La Geopolitica delle criptovalute


Intervista ad Elham Makdoum autrice di “La geopolitica delle criptovalute” per affrontare uno dei temi più attuali e complessi del nostro tempo: l’impatto delle criptovalute sugli equilibri geopolitici globali.


Nel suo libro “La geopolitica delle Criptovalute” (Castelvecchi Edizioni, acquista qui), Elham Makdoum offre un’analisi approfondita di uno dei temi più attuali e complessi del nostro tempo: l’impatto delle criptovalute sugli equilibri geopolitici globali. In un mondo sempre più digitalizzato, le valute virtuali come Bitcoin, Ethereum e molte altre, non sono più solo strumenti finanziari, ma veri e propri attori in grado di influenzare le dinamiche economiche, politiche e sociali a livello internazionale. Makdoum esplora come le criptovalute stiano rimodellando i rapporti di potere tra Stati, istituzioni finanziarie e individui, offrendo una prospettiva che va oltre l’aspetto puramente economico per abbracciare implicazioni geopolitiche e strategiche.
Questo libro si rivela essenziale per chiunque voglia comprendere come la decentralizzazione della moneta e la tecnologia blockchain stiano riscrivendo le regole del gioco a livello globale.

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Intervista con l’autrice

Nel suo libro esplora il legame tra criptovalute e geopolitica. Quali sono, secondo lei, i principali attori globali che stanno influenzando questa relazione?
Il legame tra criptovalute e geopolitica sta iniziando ad essere oggetto di dibattito un po’ ovunque. C’è da dire, però, che alcuni attori hanno captato prima di noi il potenziale strategico delle crypto, tra questi: la Russia, l’Iran, ma anche la Cina e la Corea del Nord. Tutti attori, questi, che hanno deciso di puntare sulle criptovalute a scopo anti-sanzionatorio (nel caso della Cina per evitare le sanzioni secondarie date dal commercio con paesi sanzionati), o per finanziare operazioni militari – come nel caso della Russia e dell’Ucraina nel contesto della loro guerra – e, altre volte, per effettuare operazioni non convenzionali.

Il ventaglio di applicazione delle criptovalute è davvero vasto e gli stati occidentali, che sino a qualche tempo davano alle criptovalute una connotazione prettamente speculativa, ora stanno cominciando a comprenderne le potenzialità strategiche. Il fatto è che questo processo ha accumulato molti ritardi e l’Occidente, oggi, si trova in una posizione di svantaggio rispetto agli attori di cui sopra.

Come ritiene che l’adozione delle criptovalute possa trasformare gli equilibri di potere economico e politico tra Paesi sviluppati e in via di sviluppo?
La decentralizzazione è l’elemento che può modificare l’equazione degli equilibri di potere economico e politico tra Paesi sviluppati e in via di sviluppo. Criptovalute e finanza decentralizzata sono un connubio che premette e promette di creare un sistema completamente indipendente da banche centrali e governi nazionali, rimescolando le carte in tavola. Tra i principi fondativi del progetto Bitcoin, la prima criptovaluta creata con successo, v’era proprio il concetto di sovranità monetaria. Le criptovalute, dunque, non possono non essere uno strumento in grado di modificare gli equilibri di potere.

Quali sono le principali sfide normative che i governi stanno affrontando nel tentativo di regolamentare le criptovalute, e quali strategie geopolitiche potrebbero adottare in futuro?
Determinare la natura delle criptovalute è già una sfida, dato che si tratta di un fenomeno completamente nuovo e non vi sono precedenti storici da consultare. Parliamo di uno strumento che deve prima di tutto essere inquadrato, e, infatti, ancora aperto il dibattito su come definirle: sono una commodity? Sono una valuta? Oppure sono un asset?

Le criptovalute operano su scala globale e travalicano i confini, perciò tentativi di regolamentazione a livello nazionale risulterebbero inefficaci. Occorre una regolamentazione unificata, magari negoziata in piattaforme come G20 o FMI, che fissi degli standard globali. Insomma, è necessario assicurarsi che tutti parlino la stessa lingua e per fare ciò è vitale un alto livello di coordinamento e di collaborazione a livello internazionale. L’alternativa è una migrazione di massa verso mete poco o per nulla regolamentate; un fenomeno, questo, al quale si sta già assistendo. 
Inoltre, il settore delle criptovalute è destinato ad assumere una forte connotazione strategica, nel senso che sempre più paesi lo riconosceranno come strategico, al pari di energia, salute e trasporti, ricorrendo a strumenti come il golden power per bloccare, per esempio, acquisizioni o partecipazioni in infrastrutture crypto, come mining farm ed exchange, di attori considerati ostili.

Il suo libro discute delle criptovalute come strumenti di potere. In che modo Paesi come la Cina o la Russia stanno sfruttando le valute digitali per sfidare il dominio economico degli Stati Uniti?
Paesi come Cina e Russia stanno utilizzando le criptovalute per mettere alla prova l’unipolarismo in una varietà di modi, non solo economici.

Se pensiamo al dominio economico-finanziario degli Stati Uniti: i BRICS+ pianificando una criptovaluta comune per sfidarlo. Questo perché le criptovalute sono il futuro degli interscambi e la loro importanza nell’arena internazionale è destinata ad aumentare col tempo; una tendenza che è stata intercettata dai BRICS+, che hanno inserito blockchain e criptovalute nella loro ricetta per la dedollarizzazione. La finanza decentralizzata sarà uno dei mezzi preferiti dai BRICS+ per raggiungere il fine della dedollarizzazione per almeno due motivi. Il primo che è la finanza decentralizzata è essenzialmente nata come alternativa alle valute fiat e dunque ben si presta allo scopo di dedollarizzare gli scambi commerciali e finanziari. Il secondo è che ha gli anticorpi per resistere a eventuali tentativi di destabilizzazione basati su sanzioni.

Come vede il ruolo delle criptovalute  nelle economie emergenti, soprattutto in regioni come l’Africa e l’America Latina? Possono rappresentare una soluzione alle loro sfide economiche?
Le criptovalute possono essere uno strumento di resistenza economica. Prendiamo l’esempio di Cuba, la Taiwan degli Stati Uniti, dove la ricetta di resistenza del governo, storicamente basata su un mix di autarchia e baratto, ha recentemente visto l’ingresso delle criptovalute. Dal 2021, infatti, le criptovalute sono diventate un metodo di pagamento legale per le transazioni commerciali. Inoltre, Mosca e L’Avana stanno discutendo di come utilizzare le criptovalute nei loro interscambi bilaterali.

La crittografia è la chiave e la decentralizzazione è la porta. Porta che apre ad un futuro (già presente) dove non vi è necessità di alcun intermediatore che attesti la validità della transazione o la creazione di nuove unità di una determinata valuta. La completa autonomia e l’indipendenza sono i motivi per cui le criptovalute sono lo strumento preferito dei paesi sanzionati o dei paesi che vogliono continuare a commerciare con paesi sottoposti ad un regime sanzionatorio – eloquente, a quest’ultimo proposito, il caso del commercio sino-iraniano.
Poi abbiamo paesi africani in cui acceso è il dibattito sul ruolo che le criptovalute potrebbero giocare nell’emancipazione dal franco CFA. Parliamo di progetti con potenziali risvolti geopolitici: una Françafrique meno France e più Afrique. Non è un caso che Russia e Cina stiano osservando con molta curiosità i dibattiti sulle criptovalute in Africa, talvolta intervenendo – la decisione della Repubblica Centrafricana di dare corso legale al bitcoin è stata presa su suggerimento russo.

Nel suo libro affronta anche il tema della decentralizzazione delle criptovalute. Ritiene che il potenziale di decentralizzazione possa minacciare i governi nazionali, o è più probabile che vedremo una convergenza tra valute digitali private e centralizzate?
Considerando le caratteristiche intrinseche della DeFi (Finanza Decentralizzata) e delle criptovalute, sì: potrebbero diventare una minaccia per i governi nazionali e il sistema finanziario tradizionale. Tuttavia, va ricordato che le criptovalute nascono in ambienti anarchici e la storia ci insegna che l’anarchia è impossibilitata per natura a diventare un progetto politico, perché tendente all’utopia o alla distopia – a seconda dei punti di vista. 

Nel caso delle criptovalute, la scuola anarchica ha avuto e ha tuttora due correnti: gli eredi del Movimento Cypherpunk e i “riformisti”. Questi ultimi, oggi, rappresentano la fetta più cospicua del settore e ne chiedono maggiore regolamentazione dal giorno uno. Per due motivi: riconoscimento da parte delle istituzioni e tutela degli investimenti e degli investitori da parte delle stesse.
È molto più probabile che, in futuro, più che a una DeFi in grado e volente di disintegrare il sistema finanziario stato-centrico, assisteremo alla nascita di un sistema ibrido in cui convivono criptovalute e CBDC – che, attenzione, non sono delle criptovalute. Per concludere: non c’è una collisione tra le parti – istituzioni e community crypto – perché ambedue, anche se per ragioni differenti, vogliono che il settore sia riconosciuto e regolamentato. Ragioni differenti perché le istituzioni vedono nella regolamentazione un modo per porre sotto stretto controllo il settore, mentre le community crypto la vedono come un modo per avere maggiore tutela. 

Nel libro illustra come particolare Hamas abbia utilizzato le criptovalute nel finanziamento delle proprie attività terroristiche eludendo le sanzioni.
Hamas sbarca nel criptoverso nel 2019 – o perlomeno è nel 2019 che Israele ne scopre la presenza – e qui si rende protagonista di campagne di raccolta fondi, cripto-reati, attività di mining e speculazione. È sempre nel criptoverso che Hamas finanzia in parte l’operazione Alluvione al-Aqsa, che il 7 ottobre 2023 ha scatenato la guerra Israele-Palestina.

Nel 2021, all’indomani della breve ma intensa guerra primaverile con l’IDF, Hamas si rifugiò nei darknet market illegali e nelle crypto-exchange per rimpinguare rispettivamente il proprio arsenale e le proprie casse, riuscendo a raccogliere più di 150 milioni di dollari. Denaro utilizzato per fare shopping di armi russe, cinesi e nordcoreane nei marketplace illegali in cui si può trovare qualsiasi tipo di prodotto (e non solo) e dove l’unica lingua parlata è quella delle criptovalute.
Vorrei che da questo caso studio emergesse la velocità con cui gli anti-stati tendono a captare il potenziale delle innovazioni e ad adattarle ai loro bisogni a proprio vantaggio. Se Donald Trump parla soltanto oggi, 2024, di fare degli Stati Uniti la capitale mondiale delle crypto, l’Internazionale jihadista pubblicò il primo documento sull’utilizzo di Bitcoin esattamente dieci anni fa, nel 2014, mentre Hamas fece approdo nel criptoverso solo cinque anni dopo.

Guardando al futuro, come pensa che l’evoluzione delle criptovalute influenzerà le relazioni internazionali e la stabilità finanziaria globale nei prossimi 10-20 anni?
Le criptovalute sono l’underdog di quella macro-rivoluzione degli affari industriali, finanziari e militari che è la blockchain. Il loro impatto sulla quotidianità delle persone, da Oslo a Lagos, sarà enorme. Il loro ruolo nella competizione tra grandi potenze, in particolare nel capitolo dedicato alla dedollarizzazione, anche. Il fatto che gli Stati Uniti si siano accorti del criptoverso, dopo averlo quando ostacolato e quando ignorato da quando esiste, dovrebbe essere eloquente.

Molte persone faticano a capire il significato profondo che sta alla base del concetto di denaro crittografato e privato e delle mura che lo proteggono: le blockchain. Lo capiranno col passare del tempo, perché le prossime due decadi saranno egemonizzate dai dibattiti sulle criptovalute. A chi rifiuta di prendere atto di questa rivoluzione epocale per ragioni ideologiche, vorrei rispondere con le parole di Satoshi Nakamoto: “If you don’t believe me or don’t get it, I don’t have time to try to convince you, sorry”.


Foto: copertina libro “La geopolitica delle criptovalute” di Elham Makdoum