Intervista ad Antonio Mumolo, Presidente di “Avvocato di strada ONLUS”. L’Associazione “Avvocato di strada Onlus” è un’organizzazione nazionale di volontariato con sede a Bologna. Ha lo scopo di fornire assistenza legale e patrocinio gratuito alle persone senza dimora
A cura di Guido Casavecchia

L’Associazione “Avvocato di strada Onlus” è un’organizzazione nazionale di volontariato con sede a Bologna. Ha lo scopo di fornire assistenza legale e patrocinio gratuito alle persone senza dimora. Dal 2000 aiuta persone povere ed emarginate consentendo loro un effettivo accesso alla giustizia, assistendoli nell’esercizio dei loro diritti fondamentali. Gli avvocati volontari ricevono i senzatetto direttamente presso i centri di accoglienza e i dormitori pubblici delle 55 città italiane in cui operano.
Nel 2013 la ONLUS si è aggiudicata il Premio del Cittadino Europeo 2013 del Parlamento Europeo. Periodicamente realizza corsi formazione e pubblica rapporti di ricerca e manuali per operatori. Tra i libri dell’Associazione si ricordano “I diritti e la povertà” (Edizioni Sigem, 2004) e “I diritti dei minori” (Edizioni Arena, 2007).
Buongiorno Avvocato Mumolo, la vostra associazione è presente in 55 città italiane e conta più di 1000 volontari. Com’è nata quest’iniziativa?
Il primo progetto di Avvocato di strada è nato nel 2000 a Bologna all’interno di Piazza Grande, un’associazione che da alcuni anni si occupava in maniera innovativa di persone senza dimora. Tra i volontari di Piazza Grande c’erano anche alcuni avvocati che si erano resi conto ben presto di una cosa: chi vive in strada scivola in una spirale verso il basso e accumula tante problematiche legali che di fatto rendono impossibile un già difficilissimo ritorno alla vita comune e per il quale è indispensabile poter avere l’aiuto di un avvocato.
Quali obiettivi vi ponete e quali sono le vostre principali attività?
Il nostro obiettivo è aiutare da un punto di vista legale le persone che vivono in strada perché possano tornare ad essere pieni cittadini, con diritti e doveri. Come anticipavo nella risposta precedente, le persone senza dimora accumulano tanti problemi legali. Perdita di documenti, multe, fogli di via, eredità negate, lavoro nero non retribuito, problematiche familiari di difficile soluzione. Sono tutte problematiche che non possono essere risolte senza l’aiuto di un legale. In Italia in teoria è assicurata una difesa legale a tutti, anche ai non abbienti, attraverso l’istituto del gratuito patrocinio, che può essere richiesto da chiunque abbia un ISEE inferiore agli 11600 euro annui. Per fare domanda, tuttavia, occorre recarsi in tribunale, avere la residenza e presentare i propri documenti personali e quelli relativi alla propria storia legale e per la quasi totalità delle persone che vivono in strada questo è sostanzialmente impossibile. Chi vive in strada quindi non può pagarsi un avvocato e non può chiedere il gratuito patrocinio. Per questo nasciamo noi, per colmare una lacuna e garantire pieni diritti a tutti i cittadini, anche a quelli che si trovano momentaneamente in strada.
Oltre a fare assistenza legale, che rappresenta la nostra prima attività, portiamo avanti tanti altri progetti. Organizziamo convegni e corsi di formazione, realizziamo pubblicazioni e ogni anno lanciamo numerose iniziative pubbliche di sensibilizzazione dedicate a istituzioni e cittadinanza.
Quali sono i problemi legali a cui assistete con più frequenza?
Oltre a quelli già citati, il problema che affrontiamo più spesso è la mancata concessione della residenza anagrafica a chi vive in strada. Per i senza tetto è molto comune perdere la residenza, un requisito senza il quale di fatto si diventa invisibili e si vengono a perdere una serie di diritti civili fondamentali. Non si può votare, non si può essere assistiti dai servizi sociali, non si può fare domanda per una casa popolare, non si può ricevere una pensione neanche se ne ha diritto e tante altre cose fino a quella che forse è la più grave di tutte: senza residenza non si ha diritto ad un medico e non si ha accesso al sistema sanitario nazionale. Per chi non ha una casa, mangia male, è esposto 12 mesi all’anno al caldo e al freddo senza ripari ammalarsi è molto facile e non avere diritti alle cure significa andare incontro ad un rapido peggioramento e, molto spesso, alla morte. I comuni troppo frequentemente negano la residenza a chi vive in strada per vari motivi. Perché pensano che poi queste persone peseranno maggiormente sui servizi sociali o perché semplicemente preferiscono non vedere queste persone. Invece i comuni sono tenuti per legge a dare la residenza a chi vive in un dato territorio e se non lo fanno interveniamo noi. Dare la residenza significa permettere ad una persona di riacquistare i propri diritti e aiutarlo ad incamminarsi su una strada di recupero.
A tal proposito, negli anni avete notato significative differenze nell’organizzazione amministrativa tra le diverse città italiane in cui operate?
Certamente, l’Italia è il Paese degli 8000 comuni e ognuno purtroppo si organizza con le proprie prassi e in maniera diversa dall’altro. In alcuni comuni c’è una maggiore consapevolezza dell’importanza di concedere la residenza a chi vive in strada e si sono studiate insieme alle associazioni delle prassi funzionali. In altri comuni, all’opposto, si fa di tutto per negare questo diritto e le persone senza dimora vengono osteggiate in vari modi, anche multandole e sanzionandole con dei fogli di via.
Quali proposte di migliorie dell’attuale normativa avete portato all’attenzione delle differenti amministrazioni (comunali e regionali) delle aree in cui operate?
In ogni territorio nel quale operiamo cerchiamo di confrontarci quotidianamente con le amministrazioni locali e con i servizi sociali per dare consigli e indicazioni. In tante città abbiamo proposto, e fatto istituire, la via fittizia, una via che non esiste sulle carte topografiche che risolve il problema della residenza per quelle persone che non hanno nessun luogo fisico dove possono essere rintracciate. A livello nazionale ormai da quattro legislature presentiamo una legge che intende consentire le cure sanitarie anche a chi vive in strada e non ha una residenza. La legge non è stata mai approvata nonostante tanti segnali positivi ma noi continueremo su questa strada.
Credete che in Italia si possano importare esperienze virtuose adottate da altri Paesi europei?
Sicuramente. Ad esempio guardiamo con molto interesse all’Housing First, un modello molto utilizzato nei paesi anglosassoni, basato sull’inserimento di persone senzatetto in singoli appartamenti indipendenti. Per tornare all’argomento della residenza, invece, segnaliamo che in nessun paese europeo vengono negate le cure sanitarie a chi è povero. Quando ne parliamo in meeting e convegni europei questa cosa desta sempre sconcerto negli esperti degli altri paesi
L’attuale emergenza sanitaria sta ponendo ulteriori problemi alle fasce più deboli che assistete?
Il Covid19 è stato devastante per chi vive in strada. Da subito in tutta Italia sono stati chiusi dormitori, mense e altri centri di accoglienza. I servizi a loro dedicati sono stati ridimensionati enormemente e si sono trovati senza nessun supporto. Noi stessi siamo stati obbligati a sospendere i nostri sportelli legali e ci siamo dovuti limitare ad una insufficiente assistenza telefonica. A tutto questo si è aggiunto un aspetto paradossale: durante il lockdown chi veniva trovato in strada veniva multato e denunciato e tanti senzatetto, in varie città italiane, hanno dovuto rivolgersi a noi per far annullare multe e denunce. Durante il primo lockdown abbiamo fatto un preciso appello alle istituzioni perché nelle difficoltà non venissero dimenticati gli ultimi, ma questo, purtroppo, è proprio quello che è successo.
Foto copertina: Immagine web