La distruzione della striscia di Gaza e la punizione collettiva dei palestinesi non faranno riacquistare ad Israele la sicurezza perduta.
A cura di Giovanni Lorenzo Restifo
Dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, in cui sono stati uccisi più di 1200 israeliani, Tel Aviv ha intrapreso una campagna militare devastante, che ad oggi non vede una fine. I bombardamenti hanno già causato più di 20mila morti tra i palestinesi, di cui almeno 15mila civili, più di un milione di sfollati ed una crisi umanitaria senza precedenti all’interno del territorio della striscia di Gaza1. Israele ha continuato a ribadire che il suo unico obiettivo è l’eliminazione di Hamas, ma i fatti illuminano un’azione militare indiscriminata, moralmente ingiusta e che si profila anche strategicamente inutile e deleteria per la sicurezza della regione. Gli USA, forse unica forza esterna in grado di influenzare Israele, gradirebbero una distensione del conflitto ed un eventuale tregua2 3; tuttavia, non sono disposti ad utilizzare le maniere forti (sanzioni economiche o blocchi nelle forniture di armi) per costringere il governo israeliano a cambiare tattica4. In ultima analisi, la scelta di fermare la campagna militare e iniziare un processo di pace è soltanto nelle mani del governo e dell’opinione pubblica israeliana. Al momento gli interventi diretti sono altamente improbabili, e alle potenze internazionali resta una sola opzione: convincere i cittadini israeliani che i bombardamenti indiscriminati potranno soltanto peggiorare la sicurezza di Israele nel lungo termine.
Il ruolo dell’opinione pubblica israeliana
Potrebbe essere banale ricordarlo, ma nel conflitto Israelo-palestinese il ruolo più importante lo ricoprono proprio israeliani e palestinesi. Inoltre, considerando la sproporzione di forze e di status internazionale, l’attore più influente è senza dubbio Israele. Solo da Israele può arrivare il primo passo verso la pace.
Già prima di ottobre la società israeliana aveva dimostrato un atteggiamento intollerante verso i palestinesi. Le elezioni del 2022 hanno dato la maggioranza, seppur risicata, agli schieramenti di destra, e hanno permesso la nascita di un governo estremista, presieduto da Netanyahu e appoggiato dagli ebrei ortodossi5. Nel corso del 2023 il numero di coloni israeliani insediati nei territori occupati della West Bank è aumentato, con l’appoggio tacito, ed in molti casi palese, del governo in carica6. Dopo la strage del 7 ottobre la situazione è precipitata.
Nonostante il governo di Netanyahu sia calato nei consensi, molti tra gli israeliani più moderati e critici nei confronti del governo appoggiano la risposta militare dell’esercito nella striscia di Gaza. Le centinaia di ostaggi ancora nelle mani di Hamas sono un ulteriore elemento che infiamma gli animi e blocca la strada verso la tregua. D’altro canto, una parte non trascurabile dell’opinione pubblica israeliana ha continuato a protestare contro il governo in carica, criticando le modalità con cui la crisi viene affrontata dalla politica e condannando le azioni militari dell’esercito7. Inoltre, dopo l’invasione terrestre della striscia di Gaza, le centinaia di morti e le migliaia di feriti dell’esercito israeliano hanno spinto i familiari e la società civile a chiedere un cambio di strategia ed il ritiro delle truppe dalla striscia8.
I margini di manovra dell’Italia e dell’Europa
L’unione Europea ed i paesi membri hanno un ruolo molto marginale in questa crisi9. L’Italia, bisogna constatarlo, ha un’influenza molto scarsa sulla regione, ma potrebbe svolgere un ruolo dignitoso nell’ambito dello schieramento occidentale.
Da molti decenni (almeno dal trattato di Oslo, 1993) i paesi dell’UE non riescono a trovare un terreno comune sulla possibile risoluzione del conflitto tra Israele e Palestina. Anche in questa ultima crisi le posizioni delle istituzioni europee sono state caratterizzate da una “cacofonia” di politiche ed interessi dei vari stati membri10. Il dibattito, inoltre, risente di una forte barriera ideologica, dovuta al passato ingombrante della condizione della popolazione ebraica nel vecchio continente. In questo contesto, l’attuale conflitto militare, e la crisi umanitaria senza precedenti che ormai si delinea a Gaza, rappresentano un’occasione per portare avanti soluzioni più realiste e concrete.
L’Italia dovrebbe provare a rilanciare, a livello europeo, la tesi che la questione palestinese, e l’annesso problema della sicurezza di Israele, non può essere in alcun modo risolta con bombardamenti o operazioni militari, ma solo con la costruzione politica e diplomatica. Ad oggi, l’efficacia nel lungo termine delle azioni militari nella striscia di Gaza non è al centro del dibattito nei paesi europei e nell’unione; l’Italia potrebbe fare il primo passo e ritagliarsi un ruolo come attore che propone punti di vista concreti.
Posta in questi termini, la posizione europea manterrebbe il sostegno alla sicurezza israeliana fornendo una prospettiva di futuro per i palestinesi. Se questa tesi prendesse forza nel dibattito europeo potrebbe arrivare ad intaccare anche l’opinione pubblica israeliana favorevole alla guerra. Inoltre, come si proverà a spiegare nei paragrafi successivi, questa posizione troverebbe un sostegno anche dal principale alleato di Tel Aviv, cioè gli Stati Uniti.
L’UE rappresenta anche il più importante finanziatore di aiuti economici verso la Palestina. Tra il 2014 ed il 2020 l’Unione Europea ha destinato più di due miliardi di euro di aiuti ai palestinesi, principalmente diretti all’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) e alle ONG umanitarie11. A fine 2023 sono stati stanziati circa 118 milioni di euro destinati a supportare le attività amministrative della ANP nel 202412. Questi aiuti potrebbero essere incrementati ed utilizzati per rinsaldare il dialogo con l’ANP, in modo da riformare e dare un nuovo riconoscimento all’Autorità Palestinese, la quale attualmente governa la West Bank ma si trova in una grave crisi politica da parecchi anni13; l’obiettivo sarebbe creare un interlocutore credibile da contrapporre ad Hamas e con cui dialogare per attuare la “soluzione dei due stati”14.
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Il punto di vista degli USA e il rapporto con Tel Aviv
La potenza internazionale più rilevante nel conflitto sono gli Stati Uniti, che hanno un’enorme influenza su Israele, almeno in teoria. Gli Stati Uniti, ed in particolare l’attuale amministrazione, non sono soddisfatti dell’operato di Israele, ma non hanno intenzione di mostrarsi in aperto contrasto con lo stato ebraico. La priorità per Washington è dimostrare al mondo che la sicurezza del proprio alleato viene prima di tutto.
All’inizio del 2023, Washington e Tel Aviv avevano effettuato una imponente esercitazione congiunta, una delle più importanti mai realizzate nella regione15. L’obiettivo degli USA era dimostrare ai rivali dell’area (Iran in particolare) che, nonostante la sfida con la Cina e la guerra in Ucraina, gli americani erano pronti a sostenere l’alleato con ogni mezzo. Dallo scoppio della guerra, il sostegno è stato più volte ribadito senza esitazioni, nonostante l’amministrazione Biden abbia invitato il governo israeliano ad evitare bombardamenti indiscriminati, ad escludere un’invasione di terra e a cambiare tattica, suggerendo attacchi mirati contro Hamas e l’apertura di canali umanitari per la popolazione palestinese. Washington vorrebbe evitare che il suo alleato si impantani in una guerra senza fine, o che, ipotesi ancora peggiore, il conflitto si allarghi e porti ad una destabilizzazione di tutta la regione. In questo contesto, è necessario ricordare che, nonostante la significativa influenza di Washington sulla politica e sugli apparati di sicurezza israeliani, Israele resta un soggetto autonomo, che non segue sempre i consigli del fratello maggiore americano. Tutt’altro. Già nel 2016 gli statunitensi avevano intimato ad Israele di fermare l’espansione dei coloni in Cisgiordania16, per evitare escalation; consiglio ignorato da Tel Aviv. Anche nella guerra con Hamas Israele tende a seguire le sue strategie17. Gli Stati Uniti non hanno nessuna intenzione di utilizzare le maniere forti nei confronti d’alleato: hanno sempre appoggiato Tel Aviv in sede ONU, utilizzando il potere di veto nel consiglio di sicurezza, e non hanno mai lontanamente sventolato l’ipotesi di sanzioni economiche o blocchi ai rifornimenti militari.
La via militare non è una soluzione per la sicurezza di Israele
Se la diplomazia non funziona, e la coercizione non è un’opzione, quali mezzi restano a disposizione per arrivare ad una tregua nella striscia di Gaza? Una risposta possibile è la seguente: convincere Israele che i bombardamenti non aumenteranno la sua sicurezza. Israele è uno stato che dalla sua fondazione è ossessionato dalla sicurezza del proprio territorio, per motivi sia reali che presunti; l’attacco del 7 ottobre ha fatto riscoprire alla popolazione israeliana la sfiducia e la paura legate alla mancanza di sicurezza. Il governo di Tel Aviv ha deciso di ristabilire la propria forza e la propria aura di intoccabilità, in poche parole il proprio senso di sicurezza, a suon di bombe aree18. Ma la storia dimostra che la guerra indiscriminata non è una soluzione.
I bombardamenti in territori altamente popolati, con il coinvolgimento di migliaia di civili, non hanno mai funzionato per eliminare una minaccia militare. Basti pensare ai bombardamenti sui civili della Germania nazista, della Corea del Nord o durante la guerra in Vietnam. Bombe che non hanno davvero colpito il cuore della minaccia, ma che hanno soltanto causato morte e dolore tra la popolazione inerme. Questi bombardamenti hanno spesso portato le popolazioni a solidarizzare con i loro leader, grazie all’odio comune verso il nemico. Lo stesso meccanismo potrebbe innescarsi tra cittadini palestinesi e Hamas. Dopo settimane di bombardamenti, le migliaia di civili uccisi portano con loro familiari ed amici inclini ad odiare Israele e a simpatizzare con Hamas, che già governa la striscia da decenni. In queste condizioni, i cinquemila militanti di Hamas già uccisi dall’IDF saranno sostituiti facilmente nei prossimi anni; lo indica un sondaggio condotto dal Arab World for Research and Development lo scorso novembre, in cui il 76% dei palestinesi intervistati a Gaza e nella West Bank giudicavano positive le azioni di Hamas19. Le condizioni umanitarie e strategiche comportano un cambio di strategia.
Una tattica efficace che Israele potrebbe seguire è suggerita dell’analista americano Robert Pape (University of Chicago)20. Pape suggerisce che Tel Aviv dovrebbe continuare una campagna militare mirata contro Hamas, ma interrompere immediatamente i bombardamenti indiscriminati, riprendere il dialogo con il popolo palestinese e supportare concretamente la soluzione dei due stati. Hamas sarebbe sicuramente l’attore perdente in questa ipotesi, in quanto nel proprio statuto prevede l’eliminazione di Israele. Recidere i legami tra Hamas e la popolazione palestinese è la strategia migliore per iniziare un processo di pace. Tuttavia, per fare ciò Israele dovrebbe fare dei passi importanti. Pape suggerisce di congelare l’espansione dei coloni israeliani nella West Bank, liberare i prigionieri politici palestinesi e riprendere il dialogo con l’Autorità Palestinese (AP) che governa la Cisgiordania. Tel Aviv dovrebbe esporsi in modo chiaro verso la soluzione dei due stati, non solo per motivi morali ed umanitari, ma perché dare delle prospettive alla popolazione palestinese è l’unico modo per costruire condizioni di sicurezza forti anche per lo stato ebraico.
Con l’attuale governo di estrema destra, e con l’emotività che avvolge l’opinione pubblica israeliana, la strategia proposta da Pape sembra fantapolitica. Detto ciò, cosa si può fare di concreto nel breve termine? Pape suggerisce di utilizzare il potere mediatico, il soft Power e l’influenza che gli Stati Uniti e, in modo ridotto l’UE, hanno sullo scenario internazionale per far esplodere il dibatto e per suggerire un cambio di rotta ad Israele. È necessario che gli USA e gli stati europei faccio il possibile, tramite la stampa, le agenzie governative e gli analisti, per dare spazio a strategie alternative. Bisogna convincere gli israeliani che fermare la distruzione e riprendere il dialogo con i palestinesi conviene anche alla loro sicurezza.
Note
1“UNRWA – Situation Report #57 On The Situation in The Gaza Strip and The West Bank, Including East Jerusalem”, UNRWA, 28/12/2023, https://www.unrwa.org/resources/reports/unrwa-situation-report-57-situation-gaza-strip-and-west-bank-including-east-Jerusalem
2 B. Plett Usher and A. Zurcher, “Stakes are immense as Biden presses Israel to change course”, BBC, 23/12/2023, https://www.bbc.com/news/world-middle-east-67788359
3 G. Gutierrez et al., “U.S. urges Israel to move to a new phase of its war against Hamas”, NBC News, 15/12/2023, https://www.nbcnews.com/politics/white-house/us-urges-israel-move-new-phase-war-hamas-rcna129853
4 N. Toosi et al., “Why the U.S. isn’t stopping this war, and other Middle East realities”, Politico, 7/11/2023, https://www.politico.com/news/2023/11/07/why-the-u-s-doesnt-want-to-stop-this-war-and-other-middle-east-realities-00125860
5 O. Kenig, “2022 Election Results”, The Israel Democracy Institute, 7/11/2022, https://en.idi.org.il/articles/46247
6 “Israel advances peak number of West Bank settlement plans in 2023, watchdog says”, Reuters, 13/07/2023, https://www.reuters.com/world/middle-east/israel-advances-peak-number-west-bank-settlement-plans-2023-watchdog-2023-07-13/
7 Mariam FarahI, “Israeli academia joins the crackdown on dissent”, +972 Magazine, 3/12/2023, https://www.972mag.com/israeli-academia-crackdown-palestinian-students/
8 Jeremy Sharon, Protesters in Tel Aviv take aim at Netanyahu government after 12 weeks of war, The Times of Israel, 30/12/2023, https://www.timesofisrael.com/in-tel-aviv-rally-protesters-denounce-government-call-for-new-elections/
9 A. Rizzi, “Why no one is stopping Israel”, El Pais, 19/11/2023, https://english.elpais.com/international/2023-11-19/why-no-one-is-stopping-israel.html
10 Antonio Missiroli, “Gli Europei, Israele e la Palestina”, ISPI, 6/11/2023, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/gli-europei-israele-e-la-palestina-151411
11European Parliament, “EU financial assistance to Palestine”, 1/12/2023, https://www.europarl.europa.eu/thinktank/en/document/EPRS_BRI(2023)754628#:~:text=Between%202014%20and%202020%2C%20the,indicatively%2C%20to%20%E2%82%AC1.18%20billion.
12 European Commission, “European Commission provides over €118 million to the Palestinian Authority”, 22/12/2023, https://neighbourhood-enlargement.ec.europa.eu/news/european-commission-provides-over-eu118-million-palestinian-authority-2023-12-22_en
13 Ghaith al-Omari, The Palestinian Succession Crisis, Foreign Affairs, 16/05/2023, https://www.foreignaffairs.com/palestinian-territory/palestinian-succession-crisis
14 Jakob Hanke Vela, “Von der Leyen: ‘Now or never’ for Israel-Palestine solution”, Politico, 29/11/2023, https://www.politico.eu/newsletter/brussels-playbook/von-der-leyen-now-or-never-for-israel-palestine-solution/
15 C. Todd Lopez, “U.S., Israel Begin Juniper Oak Exercise”, U.S. Department of Defence, 24/01/2023, https://www.defense.gov/News/News-Stories/Article/Article/3276477/us-israel-begin-juniper-oak-exercise/
16 M. Landler, “United States Criticizes Israel Over West Bank Settlement Plan”, New York Times, 5/10/2016, https://www.nytimes.com/2016/10/06/world/middleeast/obama-israel-west-bank-settlements.html
17J. Hiltermann, “No Exit from Gaza”, Foreign Affairs, 22/11/2023, https://www.foreignaffairs.com/israel/no-exit-gaza-hiltermann
18 O. Holmes, “Netanyahu says Israel will have ‘overall security responsibility’ in Gaza after war”, The Guardian, 7/11/2023, https://www.theguardian.com/world/2023/nov/07/netanyahu-israel-consider-tactical-pauses-gaza
19 “Wartime Poll: Results of an Opinion Poll Among Palestinians in the West Bank and Gaza Strip”, Arab World for Research and Development, November 2023, https://www.awrad.org/en/article/10719/Wartime-Poll-Results-of-an-Opinion-Poll-Among-Palestinians-in-the-West-Bank-and-Gaza-Strip
20 R. A. Pape, “Israel’s Failed Bombing Campaign in Gaza”, Foreign Affairs, 6/12/2023, https://www.foreignaffairs.com/israel/israels-failed-bombing-campaign-gaza
Foto copertina: Benjamin Netanyahu speaks during a ceremony where Israel President Isaac Herzog hands him the mandate to form a new government following the victory of the former premier’s right-wing alliance in this month’s election at the President’s residency in Jerusalem November 13, 2022. REUTERS/ Ronen Zvulun/File Photo