vanno invece inquadrati attraverso la chiave di lettura dell’«universalismo situato», utile a bilanciare tra tendenza all’universalizzazione e conservazione di norme, valori e istituzioni locali5. Attraverso questa clausola è possibile effettuare l’analisi della Grande Carta Verde libica del 1988, che come quasi tutti i documenti locali presenta la tensione bipolare tra tradizione sciaraitica e qanùn.

2. La Grande Carta Verde del 1988 deve essere letta in continuità con lo spirito delle proclamazioni precedenti dell’epoca di Gheddafi (la Costituzione del 1969, il Libro Verde e il Proclama del 1977). Essa però rappresenta anche un unicum per via di un ammorbidimento della “terza via” del ra’īs e della dottrina statale imbevuta di socialismo e di islamismo.

Il testo del 1988 contiene alcune aperture di rilievo sui diritti civili e politici. Non è un caso che esso sia stato emanato dopo gli anni dell’escalation di tensioni con gli Stati Uniti, culminata con l’attacco aereo americano del 15 Aprile 19866. L’isolamento internazionale e il peso delle sanzioni economiche convinsero Gheddafi ad adottare un atteggiamento più permissivo, per lo meno in politica interna. Ciononostante, la Carta esprime al meglio il nocciolo duro del pensiero di Gheddafi e presenta degli elementi di contatto soprattutto con il Libro Verde, fonte di ispirazione della graduale islamizzazione del diritto nel corso degli anni Settanta. L’Islam resta un riferimento centrale già dal Preambolo, in cui viene menzionato un celebre detto del secondo califfo Omar a proposito della libertà degli individui 7

Questo tentativo di acquistare una legittimazione religiosa precede però degli articoli in cui si può dedurre una rottura con la centralità dell’islam. L’impostazione confessionale scompare, così come ogni riferimento alla shari’a, e i diritti umani vengono definiti come patrimonio dell’individuo, che non gli è stato donato da nessuno e che può trovare piena realizzazione solo nella Jamahiriyya8. Scorrendo i vari articoli si notano altre caratteristiche che sembrerebbero quasi far parte di testi laici. L’art. 17 afferma il principio di eguaglianza e di non discriminazione tra gli uomini per ragioni legate al colore, alla razza, al credo e alla cultura, a cui si è giunti tramite una lettura innovativa del testo coranico, secondo i commentatori musulmani della carta9.

L’art. 10 restituisce comunque importanza al ruolo della religione per la comunità e del Corano come fondamento del sistema sociale. Inoltre, non viene prevista la possibilità di cambiare religione, probabilmente una mossa che Gheddafi giudicò necessaria per non ferire la sensibilità religiosa degli ulema e la coscienza del pio popolo libico.

Si può parlare pertanto di una concezione eterodossa dell’islam, funzionale alla creazione del sistema politico e sociale della Jamahiriyya: esso non è assolutizzato come riferimento teorico, ma è possibile ritrovarne le tracce in alcuni diritti che vengono concessi apertamente. La libertà di pensiero e di opinione viene garantita a tutti i cittadini (art. 5, 19) proprio sulla base di fondamenti coranici. Per la shari’a infatti l’espressione della propria opinione è un atto fard, cioè obbligatorio, ma solo se tale parere è positivo, così com’è doveroso astenersi dal manifestare giudizi negativi senza che vi siano ragioni fondate10.

Altri principi affermati nella Carta che possono essere ricondotti alle radici coraniche riguardano:

  • La proibizione dell’aggressione, del ricorso all’uso della forza e del terrorismo (art. 16), uniti alla condanna contro ogni forma di sfruttamento, oppressione o colonialismo (art. 18). Il Corano richiama spesso alla tolleranza e al rispetto degli impegni assunti 11.

  • Il principio di legalità e di personalità della pena, in base al quale nessun individuo può essere punito per dei peccati altrui, come recita pure il Corano (VI, 164)12. Inoltre, così come nella shari’a, la Carta prevede la pena di morte soltanto contro individui estremamente pericolosi per la società, ma vieta il ricorso a metodi riprovevoli (art. 8). La Carta sancisce pure il diritto di ciascun individuo di fare causa nonché la formale indipendenza della giustizia.

La novità principale che segna la distanza della Grande Carta Verde da una visione islamica tout court riguarda l’uguaglianza tra uomo e donna, proclamata senza mezzi termini nell’art. 21, che vieta distinzioni di diritti in base al genere e sancisce l’uguaglianza dei coniugi nel matrimonio. L’art. 25 quindi reitera il principio della parità dei sessi, esortando uomini e donne a partecipare nella stessa misura alla difesa della patria.

Non mancano comunque delle forti criticità. La legge libica sul diritto di famiglia (10/1984) infatti è fortemente conservatrice. In materia di scioglimento del matrimonio, il ripudio (talàq) non è mai stato abrogato, pur essendo sottoposto alla preliminare autorizzazione da parte del giudice. Vengono poi riconosciute alcune forme arcaiche di ripudio quali il giuramento di astinenza (ilà, art. 43), il giuramento imprecatorio (li’an, art. 53) e lo zihàr (art. 44)13.

Infine, per quanto riguarda la vexata quaestio della poligamia, bisogna ricordare che pur non essendo proibita, sono stati fatti passi avanti nell’abbassamento del numero massimo di mogli a due (art. 13) e nei meccanismi deterrenti che cercano di scoraggiare la pratica, quali il previo consenso della prima moglie e l’autorizzazione del giudice14.

La Grande Carta Verde, in conclusione, contiene diverse affermazioni di principio che potevano far pensare ad una fase di liberalizzazione e di graduale tutela dei diritti umani in Libia. Il fatto che questo non si sia verificato non dipende in automatico dai precetti del Corano o della shari’a, che come possono essere fonti di legittimazione di diritti civili, politici e sociali, bensì nella tendenza di Gheddafi a instaurare una forma di governo autoritaria. Secondo alcuni gli ambiziosi principi della Carta rimasero lettera morta15: i diritti civili e politici non furono concessi, così come la libertà di opinione, di stampa e di formare partiti d’opposizione. Ciò principalmente per via dell’aureola di ambiguità che gravitava sul documento e del clima di incertezza in una società chiusa e autoreferenziale, in cui niente poteva opporsi alla sovranità delle masse. Il che implicava, ad esempio, la morte sul nascere di qualsiasi fazione che fosse contraria al regime, così come l’assenza della libertà di stampa, giudicata inutile giacché «i cittadini si sarebbero potuti esprimere liberamente durante i Congressi Popolari»16. Ma soprattutto, lo iato tra difesa dei diritti umani e realtà politica sul campo sarebbe visibile nelle parole dell’articolo 25, secondo cui «ogni cittadino deve difendere la Jamahiriyya fino alla morte», creando un ostacolo insuperabile per la completa realizzazione della libertà dell’individuo17.

3. Volgendo lo sguardo ai principi fondamentali della Costituzione del 2011, redatta dal Consiglio Nazionale di Transizione dopo il rovesciamento di Gheddafi, si notano degli spunti promettenti in materia di diritti umani, partendo dall’aspirazione del popolo libico ad uno Stato basato «sulla democrazia, sul principio del pluralismo politico e sulle istituzioni». In continuità con il passato, non viene negato il ruolo della religione islamica come parametro di legittimazione del nuovo governo. L’islam è infatti «religione di Stato e la shari’a fonte primaria della legislazione», con la garanzia della libertà di culto per i non musulmani (art. 1). Si prevede tra l’altro che «tutti i diritti e le libertà riconosciute nella Dichiarazione siano soggetti alla shari’a» (art. 24) e che «la shari’a è l’unica fonte per l’interpretazione di ciascun articolo della Dichiarazione» (art. 25)18, il che sembrerebbe far pensare ad un rinforzamento dell’intelaiatura confessionale ad opera del CNT e dei suoi componenti più vicini all’islam politico.

Così come nella Carta Verde, viene riconosciuta l’uguaglianza dei cittadini senza alcuna discriminazione (art. 6). Di qui la previsione che accanto all’arabo, lingua ufficiale dello Stato, vi sia un’adeguata protezione «dei diritti culturali di tutti i componenti della società libica, le cui lingue sono considerate lingue nazionali», con riferimento ai berberi. Per quanto riguarda la forma di governo, viene ribadito il principio del multipartitismo e assicurata, più credibilmente rispetto alla Carta del 1988, la libertà di associazione e di costituire partiti e organizzazioni della società civile. Le elezioni del 7 Luglio 2012 sono state il primo segnale tangibile dell’inizio del processo di transizione, nonostante la partecipazione risicata del 20% appena degli aventi diritto al voto, che però si è rapidamente arenato a causa della frammentazione estrema degli schieramenti (lungo linee di faglia claniche, tribali, regionali) e dell’assenza di una dimensione statuale di riferimento che garantisca il rispetto di diritti e doveri, nonché il controllo del territorio. Il governo centrale di Tripoli deve tutt’ora fare i conti con la spina nel fianco rappresentata da Haftar (che gode del sostegno internazionale di attori quali Francia, Egitto e Russia), con la presenza di tribù che esercitano di fatto la loro autorità in diverse zone del paese, con un tasso di corruzione percepita tra i più alti al mondo19 e con la proliferazione capillare di cellule jihadiste, per lo più affiliate al sedicente Stato Islamico, che hanno messo a repentaglio la sicurezza del paese.

Di conseguenza, nessun agenda dei diritti umani, per quanto ricca di ambizioni e riconosciuta da rilevanti sponsor internazionali, potrà mai essere implementata nella Libia odierna fintantoché non sarà risolta la dialettica tra la legalità dell’autorità formale di Tripoli e la legittimità sostanziale di poteri, in primis quello di Haftar, che non si lasceranno scappare dalle mani le porzioni di territorio su cui esercitano il controllo e da cui ricevono consensi.


Note:

1 {Donini V., Scolart D., La shari’a e il mondo contemporaneo, Carocci, Roma, 2015, p. 13}.

2 Ivi, p. 16.

3 {Castro F., Il modello Islamico, Giappichelli, Torino, 2007}.

4 {Ad esempio la Dichiarazione Islamica dei diritti dell’uomo del 1981 e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo nell’islam del 1990, che sono due chiari esempi di quanto il tema dei diritti umani possa essere calato in nomoi differenti, preservandone la specificità tradizionale senza perdere la propria carica universale}.

5 {Algostino A., I diritti fra rispetto delle culture e imposizione di un modello: la via dell’universalismo situato, in Orrù R., Sciannella L.G. (a cura di), Limitazioni di sovranità e processi di democratizzazione, Torino, 2004}.

6 {Cresti F., Cricco M., Storia della Libia contemporanea, Carocci, Roma, 2015, pp. 241-253}.

7 {Papa M., La grande Carta verde dei diritti dell’uomo nella Giamahiriyya libica, in Ungari P., Modica M.(a cura di), Per una convergenza mediterranea sui diritti dell’uomo, vol. III: Orientamenti critici e ricostruttivi, LUISS, Centro di ricerca e di studio sui diritti dell’uomo, Roma, 1999, p. 57}.

8 {Ivi, p. 58}.

9 {Al-Madjub M., I diritti dell’uomo e le sue libertà nella shari’a islamica e nelle leggi scritte, in La Grande Carta Verde dei diritti dell’uomo nell’era delle masse, a cura del Centro Mondiale di Studi e Ricerche sul Libro Verde, Tripoli, 1989, pp. 33-51}.

10{Papa M., La grande Carta verde dei diritti dell’uomo nella Giamahiriyya libica, op.cit., pp. 66-67. Il Corano d’altronde invita a costituire una società che si ispira al Bene e combatte il Male, il che può essere letto come la legittimazione dell’art. 6 sulla diritto di costituire associazioni e sindacati. Si veda Corano, III, 104: «E si formi da voi una nazione d’uomini che invitano al bene, che promuovono la giustizia e impediscono l’ingiustizia. Questi saranno i fortunati», in Bausani A., Il Corano. Introduzione, traduzione e commento, Rizzoli, Milano, 1996, p. 45}.

11 {«Combattete sulla via di Dio coloro che vi combattono, ma non oltrepassate i limiti, ché Dio non ama gli eccessivi. Uccideteli dunque chi vi combatte ovunque li troviate e scacciateli di dove hanno scacciato voi, ché lo scandalo è peggio dell’uccidere; ma non combatteteli presso il Sacro Tempio, a meno che non siano essi ad attaccarvi colà: in tal caso uccideteli. Tale è la ricompensa dei Negatori», Corano, II, 190-191, Bausani A., Il Corano. Introduzione, traduzione e commento, op.cit., p. 22}.

12 {«Nessun anima carica sarà caricata del carico altrui», in Bausani A., Il Corano. Introduzione, traduzione e commento, op.cit., p. 105), cit. in Papa M., La grande Carta verde dei diritti dell’uomo nella Giamahiriyya libica, op.cit., p. 65}.

13 {Donini V., Scolart D., La shari’a e il mondo contemporaneo, op. cit., p. 76. La legge libica prevede inoltre il triplice ripudio (art. 34) ed è particolarmente severa anche in merito al ripudio dietro corrispettivo (khul, art. 48), per il quale la donna può offrire una somma di denaro, restituire il mahr e addirittura la custodia dei figli}.

14 {Ivi, p.79}.

15 {D. VANDEWALLE, A history of modern Libya, Cambridge, Cambridge University Press, 2012, pp. 142-143}.

16 {Ibidem}.

17 {A. E. MAYER, Building the New Libya. Lessons to Learn and to Unlearn, in «University of Pennsylvania Journal of International Law», Vol. 34, Iss. 2, 2013, Art. 4, p. 378}.

18 {Sbailò C., Diritto pubblico dell’Islam Mediterraneo. Linee evolutive degli ordinamenti nordafricani contemporanei, op.cit., p. 95}.

19 {Tra i dieci paesi peggiori del mondo, con uno score di appena 17/100, secondo il Rapporto del 2017 di Transparency International, www.transparency.org }.

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