Dopo gli accordi di Gedda tra Stati Uniti e Ucraina, Vladimir Putin ha mostrato volontà di accettare il cessate-il-fuoco, ma alle proprie condizioni, con una revisione sostanziale delle condizioni.
Strani venti di pace circolano in Europa Orientale nelle ultime settimane, poiché di situazione atipica è lecito parlare. Difatti, dopo la visita del Presidente ucraino Volodymir Zelensky del 28 febbraio alla Casa Bianca e il caos che si è generato di conseguenza, sembra che un ipotetico cessate-il-fuoco sulla linea del fronte sia ben più possibile.
Il vertice di Gedda di martedì 11 marzo tra i delegati ucraini e il Segretario di Stato degli Stati Uniti Marco Rubio ha dato vita ad una proposta di un cessate il fuoco di circa 30 giorni. Tale proposta dovrebbe essere accettata dalla controparte russa, la quale, nelle ultime ore ha dimostrato una parziale apertura, attraverso le parole del Presidente Vladimir Putin. A margine dell’incontro bilaterale avvenuto con il Presidente della Bielorussia Lukashenko, Putin ha espresso una relativa soddisfazione per la proposta di cessate il fuoco[1], definendola “corretta, ma necessaria di ulteriori discussioni”.
In modo specifico, è da sottolineare l’enfasi riportata dal Putin sulla necessarietà di “un accordo di pace di lungo termine e che sia indirizzato a sradicare le motivazioni originali del conflitto”. In particolare, questo punto è stato ribadito, sotto diverse forme, anche da Yuri Ushakov (Consigliere di Putin per la politica estera e già Ambasciatore di Mosca negli Stati Uniti) in precedenti dichiarazioni concernenti dubbi sulla natura di un cessate il fuoco di trenta giorni, in quanto potrebbe costituire una “pausa temporanea per le truppe ucraine”[2], poi ritrattate come opinioni personali. Inoltre, il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha ribadito questa linea affermando che “l’Ucraina ha sempre mentito durante i precedenti accordi di cessate il fuoco”[3].
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Queste parole da parte dell’establishment russo lasciano pertanto degli spiragli di apertura, seppur minimi, orientati al far valere la posizione di vantaggio che la Federazione Russa è riuscita a costruire nell’ultimo anno su due fronti, quello del conflitto quanto quello diplomatico.
Da un lato, il Cremlino continua un’incessante campagna militare su tutti i fronti in Ucraina avanzando e conquistando minuscole porzioni di territorio, ma in maniera costante e progressiva, combinando ciò a bombardamenti aerei sul territorio ucraino.
Inoltre, la recentissima cacciata delle forze ucraine da Sudzha costituisce un successo per Putin – presentatosi per l’occasione sulla linea del fronte in uniforme militare – e un serio danno tattico e morale per l’Ucraina. Dall’altro lato, la Russia si è ritrovata dall’essere vista come un paria dall’Occidente a guida statunitense all’essere – nuovamente – un interlocutore individuato dall’amministrazione di Washington come essenziale, a seguito dell’inaugurazione della seconda presidenza di Donald Trump.
Le relazioni bilaterali tra i due Paesi sono riprese e si è iniziato a discutere attivamente di una pace in Ucraina. Il passaggio da un “approccio da Guerra Fredda” di Joe Biden all’atteggiamento transattivo di Donald Trump sta favorendo Mosca, nonostante non persista una situazione rosea. Il taglio delle forniture militari e del supporto delle informazioni d’Intelligence da parte degli Stati Uniti ha costituito un duro colpo per l’Ucraina, la quale ha negoziato proprio questi punti al tavolo di Gedda in cambio dell’appoggio all’accordo di cessate il fuoco sopracitato.
Il do ut des trumpiano si è riversato anche su Mosca, alla quale sono state promesse ritorsioni e sanzioni, come ad esempio le recenti indiscrezioni riguardo un inasprimento delle restrizioni nei confronti della Russia in tema di accesso ai sistemi di pagamento degli Stati Uniti, in particolare per i settori dell’energia e finanziario[4]. La volontà di un rapido disengagement americano dal conflitto è evidente e la Russia potrebbe trarne i dovuti benefici in termini negoziali. La Russia potrebbe adottare due atteggiamenti differenti.
In primo luogo, il Cremlino sarebbe indirizzato verso una pausa del conflitto che sia il più lunga possibile, garantendosi delle condizioni di sicurezza tali da non permettere all’Ucraina un riarmo e una riorganizzazione militare tale da poter impensierire Mosca in futuro in caso di un rinvigorimento della guerra. Nel perseguimento di quest’obiettivo, la Russia potrebbe poter optare per un cessate-il-fuoco con termini rivisti, ossia superare questo limite dei trenta giorni dell’accordo di Gedda. Ciò favorirebbe Mosca sotto un altro punto di vista, ossia quello dell’assestamento delle conquiste militari in territorio ucraino e il consolidamento delle posizioni su tutta la linea del fronte. La possibilità per la Russia di poter continuare la propria lenta marcia verso la conquista di porzioni di territorio ucraino, anche in seguito al ritiro delle forze di Kiev dalla regione di Kursk, darebbe nuovo vigore a Mosca. In caso contrario, un’interruzione delle ostilità così intesa potrebbe causare non pochi problemi alla Russia, in quanto vedrebbe in esso un mero time out in grado di far riprendere le forze all’Ucraina e poter continuare la propria resistenza. La volontà del regime di Putin è quella di perseguire i propri obiettivi originari, come dimostrato dalla volontà di “sradicare le motivazioni originali del conflitto”. Ciò evidenzierebbe come il Cremlino sia orientato al perseguimento di creare una propria zona d’influenza in Ucraina, eliminando il governo attuale e favorendo la presenza di uomini vicini più a Mosca che a Washington e Bruxelles.
In secondo luogo, l’atteggiamento dell’amministrazione russa potrebbe essere quello di accettare una proposta di cessate il fuoco, rivista nel suo contenuto più che nei termini, con l’obiettivo di un congelamento del conflitto per un periodo di tempo indeterminato. Ciò significherebbe accettare la proposta di cessate il fuoco di trenta giorni, l’inserimento nell’accordo di clausole che possano garantire a Mosca la sicurezza delle zone conquistate sino ad ora, il tentativo di garantire limiti al riarmo ucraino e un impegno bilaterale a non interferire negli affari delle regioni occupate – le quali, è bene ricordare, sono considerate come territorio russo tout court dalla Costituzione della Federazione, a seguito dei referendum del 2022 ritenuti per la maggioranza della comunità internazionale come illegali. Una tale prospettiva potrebbe costituire una buona via per la Russia nel medio periodo, in quanto potrebbe orientarsi verso una riorganizzazione militare e garantirsi il trasferimento della questione ucraina dal presente al futuro, traslando la gestione del conflitto a ipotetici nuovi attori. In uno scenario simile, ci si ritroverebbe in una condizione come quella verificatasi in Transnistria, il cui conflitto del 1992 terminò con un accordo di cessate il fuoco e non con un accordo di pace effettiva.
Note
[1]Le dichiarazioni sono state riportate dall’agenzia di stampa russa TASS.
TASS (13 marzo 2025). In Brief: Russia for truce, but “nuances” remain – highlights of Putin’s remarks to media. TASS
[2] Dichiarazioni effettuate sul canale della TV di Stato russa Rossija 1
[3] TASS (13 marzo 2025). Kiev always lied during previous ceasefire in Ukraine – top Russian diplomat. TASS
[4] Jacobs, J. O’Keefe, E. (13 marzo 2025). Trump administration toughens sanctions on Russian oil, gas and banking sectors. CBS
Foto copertina: Il presidente russo Putin