Nove anni dopo: il genocidio culturale degli Yazidi e la sfida all’impunità legale


I crimini perpetrati dal sedicente Stato Islamico dall’agosto 2014 contro la minoranza Yazida rappresentano un tragico esempio di genocidio culturale non riconosciuto, un crimine efferato che in mancanza di una definizione giuridica esaustiva sfugge alla morsa delle leggi internazionali.


Di Martina Biral

L’evoluzione giuridica del genocidio culturale

Posizionato all’intersezione tra il diritto internazionale dei diritti umani e il diritto penale internazionale, il concetto di genocidio culturale rimane un argomento di estrema controversia. Le sue origini risalgono al 1944, quando Raphael Lemkin, un giurista polacco-ebraico, lo concepì per la prima volta nel tentativo di condannare la Germania nazista per gli orribili crimini commessi durante l’Olocausto.
Subito dopo la Seconda guerra mondiale, gli Stati si erano impegnati a intensificare la cooperazione anche attraverso l’istituzione di sistemi giuridici mirati a rafforzare i diritti umani e il diritto penale. Questo sembrava essere il momento propizio per avviare discussioni sulla protezione della cultura. Nonostante gli sforzi post-bellici, le sfide persistevano. In particolare, il tentativo di includere la componente culturale nella nascente Convenzione per la Prevenzione e la Repressione del Genocidio del 1948 si rivelò infruttuoso. In aggiunta, la proposta di una disposizione sui diritti delle minoranze, concepita per fungere da controparte del genocidio culturale e da inserire nella futura Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, si scontrò con una sorte analoga. Spingendoci verso tempi più recenti, la diffusa e sistematica distruzione del patrimonio culturale degli Yazidi in Siria e in Iraq da parte dell’ISIS ha riacceso con urgenza la necessità di definire giuridicamente il genocidio culturale.

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La persecuzione della minoranza Yazida

Gli Yazidi costituiscono una minoranza curda eterodossa.[1] Originariamente insediati in regioni remote dell’Iraq, della Turchia, della Siria e dell’Iran,[2] gli Yazidi rappresentano una delle comunità più antiche del mondo, con una storia che si estende per oltre 6500 anni. Tuttavia, le origini della loro cultura rimangono oscure e oggetto di dibattito accademico. Secondo alcuni studiosi, la loro storia affonda le radici nelle antiche civiltà Sumere e Babilonesi; per altri, potrebbero discendere dai Parsi.[3]
Anche la loro religione presenta un panorama complesso, poiché lo Yazidismo è considerato un’antica fede che incorpora elementi dello Zoroastrismo e del Mitraismo, e mostra tracce di influenze ebraiche, cristiane e islamiche.
La mancanza di un testo sacro specifico, insieme alla loro venerazione di Dio (Azda-Khuda) nella sua concezione di “unità e molteplicità”, unita alla credenza nell’Angelo Pavone, noto come Malak Ta’us e considerato un simbolo del male nelle tradizioni ebraiche, cristiane e islamiche, ha portato frequentemente a etichettarli come adoratori del diavolo.[4]  

Questo presunto culto idolatrico è stato alla radice di una lunga storia di persecuzioni subite dagli Yazidi, con un totale di settantatré episodi di genocidio documentati, che ebbero inizio durante l’Impero Ottomano e culminarono con gli attacchi dell’ISIS nel 2014. Questa lunga serie di violenze ha avuto un impatto significativo non solo sulla demografia degli Yazidi, ma anche sul loro ricco patrimonio culturale e religioso.

La distruzione del patrimonio culturale tangibile e intangibile

Il 3 agosto 2014, l’organizzazione notoriamente denominata “Stato Islamico” ha perpetrato un devastante assalto nella terra d’origine della comunità Yazida, ubicata nella regione di Sinjar. In un drammatico sviluppo degli eventi, le forze curde incaricate della sicurezza di tale regione abbandonarono l’area, parallelamente all’esodo degli stessi membri della comunità Yazidi. Questi tragici avvenimenti hanno esposto il prezioso patrimonio materiale degli Yazidi all’atroce assalto perpetrato dai militanti affiliati all’ISIS.
Gli attacchi in questione hanno rappresentato molto più di una semplice operazione militare; hanno comportato una violazione della sacralità delle terre ancestrali degli Yazidi. Il patrimonio culturale in questione comprendeva siti religiosi, luoghi di culto, santuari e mausolei, i quali sono stati completamente distrutti.[5] Si contano un totale di sessantotto santuari rasi al suolo nei principali villaggi di Bashiqa, Bahzani, Sinjar e Walat Sheikh.[6] Sebbene gli attacchi siano stati giustificati dall’ISIS invocando motivazioni di conservatorismo religioso e denunciando presunte pratiche idolatriche, è divenuto evidente che la distruzione indiscriminata messa in atto dai militanti era alimentata da una complessa rete di intenzioni. Tali atti rientrano in una strategia più ampia, volta a spezzare i legami che univano le comunità minoritarie alla loro terra d’origine e alle loro tradizioni. Questi atti sono stati ripetutamente descritti come “pulizia culturale” o “genocidio culturale” dalla comunità internazionale. Tuttavia, finora non sono state pronunciate condanne per tali crimini contro il patrimonio culturale.

La distruzione culturale come atto genocidario

Conformemente alle relazioni fornite dalla Commissione Internazionale d’Inchiesta sulla Repubblica Araba Siriana, il sedicente Stato Islamico ha perpetrato la distruzione sistematica di santuari e templi come parte del proprio piano mirato a cancellare la presenza della minoranza Yazida. Tale distruzione non solo ha comportato una perdita culturale di proporzioni incommensurabili, ma ha altresì ostacolato la capacità della comunità di svolgere i propri riti religiosi e pratiche culturali, determinando la rottura dei legami sociali e la cancellazione stessa dell’identità comunitaria. Le generazioni future rischiano di crescere o di essere educate in un contesto radicalmente diverso minando la sopravvivenza stessa del gruppo.
È rilevante notare, come evidenziato dal Procuratore della Corte Penale Internazionale Fatou Bensouda nella sentenza Al-Mahdi, che tali atti hanno deliberatamente inflitto al gruppo condizioni di vita progettate per indurre la sua distruzione fisica, totale o parziale,[7] in linea con quanto stabilito nella disposizione (d) dell’articolo II della Convenzione per la Prevenzione e la Repressione del Genocidio.
Un aspetto spesso trascurato in questo contesto è il conseguente danno mentale inflitto alla minoranza yazida. Il conseguente sfollamento forzato degli Yazidi, unitamente alla distruzione del loro tessuto sociale ed edificato,[8] ha avuto un profondo impatto psicologico sulla comunità. Si configura pertanto ciò che può essere classificato come danno mentale ai sensi dell’articolo II (b) della Convenzione per la Prevenzione e la Repressione del Genocidio. Non va trascurato il fatto che la natura ambivalente di tali disposizioni, che non richiedono necessariamente la distruzione fisica, consente di utilizzarle per condannare atti che, se dovesse mai sorgere un riconoscimento legale, rientrerebbero più propriamente sotto l’etichetta di “genocidio culturale”. Tuttavia, ad oggi gli attacchi mirati alla cultura sono stati impiegati unicamente per dimostrare l’intento genocida e non hanno portato a condanne specifiche per crimini culturali.

Nove anni dopo

A nove anni dall’inizio degli attacchi, l’impatto persistente e profondo di tali abusi, violazioni e crimini sulle vittime è evidente. Yazda, un’organizzazione globale guidata dalla comunità, focalizzata sulla promozione della responsabilità e della giustizia per il genocidio perpetrato dall’ISIS, ha posto in evidenza questa realtà durante una conferenza tenutasi a Erbil in occasione del nono anniversario dell’inizio degli attacchi. Tale anniversario rappresenta un’opportunità significativa per riflettere sul continuo conflitto armato in corso nella regione di Sinjar e sull’inequivocabile influenza che ha sugli abitanti di questa regione.
Decine di Stati e istituzioni internazionali hanno ufficialmente riconosciuto i crimini perpetrati dall’ISIS contro gli yazidi come genocidio, una valutazione condivisa anche dalle Nazioni Unite. Nonostante tali passi positivi, si pone l’esigenza di un impegno ulteriore. Fino a oggi, solamente quattro condanne di combattenti dell’ISIS sono state pronunciate, l’ultima delle quali è avvenuta il 29 agosto 2023 a carico di Jennifer W., condannata a quattordici anni di reclusione. Tuttavia, in nessuna di queste sentenze gli attacchi alla cultura sono stati riconosciuti come forma di genocidio.
Attraverso un rapporto consegnato nella stessa data della conferenza, Yazda presenta le testimonianze di tre vittime della comunità yazida e documenta la completa distruzione dei villaggi di Ger Zerik, Siba Sheikh-Kheder e Tel Azer,[9]  nei quali ogni traccia di cultura è stata sistematicamente cancellata.
Questo rapporto si configura come un documento attestante quanto accaduto, fornendo così le basi necessarie per future indagini e per offrire supporto alle vittime che, con grande determinazione, richiedono: “Che scrivano di noi e della nostra storia e la insegnino nelle scuole, in modo che nessuno dimentichi quello che ci è successo e quello che abbiamo passato.”[10]


Note

[1] FUCCARO, N., “Communalism and the State in Iraq: The Yazidi Kurds, c.1869-1940”, Middle Eastern Studies, vol. 35, no. 2, 1999, p.1.
[2] ALLISON, C., “The Yazidis”, Oxford Research Encyclopedia of Religion, Oxford University Press, 2017, p.1.
[3] “Destroying the soul of the Yazidi”, RASHID International, Yazda et EAMENA Project, 2019, p.29.
[4] Ibidem.

[5] BACHMAN, J., Law, Politics, and Global Manifestations, Routledge Studies in Genocide and Crimes against Humanity, 1st ed., 2019, p. 115-117.
[6] “Destroying the soul of the Yazidi”, p. 19.
[7] The Prosecutor v. Ahmad Al Faqi Al Mahdi, Statement of the Prosecutor of the International Criminal Court, International Criminal Court (ICC), ICC-01/12-01/15, 22 August 2016 in ELLIS, M.S., “The ICC’s Role”, op. cit., p. 29.
[8] BACHMAN, J., Law, Politics, and Global Manifestations, Routledge Studies in Genocide and Crimes against Humanity, 1st ed., 2019, p. 214.
[9]From Resistance to Rubble: The Stories of Ger Zarik, Siba Sheikh-Kheder and Tel Azer”, Yazda, 3 August, 2023.
[10] Ibidem, p. 60.


Foto copertina: Nove Anni Dopo: il Genocidio Culturale degli Yazidi e la Sfida all’Impunità Legale