Applicabilità dell’art. 600-ter c.p. anche alle condotte di cessione di immagini pedopornografiche autoprodotte (c.d. “selfie”) alla luce delle nuove coordinate ermeneutiche della Suprema Corte


Nota alla sentenza n. 5522 del 12 febbraio 2020 (ud. 21 novembre 2019): nuovo indirizzo interpretativo in chiave di tutela per i minori.


 

L’inarrestabile sviluppo delle nuove tecnologie di comunicazione ha determinato, come ormai ben noto, la necessità che l’ordinamento giuridico riesca ad evolversi di pari passo, al fine di disciplinare e tutelare ogni bene giuridico di primaria rilevanza che sia coinvolto. Inevitabilmente, dunque, è stato necessario innovare il sistema normativo al fine di tutelare il diritto alla riservatezza degli individui, nonché la libertà di espressione e di sviluppo della propria sfera sessuale, a fronte della progressiva e sempre crescente invasività delle nuove tecnologie – si pensi alle moderne applicazioni di messaggistica istantanea o ai c.d. social network. La potenziale diffusività di un contenuto trasmesso mediante i citati nuovi sistemi di comunicazione, unitamente alla potenziale ineliminabilità di detti contenuti, ha generato il grave allarme sociale che conduce conseguentemente alla necessità dei noti interventi normativi e giurisprudenziali in materia[1].

L’esigenza di tutelare la libertà di sviluppo ed espressione della propria sfera sessuale è stata precipuamente avvertita rispetto ad una categoria di individui considerata particolarmente fragile: i minori di anni diciotto.

Come noto il Legislatore e la giurisprudenza, unitamente alla dottrina, hanno costantemente lavorato al fine di implementare il livello di tutela assicurato dall’ordinamento giuridico.

La ratio di tale peculiare attenzione è stata individuata nella necessità di consentire ai soggetti minorenni di sviluppare questo fondamentale aspetto della personalità in una fase in cui la propria coscienza può pericolosamente essere condizionata e distorta da eventi o fattori esterni, per siffatta ragione considerati illeciti dall’ordinamento giuridico.

Chiara espressione dell’intento di “ipertutela” apprestato nei confronti di tale bene giuridico è rappresentato dalla recente sentenza della Corte di Cassazione, sezione III n. 5522 del 12 febbraio 2020 (ud. 21 novembre 2019), che supera definitivamente la precedente interpretazione restrittiva dell’art. 600-ter c.p. rubricato “Pornografia minorile”.

La pronuncia da ultimo menzionata assume carattere particolarmente rilevante poiché contiene una completa disamina dello stato dell’arte sia sul piano normativo che giurisprudenziale rispetto al delicato fenomeno della pedopornografia (o pornografia minorile, come rubricato dallo stesso art. 600-ter c.p. nella sua ultima versione).

La prima parte della sentenza in commento contiene infatti attenta analisi dell’evoluzione storica dell’incriminazione di cui all’art. 600-ter c.p.. È ivi evidenziato[2] che l’originaria formulazione posta dalla legge del 1998 incentrava l’intera disciplina sulla nozione di “sfruttamento” del minore, al fine di individuare le condotte concretamente punibili. Conseguenza di tale scelta lessicale è consistita nella derivata necessità che vi fosse alterità tra soggetto “produttore” del contenuto a carattere pedopornografico e minore “sfruttato” al fine di creare detto contenuto.

La successiva formulazione, frutto dell’intervento legislativo del 2006[3] introduceva per la prima volta la nozione di “utilizzazione” del minore di anni diciotto per la consumazione della fattispecie di reato.

Nonostante l’innovazione normativa la Suprema Corte continuava a ritenere implicita nella nozione di “utilizzazione” (che ha sostituito quella di sfruttamento del minore), la necessaria alterità tra soggetto raffigurato e produttore del contenuto al fine di aversi condotta penalmente rilevante.

Nel successivo passaggio motivazionale della pronuncia n. 5522/2020, gli Ermellini, hanno evidenziato come la disciplina interna abbia subito l’influenza del diritto comunitario ed internazionale, grazie alla cui sinergia è stato progressivamente raggiunto un risultato sempre più improntato all’ampiezza di tutela assicurato ai beni giuridici tutelati in precedenza menzionati[4].

A seguito di tale ricostruzione storico-normativa multilivello la Corte può così procedere all’individuazione della ratio dell’incriminazione individuata, come già in precedenza accennato, nella tutela della libertà di autodeterminazione del minore, nonché nella necessità che questi possa sviluppare liberamente la propria sessualità in una fase considerata di particolare fragilità.

Il caso concreto esaminato dalla Corte con la sentenza n. 5522/2020 che coinvolge un soggetto che ha divulgato attraverso sistemi telematici immagini a carattere pedopornografico autoprodotte dalla vittima del reato (ci si riferisce ad alcuni c.d. selfie presenti sul telefono cellulare della vittima) di cui è entrato in possesso, “disvela l’assenza di una stabilizzazione delle interpretazioni in materia[5].

Punto di partenza di tale passaggio motivazionale, fondamentale al fine di superare i precedenti orientamenti della stessa Sezione III della Corte di Cassazione in tema di condotte penalmente rilevanti, concerne la disamina del fondamento interpretativo su cui tali precedenti arresti si basavano.

Le pronunce cui si è più volte fatto riferimento sono le sentenze nn. 11675/2016 e 34357/2017.

Come già sottolineato le decisioni da ultimo menzionate, pur in presenza di un’ampia fattispecie di reato volta ad offrire massima tutela al bene giuridico tutelato, hanno ritenuto non punibile la condotta di chi avesse divulgato materiale pedopornografico autoprodotto (c.d. selfie) dalla presunta vittima dello stesso. La Suprema Corte giungeva nel 2016 e 2017 a tali conclusioni (da molti fortemente criticate) poiché aderiva alla lettura della fattispecie offerta da un ulteriore precedente arresto a Sezioni Unite n. 13/2000. Ivi, tuttavia, si sottolineava la necessità che vi fosse alterità tra produttore del contenuto e vittima del reato poiché ancorati alla previgente formulazione dell’art. 600-ter c.p. (prima dell’intervento legislativo del 2006 e successivamente del 2009 e 2012[6]).

Si precisa che tra gli altri elementi che caratterizzavano l’impostazione ermeneutica ante riforma, già superati in via pretoria[7], può citarsi il c.d. pericolo di diffusione dell’immagine pedopornografica ai fini del perfezionamento della fattispecie delittuosa rispetto alle condotte contenute nell’odierno comma I dell’art. 600-ter c.p.. Tale ulteriore innovazione, in chiave di tutela per le vittime di siffatta tipologia di reato, ha determinato ulteriore spinta al superamento definitivo della precedente impostazione anche rispetto alla necessità di eteroproduzione del contenuto pedopornografico.

La complessa fattispecie di cui all’art. 600-ter c.p. così come congegnata a seguito degli ultimi interventi normativi, nell’ampliare fortemente l’ambito di applicabilità della disciplina normativa, sembra aver accentuato sempre più l’esigenza repressiva di ogni condotta che coinvolge la materia della pornografia minorile. Tale ampliamento, precisa tuttavia la Corte, non può spingersi sino a comprimere lo stesso diritto di autodeterminazione del minore che abbia raggiunto l’età del “consenso sessuale”.

Così opinando la Cassazione con la medesima sentenza n. 5522/2020 ha ribadito il decisum di altro precedente arresto che aveva sancito la liceità della c.d. pornografia domestica, anche minorile[8].

Diversa considerazione è sviluppata, invece, nei confronti della condotta di cui all’art. 600-ter c.p. poiché è chiarito che “mentre in alcune limitate ipotesi (stante l’ampia formulazione congegnata) è richiesta l’eteroproduzione del materiale pedopornografico, in altre ciò non sarebbe più necessario”. Non sussisterebbe alcun ragionevole motivo, in punto di interpretazione letterale ovvero sistematica, che possa giustificare la permanenza dell’indirizzo restrittivo sancito nelle citate sentenze del 2016 e 2017. “Ne consegue che i commi 2, 3, 4 nel riferirsi al materiale pornografico di cui al comma 1 non richiamano l’intera condotta delittuosa del comma 1, ma si riferiscono all’oggetto materiale del reato, evocando l’elemento sul quale incide la condotta criminosa[9].

Ai fini dell’incriminazione e, quindi, del fatto tipizzato del comma IV dell’art. 600-ter c.p. (emerso nel caso esaminato dalla Suprema Corte) non rileva la modalità della produzione del contenuto a carattere pornografico, auto ovvero eteroprodotto. Per la configurabilità del delitto di cui all’art. 600-ter c.p. comma IV relativo all’offerta o cessione ad altri di materiale pedopornografico, è necessario e sufficiente che oggetto dell’offerta o cessione sia il materiale in parola comunque realizzato o prodotto.

Nell’ambito della punibilità per le ampie condotte descritte dai commi II e ss. dell’art. 600-ter c.p. resta irrilevante la condotta di cui al comma I che invece continua a presupporre l’alterità tra produttore e vittima del reato.

Così argomentando, dunque, la Suprema Corte, supera il proprio precedente indirizzo ermeneutico valorizzando la ratio della norma incriminatrice, ritenendo irrilevante nel caso di specie la modalità di produzione dell’oggetto del reato.

Dopo aver sancito il definitivo superamento del precedente indirizzo, il Supremo Consesso provvede all’ulteriore richiamo a dati normativi al fine di corroborare ulteriormente la correttezza della propria scelta interpretativa.

Il dato letterale del “sistema chiuso” posto a tutela della libertà sessuale dei minori, nonché i numerosi richiami all’ordinamento comunitario ed internazionale, conducono inevitabilmente al maggior ampliamento possibile dell’alveo di punibilità della disciplina in esame. Tale ricostruzione, conclude infine la Corte, non costituisce espressione di overruling in malam partem ovvero di interpretazione estensiva in malam partem poiché, seguendo gli stessi indirizzi del Giudice delle Leggi nonché della Corte EDU[10], il principio di legalità ed il principio del giusto processo risultano essere violati allorquando il dato normativo non sia chiaro né conoscibile o sia esclusa la prevedibilità della decisione per il mutamento improvviso di un granitico orientamento ermeneutico.

Gli Ermellini ribadiscono che alcuna delle circostanze da ultimo citate ricorre nella fattispecie in esame; il dato normativo, specie dopo il 2012, era ragionevole che potesse essere letto alla stregua delle considerazioni esposte nella sentenza attualmente in commento, indirizzo oggi reputato senza dubbio condivisibile e persuasivo.


Note

[1] ítra gli ultimi e più significativi interventi normativi in tal senso può citarsi l’art. 10 legge 19 luglio 2019, n. 69 che introduce nel codice penale l’art. 612-ter rubricato “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”; al fine di contrastare il fenomeno del c.d. revenge porn. Per una più precisa disamine della fattispecie di reato da ultimo citata si veda in questa stessa rivista giuridica “Il fenomeno del revenge porn alla luce della legge 19 luglio 2019, n. 69 – Rapporti tra libertà sessuale e riservatezza e disciplina di cui all’art. 612-ter c.p.” di Fabrizio Avellaý

[2] ícfr. pagg. 5 e ss. sentenza Corte di Cassazione sez. III, 12 febbraio 2020 (ud. 21 novembre 2019), n. 5522ý

[3] ícfr. legge 6 febbraio 2006, n. 38ý

[4] íTra le innumerevoli fonti normative di carattere sovranazionale adottate in contrasto ai fenomeni criminali legati alla pedopornografia può menzionarsi la Decisione quadro GAI 2004/68 del Consiglio del 22 dicembre 2003 relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile; nonché la Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei bambini contro sfruttamento e gli abusi sessuali siglata a Lanzarote il 25 ottobre 2007 e ratificata in Italia con la legge 172/2012ý    

[5] ícfr. pag. 8 par. 4 sentenza n. 5522/2020 più volte citataý

[6] ícfr. d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito con modificazione dalla legge 23 aprile 2009, n. 38 nonché legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote n. 172 dell’01 ottobre 2012 già citataý

[7] ícfr. sentenza Corte di Cassazione Sezioni Unite del 15 novembre 2018 (ud. 31 maggio 2018), n. 51815ý

[8] ícfr. pag. 16 par. 9 sentenza n. 5522/2020 nonché Cassazione Sezioni Unite n. 51815/2018; si precisa inoltre che con la locuzione pornografia domestica ci si riferisce alla libera ed incondizionata produzione di materiale pornografico riguardante persone che abbiano raggiunto la maggiore età ovvero l’età minima per il c.d. “consenso sessuale”, sempre che tale contenuto resti strettamente “confinato entro le mura domestiche”

[9] ícfr. pag. 17 par. 9.2 sentenza n. 5522/2020ý

[10] ícfr. interpretazione del principio di cui all’art. 7 Convenzione EDU offerta dalla Corte di Strasburgo ex multis nelle sentenze Grande Camera del 21 ottobre 2013, Del Rio Prada c/ Spagna e Sezione 3 del 17 ottobre 2017, Navalnyye c/ Russiaý


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