Muore a 89 anni l’ex Presidente dell’Uruguay.
Da guerriero tupamaro a Presidente dell’Uruguay, la storia di resistenza e rinascita di José “Pepe” Mujica
José Alberto Mujica Cordano, conosciuto semplicemente come “Pepe” Mujica, è stato un floricoltore, guerrigliero e politico di sinistra nato in Uruguay il 20 maggio 1935 nel barrio Paso de la Arena di Montevideo. Figura latinoamericana storica e indimenticabile, Mujica è stato Presidente della Repubblica dal 2010 al 2015. Il suo stile comunicativo immediato, la sua onestà e limpidezza intellettuale, la sua filosofia di pensiero e di vita, il suo austero e scarno stile di vita l’hanno reso una delle figure più leggendarie del Sudamerica e non solo, tanto da valergli appellativi come: “Il presidente più povero del mondo” e “Il saggio del Sud”. Nel 1956 ebbe inizio la sua militanza politica nel Partido Nacional che lo elesse, successivamente segretario generale della sezione giovanile. Nel 1962 abbandonò il partito per fondarne uno nuovo, Union Popular. In quello stesso decennio, tuttavia, la politica dell’Uruguay e di tutto il Cono Sud fu travolta dal vento dell’autoritarismo e della violenza armata ad opera delle forze di governo, ciò portò Mujica ad unirsi alla guerriglia urbana con il Movimento de Liberación Nacional – Tupamaros, operando in clandestinità. Durante la guerriglia fu raggiunto da sei colpi di arma da fuoco e finì nel carcere di Punta Carretas a Montevideo; da qui fuggì per poi essere nuovamente arrestato. In totale, fu arrestato ben quattro volte, brutalmente torturato fisicamente e psicologicamente, fino quasi alla morte, trascorrendo circa quindici anni in prigione con la “colpa” unica di essere un oppositore politico, un guerrigliero. Il suo ultimo periodo di detenzione fu dal 1972 al 1985, anni durante i quali visse una condizione di isolamento durissimo che, come racconterà lui stesso, lo portò sull’orlo della follia e ad un passo dalla morte. Parlando della sua prigionia racconterà: «Io sono stato schiacciato fratello: ho passato 7 anni in prigione senza poter leggere un libro, e la notte che mi hanno dato un materasso per dormire ero felice, un materasso per terra. Sono arrivato a conservare qualche briciola per dei topi che si presentavano verso l’una o le due del mattino, le razionavo. Quelli venivano contenti e io gli davo qualche briciola. È così che ho imparato che anche le formiche urlano, nella solitudine, e non sono morto, ho seguito il corso della vita. Non possiamo essere così deboli da rinunciare all’avventura di vivere e credere che sia una soluzione toglierci la vita, se la vera avventura, il vero miracolo, è di essere nati»[2]. Nel 1985, alla fine della dittatura, fu rimesso in libertà e, con gli esponenti del Movimento de Liberación Nacional – Tupamaros sopravvissuti e alcuni partiti di sinistra, fondò il Movimiento de Partecipación Popular (MPP) all’interno di una coalizione denominata Frente Amplio. Con loro nel 1994 fu eletto deputato e nel 1999 senatore. Nel 2004 la coalizione da lui fondata divenne la prima forza politica al governo portandolo all’incarico di Ministro dell’Allevamento, la pesca e l’agricoltura nel 2005. Il 29 novembre 2009 – gli anni della cosiddetta Marea Rosada, della svolta progressista e di sinistra in America Latina – fu eletto Presidente della Repubblica con oltre il 52% di voti. Tra i presenti al suo insediamento anche sua moglie, Lucía Topolansky, la senatrice più votata del partito di maggioranza. Anche lei era stata un’esponente di spicco del Movimento, passando anche’ella molti anni in cattività, costretta a violente e brutali torture. Nel 2013 il settimanale statunitense The Economist nominò l’Uruguay da lui guidato “Paese dell’anno” per due storiche riforme approvate: la legalizzazione del matrimonio omosessuale e la legge per regolamentare la produzione, la vendita e il consumo di marijuana. Una volta concluso il suo mandato, Mujica è stato rieletto senatore dal 2015 al 2020 e poi dal 2020 al 2025, tuttavia a causa del Covid prima e dell’insorgere della malattia poi, rinuncerà al suo incarico. Parlando di sé stesso e della sua storia dirà: «Sono stato un tizio molto fortunato. La morte mi ha ronzato attorno tante volte, ma non ha voluto prendermi, mi ha dato del tempo. Oggi ho 82 anni. Da giovane avevo i difetti di tutti giovani, volevo cambiare il mondo, sono dovuto andare in prigione, ho preso qualche pallottola, sono evaso due volte, comunque sono andato avanti. Poi dopo, una volta finita la dittatura, abbiamo deciso di cambiare, perché il popolo uruguayano non ne voleva più sapere. Abbiamo virato verso la militanza legale. Sono stato deputato, poi senatore, poi ministro, presidente e ora siamo qui a questo punto, ci ritiriamo. Il mio nome è José Mujica e come tutti i José faccio Pepe di soprannome. Sono nato in un quartiere di “chacras”, a metà tra città e campagna. Amo la terra, sono un contadino, una specie di zolla con le zampe. Amo molto la natura. Filosoficamente coltivo la sobrietà»[3]. Sebbene durante la sua presidenza abbia rinunciato al suo tipico abbigliamento informale e nelle occasioni più formali abbia indossato un abito su misura non ha mai indossato la cravatta. Personalità iconica della sinistra, guardata con rispetto e ammirazione anche dalla destra latinoamericana, Pepe Mujica è stato una figura dirompente e straoridnaria, che ha dimostrato fino agli ultimi giorni di vita terrena – terminata a causa di un tumore all’esofago – che esiste un modo diverso di fare politica. Interrogato sul suo modesto stile di vita dirà: «Mi hanno fatto passare per il presidente povero, ma non hanno capito un bel niente! Non sono povero: povero è chi ha bisogno di molto. La mia visione è stoica. Se la gente non impara a vivere con una certa sobrietà, a non sprecare, a non dilapidare, se non lo impara alla svelta, il nostro mondo non resisterà. Quello che genera il desiderio di denaro è poter comprare sempre cose nuove, perché è quello che permette l’accumulazione, ma per preservare la vita del pianeta dobbiamo imparare a vivere con il necessario e a non sprecare, ossia esattamente il contrario. Ecco perché questa lotta è un’epopea di natura culturale»[4].
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Per decenni, e fino all’ultimo giorno di vita terrena, Pepe Mujica e sua moglie Lucía Topolansky hanno vissuto in una modesta chacra[5] nella zona di Rincón del Cerro. Non hanno lasciato quella residenza nemmeno durante gli anni alla presidenza. In quel periodo Mujica donò il 90% del suo compenso e viaggiò in seconda classe durante tutti gli spostamenti ufficiali. Il loro intero patrimonio consiste proprio nella chacra situata nella periferia rurale della capitale e in un maggiolone color carta da zucchero del 1987 targato Volkswagen, valutato 1800 dollari. Connotandosi per uno stile di vita molto minimale, Mujica ci lascia oggi un immenso patrimonio fatto di immagini significative – si pensi, ad esempio, alla sua ultima apparizione pubblica il 27 marzo 2025 quando stanco, piegato dalla malattia ma sempre come un costruttore di speranza, ha preso parte alle celebrazioni per i 40 anni dal ritorno alla democrazia in Uruguay organizzate dal Frente Amplio – e profonde riflessioni filosofiche. Dialogando con il linguista statunitense Noam Chomsky sui grandi temi del mondo di oggi – dai cambiamenti climatici alle guerre – ci ha trasmesso molto del suo sapere e delle sua filosofia di vita. Interrogato sul consumismo e sulla cultura capitalista tipica dei nostri anni dirà: «Il consumismo è parte di quella cultura; è un’etica funzionale alle necessità del capitalismo nella sua lotta per l’accumulazione infinita. Il problema più grosso per il capitalismo sarebbe se smettessimo di comprare o se comprassimo pochissimo»[6]. Partendo da qui è necessario, secondo l’ex presidente, ricercare la gioia e la felicità nelle piccole cose della nostra quotidianità e in uno stile di vita più contenuto ma ugualmente appagante perché libero dalle regole del mercato: «Una vita ben vissuta si potrà avere quando dedichi la maggior parte del tuo tempo a ciò che ti piace, a ciò che ti motiva. La felicità non è solo una cosa sensoriale, la felicità non equivale al piacere. La felicità equivale all’equilibrio di sentire che stai realizzando con gioia ed entusiasmo ciò per cui ti impegni. Per vivere bisogna lavorare, certo, ma la vita non è solo lavorare, bisogna avere il tempo per vivere; quindi, la sobrietà fa parte della conquista della libertà. Ma se il mercato occupa tutto il mio tempo, per cui vivo accumulando cose, allora non sono libero»[7]. Più di tutto è dunque alla nuove, giovani generazioni a cui bisogna guardare e per le quali si deve auspicare un cambiamento: «Qual è il destino dei giovani contemporanei? Invecchiare pagando le bollette? Confondere la felicità con l’acquistare un oggetto nuovo e dopo averne uno ancora più nuovo, finché non saranno vecchi? Vale la pena lottare per un mondo migliore in cui la società abbia voce in capitolo sulle decisioni da prendere su questi aspetti fondamentali. C’è la possibilità di ridurre la giornata lavorativa, la possibilità di usare la macchine pesanti per migliorare la sicurezza sociale»[8]. Saúl Alvídrez co-autore del volume Sopravvivere al XXI in chiusura gli chiederà: «Don Pepe, lei tante volte ha rischiato la vita per cambiare il mondo e ha pagato questa audacia con il carcere, con le pallottole, con tanta sofferenza. Mi dica dunque, lo dica a tutti giovani del mondo, da dove viene questa forza». Mujica gli risponderà con il massimo della franchezza e sincerità, parlando “a cuore aperto” a tutti: «Se ti torvi a dormire in montagna e ti svegli poco prima dell’alba, ti sorprenderai nell’ascoltare, nella penombra, gli uccelli cantare e parlare… E avrai l’impressione che siano grati che la notte sia passata, che il giorno sia arrivato e di essere vivi. Non ha senso al tristezza eterna, la sottomissione eterna: ogni giorno sorge il sole e devi ricominciare daccapo. Il valore della vita non sta nel trionfare: non c’è nessun trionfo perché alla fine la morte ci aspetta sempre. Il vero trionfo è rialzarsi ogni volta che si cade e ricominciare daccapo, in tutti i modi che si possono immaginare. Ricominciare è innamorarsi di nuovo quando si è giovani e una storia è andata male, è riprendersi da una malattia e rimettersi in moto, è perdere un lavoro e trovarne un altro, è che un amico ti tradisce e tu continui a farti degli amici, è saper sconfiggere la disperazione e non che la disperazione sconfigga te»[9].
Il cordoglio della politica e non solo
Numerosissimi i messaggi di cordoglio da parte di membri della Comunità Internazionale ma anche di intellettuali e semplici cittadini da tutte le parti del mondo. Il Presidente della Colombia, Gustavo Petro, affidando le sue riflessioni a X ha scritto: «È morto Pepe Mujica, il grande rivoluzionario, il presidente dell’Uruguay. Addio amico mio. Spero che l’America Latina abbia un giorno un inno, spero che il Sud America si chiami un giorno: Amazzonia. Oggi credo fermamente che il progetto di integrazione dell’America Latina sia quello di costruire, come l’Unione Europea, un’Unione Grancolombiana, che, nel cuore dell’America Latina e dei Caraibi, compia il passo decisivo verso l’integrazione»[10]. Il Presidente del Cile, Gabriel Boric, in un commovente messaggio ha salutato l’ex Presidente dell’Uruguay con parole di affetto sincero: «Pepe caro, immagino che tu te ne sia andato preoccupato per l’amara condizione del mondo di oggi. Ma se ci hai lasciato qualcosa, è stata l’inestinguibile speranza che sia possibile fare le cose meglio – “passo dopo passo per non uscire dal seminato”, come dicevi tu – e l’innegabile convinzione che finché il nostro cuore batte e c’è ingiustizia nel mondo, vale la pena continuare a lottare. Te ne vai fisicamente, ma resti per sempre. Ti prometto che l’ulivo che abbiamo piantato a febbraio nella tua fattoria fiorirà. Un abbraccio gigante a Lucia, che è un altro gigante d’America, al tuo popolo uruguaiano che hai tanto amato e a tutto il mondo che ti ha preso in prestito. Grazie per la tua vita e i tuoi insegnamenti. Con te sarà impossibile dimenticare»[11]. Ai messaggi di commiato si uniscono tramite X: il leader de La France Insoumise, Jean-Luc Mélenchon, «Addio Pepe Mujica, grazie per tutto il coraggio che ci hai dato, grazie per l’esempio che hai dato, grazie per la lezione di vita che è la tua morte scelta. Addio Pepe. Cammini con la luce della nostra lotta»[12]; l’ex Presidente della Bolivia, Evo Morales, «Siamo profondamente addolorati per la partenza di mio fratello Pepe Mujica. Ricordo sempre i suoi consigli pieni di esperienza e saggezza. Era un fervente sostenitore dell’integrazione e della Patria Grande. I suoi insegnamenti e il suo grande esempio rimangono. Mi stringo alla sua famiglia, ai suoi compagni di militanza e al popolo uruguaiano. Tutta l’America Latina è in lutto»[13]; Residente, cantautore portoricano fondatore del gruppo Calle 13, «Pepe, ci hai fatto pensare, ci hai fatto credere e ci hai insegnato a capire la complessità della vita in modo semplice: vivendola. Ci hai dato così tanto che passeremo anni e anni a studiarti, a scriverti, a leggerti, a metterti in rima. Vorrei avere un po’ del tuo coraggio per vivere liberamente come te. Mi mancherai tantissimo. Non puoi immaginare quanto»[14].
Note
[1] https://mpp.org.uy/jose-mujica/.
[2] J. Mujica, Chomsky & Mujica – Sopravvivere al XXI Secolo, Ponte delle Grazie, Milano, 2024, p. 131.
[3] Ivi, pp. 44 – 45.
[4] Ivi, p. 72.
[5] Termine andino mutato dalla parola quechua “chakra”, significa fattoria, campo agricolo o terra seminata.
[6] Ivi, p.70.
[7] Ivi, p. 136.
[8] Ivi, p. 80.
[9] Ivi, p. 207.
[10] https://x.com/petrogustavo/status/1922377953868197904.
[11] https://x.com/GabrielBoric/status/1922394149673959481.
[12] https://x.com/JLMelenchon/status/1922401810154680663.
[13] https://x.com/evoespueblo/status/1922372760921145806.
[14] https://x.com/Residente/status/1922420155495415847.
Foto copertina: Pepe Mujica