Cos’è il femminismo di mercato?


Diseguaglianze di genere nel mondo del lavoro: differenti ruoli, una carriera diversa ed un problema socio-culturale.


 

Il lavoro che alimenta le disparità di genere

 Quando si parla di diseguaglianze di genere ci si riferisce alla situazione in cui il sesso di una persona (e come viene percepito) può scaturire una differenza di approccio e di trattamento nei vari ambiti della società. L’ambiente lavorativo è senza dubbio uno dei contesti in cui si fanno vive le distinzioni di genere e si assiste ad una disparità di trattamento tra uomini e donne che svaria su tanti fronti: livello occupazionale, remunerazione salariale, diritti del lavoro e tipi di lavori svolti.

Nonostante i progressi che ci sono stati negli ultimi anni, il workplace è ancora un campo di gioco complicato per le donne; secondo recenti ricerche tra 2015-2016 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro le donne sono ancora lontane dall’uguaglianza di genere in ambito lavorativo, anzi, in diversi paesi soffrono ancora di un salario non equiparabile a quello offerto agli uomini e subiscono lavori poco qualificati[1].

Il Gender Equality Index 2019 dell’EIGE (European Institute of Gender Equality) misura l’andamento dell’uguaglianza tra uomini e donne con lo scorrere del tempo per gli stati membri dell’UE, assegnando un punteggio che va da 1 a 100 in questi ambiti: lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere e salute. Il dato generale che colpisce è che nessun paese è riuscito a raggiungere il punteggio massimo in nessuno degli ambiti o domini chiave elencati, nemmeno in quello del lavoro[2].

Il genere può creare una work segregation[3] (segregazione del lavoro) come spiega David Hesmondhalgh, sociologo e professore all’università di Leeds, ovvero può segregare le donne verso determinate mansioni lavorative attraverso stereotipi di genere; si pensi all’immaginario delle donne dalla natura premurosa, abili nel lavoro domestico, pazienti e poco avvezze alle lamentele e quindi maggiormente inclini alla sopportazione. Attraverso tali costrutti socio-culturali le donne risultano per lo più occupate in professioni che rispecchiano gli stereotipi: lavoro infermieristico, lavoro da insegnante, lavoro sociale, la sartoria, la parrucchiera, la contabilità e altri ancora. Caso contrario è quando lo stereotipo riguarda altre skills e capacità che si pensa le donne non possano avere, come le capacità di leadership e comando, capacità gestionali, la forza fisica per svolgere determinati lavori dove ne è richiesta abbastanza o magari assumersi rischi e responsabilità importanti, competenze che si collegano secondo una determinata cultura e percezione dei sessi maggiormente alla figura maschile.

Femminismo di mercato: caso francese

Il movimento femminista è da tempo coinvolto nelle lotte per arrivare ad un’uguaglianza di genere nel settore del lavoro. In Francia tra il 2000 e il 2010 c’è stato un forte interesse a parlare di parità di genere anche tra le grandi aziende, poiché ne va del loro potere attrattivo e della propria immagine. Come sostiene Sophie Pochic, sociologa e attivista francese, si è formato un femminismo di mercato (féminisme de marché), formato in particolar modo dalle donne più istruite e dalle competenze maggiori assieme ad iniziative private; è un movimento distaccato da associazioni o sindacati femministi tradizionalmente situati a sinistra. Il femminismo di mercato ha lo scopo di dare maggior spazio alle donne nella governance delle aziende più importanti francesi, più ruoli gestionali e decisionali, maggior potere d’azione. In sostanza è una branca del femminismo che non lotta per tematiche tipicamente di giustizia sociale tra uomini e donne, ma il suo focus è su una sorta di parità elitaria, riservata ad una minoranza di donne di talento e che puntano a cariche lavorative di grado superiore[4].

Nel 2011 nacque in Francia la legge Copé-Zimmermann: quest’ultima obbligava le aziende pubbliche e private con più di cinquecento dipendenti a tempo indeterminato e con un fatturato di almeno 50 milioni di euro a mostrare una quota di ciascun genere (uomini e donne) pari al 40% tra i propri amministratori. Tuttavia, la legge appena citata non agiva sui comitati esecutivi e direttivi, ovvero gli organi che detengono in maniera concreta il potere decisionale e si consideri che nel 2019 solo il 17,9% era composto da donne[5].

Il Women’s Forum for economy and society (WF) ha acquisito una notevole influenza sin dalla sua prima edizione nel 2005. Ogni anno l’evento è il punto d’incontro per organizzazioni e reti che si occupano della questione dell’accesso delle donne alla gestione economica, posizioni di elevata autorità e ruoli decisionali. Nel dicembre 2016 il WF ha visto coinvolto anche il presidente francese Emmanuel Macron che ha presentato l’allora programma per la parità tra donne e uomini, in modo da consentire alle prime di assumersi responsabilità negli affari e in politica[6].

Nonostante i tentativi giuridico-politici, i movimenti di protesta e i vari forum, ancora nel 2021 si registra una crescita troppo bassa per le donne che rivestono cariche e ruoli importanti. Tra i paesi del G20 si riscontra un tasso di crescita solamente del 3,3% negli ultimi dieci anni per quanto concerne donne ai vertici delle importanti aziende. Addirittura dal 2016 al 2019 si registra un aumento di figure femminili nei consigli d’amministrazione delle aziende soltanto del 3%, si passa dal 15% al 18%. L’obiettivo fissato dall’agenda Onu del 2030 è ancora molto lontano e il gender gap pesa ancora notevolmente. La Commissione europea ha finanziato una ricerca di Equileap su dieci indici di Borsa e 255 società quotate, stabilendo un voto complessivo di gender equality compaiono in posizioni migliori la Francia (52%), Svezia (49%), Spagna (46%) e Germania (44%), mentre l’Italia compare con un voto solamente del 42%[7].

Donne ai ruoli di leadership: conclusioni

Per quale motivo il divario tra il numero di leader donne e uomini continua ad essere così ampio?
L’IBM (Institute for Business Value), attraverso una sua ricerca, ha individuato tre motivazioni principali: in primo luogo molte organizzazioni non sono ancora convinte dei vantaggi possibili attraverso la parità di genere nei ruoli di leadership, nonostante secondo diversi studi sia dimostrato che esistano miglioramenti del successo finanziario e della competitività; seconda motivazione è che le aziende tendono a trattare la questione della disparità di genere come un problema marginale, non di cruciale importanza, in sostanza non c’è una concentrazione sul tema come per altri ambiti dell’organizzazione aziendale; terza motivazione è che gli uomini nei ruoli di senior leader tendono a sottovalutare l’importanza del pregiudizio di genere nel workplace, ma al tempo stesso si considerano dei gran sostenitori della gender equality nelle loro aziende[8].

Sempre dallo stesso studio dell’IBM viene spiegata l’esistenza di First Mover, ovvero aziende ed organizzazioni che diversamente dai non First Mover hanno intrapreso una politica di genere differente: l’obiettivo loro è di rendere la parità dei sessi un obiettivo perseguibile quanto prima, in modo tale che possa essere elemento di successo da un punto di vista organizzativo-aziendale.

Le etichette di persone predisposte alla “cura, alla maternità e ai sentimentalismi” poste sul genere femminile ha notevolmente influenzato l’ambiente lavorativo delle donne incidendo sulla carriera e sulla scalata ai piani alti, al punto da incontrare il così detto glass ceiling (soffitto di cristallo), ovvero una barriera composta da diversi ostacoli per raggiungere posizioni di leadership[9]. L’imprenditrice e funzionaria Sheryl Sandberg, che lavora per Facebook, ha provato a spiegare il fenomeno della scarsa presenza di donne in posizioni lavorative decisionali durante una TED Conference. Sandberg sostiene che ci sia una tendenza maschile al sovrastimarsi, ovvero negli uomini sembrerebbe esserci la convinzione che il loro successo derivi solamente da loro stessi e dalle loro capacità; caso contrario invece per le donne, infatti in loro parrebbe esserci l’abitudine al sottostimarsi o al sottostimarle, come se le cause del loro successo dipendessero non da esse stesse bensì da fattori esterni. Questo fenomeno, continuando sempre sull’idea di Sandberg, comporterebbe delle distinzioni notevoli in ambito lavorativo e lei pone attenzione al caso della negoziazione salariale, spiegando come sia più facile per un uomo negoziare un salario rispetto ad una donna[10].

È necessario fare pressione sull’elemento culturale e sui pregiudizi di genere, è importante che il cambiamento avvenga partendo da questi due aspetti. Il messaggio positivo sui potenziali benefici finanziari derivanti dalla parità di genere deve risultare più potente rispetto ai pregiudizi sulle scarse capacità di leadership femminile.


Note

[1] Women at work – Trends 2016: Map: Explore the gender labour gap around the world (ilo.org)

[2] L. Rosit, “La complessa relazione tra donne e lavoro”, in “Il Sole 24 Ore”, 27 ottobre 2020. La complessa relazione tra donne e lavoro – ilSole24ORE

[3] D. Hesmondhalgh, “Sex, Gender and Work Segregation in the Cultural Industries”, in “Sociological Review”, maggio 2015. sore0063-0023.pdf

[4] Sophie Pochic. Féminisme de marché et égalité élitiste ?. Je travaille donc je suis. Perspectives féministes, Margaret Maruani (dir)., La Découverte, pp.42-52, 2018. ffhal-01796482f

[5] M. Khider, T. De Rauglaudre, “Dans les réseaux « féministes » du CAC 40“, in “LE MONDE diplomatique”, dicembre 2020. Dans les réseaux « féministes » du CAC 40, par Maïlys Khider & Timothée de Rauglaudre (Le Monde diplomatique, décembre 2020) (monde-diplomatique.fr)

[6] Ibidem.

[7] M. Lombardi, “Donne ai vertici delle aziende, in 10 anni cresciute solo del 3,3%. Gli obiettivi del G20 Empower”, in “Il Messaggero”, 23 febbraio 2021. Donne ai vertici delle aziende, in 10 anni cresciute solo del 3,3%. Gli obiettivi del G20 Empower (ilmessaggero.it) 

[8] M. Peluso, C. Heller Baird, L. Kesterson-Townes, “Donne, leadership e il paradosso della priorità”, in “IBM”. https://www.ibm.com/downloads/cas/3DA5YANW

[9] V. Schimmenti, “DONNE E PROFESSIONE. Percorsi della femminilità contemporanea”, FrancoAngeli Edizioni.

[10] TED, “Why we have too few women leaders | Sheryl Sandberg”, 21 dicembre 2010. Why we have too few women leaders | Sheryl Sandberg – YouTube


Foto copertina: Immagine web

[vc_btn title=”Scarica Pdf” style=”classic” color=”primary” size=”lg” align=”center” css_animation=”bounceIn” link=”url:http%3A%2F%2Fwww.opiniojuris.it%2Fwp-content%2Fuploads%2F2021%2F03%2FCose-il-femminismo-di-mercato-Fulvio-Corazza.docx.pdf|||”]