Dalla conquista di Damasco ad opera di HTS la nuova Siria è entrata in un periodo di transizione, in cui dovranno essere affrontate questioni essenziali, tra cui le riforme delle strutture essenziali dello Stato.
L’8 dicembre ha costituito un’importante data spartiacque nella storia della Siria. L’offensiva portata avanti da Hayat Tahrir al-Sham (HTS) ha consentito il collasso del regime di Bashar al-Assad, ponendo la parola fine al potere della famiglia degli Assad, la quale controllava il Paese da più di cinquant’anni. L’avanzata delle milizie dell’opposizione siriana, la conquista di Aleppo, Homs, Hama e Damasco, ha lasciato sbalorditi molti Stati nella regione del Medio Oriente, così come il mondo occidentale. Il lungo avanzare dalla roccaforte di Idlib, nel nord-ovest della Siria, alla capitale ha avuto contorni quasi “mitici”, attorno al quale potrebbero essere intessute storie e narrazioni negli anni a venire.
Eppure, ponendo da parte eventuali considerazioni romanzesche, quasi entrando nella farsa, la Siria e la sua popolazione stanno attraversando, da quei giorni festosi ad oggi, un momento della loro storia sì peculiare, costituito d’incognite, di speranze e di realtà.
La sfida maggiore è costituita dalla necessità di creare un nuovo Stato, fatto di un ordinamento giuridico riformato, di un territorio d’amministrare coeso e di una popolazione che possa considerarsi parte integrante di esso. Pertanto, si discute delle componenti che formano uno Stato che è possibile denominare tale. Eppure, tali obiettivi devono essere perseguiti attraverso un’agenda comune, che cerchi di raccogliere la più grande pluralità possibile di una comunità, la quale in questo caso risulta essere composta da numerose anime. Inoltre, il piano di costituzione di un nuovo Stato siriano si basa sulla necessaria riforma del sistema economico, accompagnato da un necessario cambio dal punto di vista politico e giuridico. In ultima analisi, è bene considerare la postura internazionale della nuova Siria, in relazione ai vicini prossimi, agli alleati di lungo corso, ai partner strategici e alle sfide che si presentano in un ordine internazionale in “transizione”.
La “transizione” è il termine più adeguato a definire il corso della storia della Siria dai primi giorni del dicembre 2024 ad oggi. Le numerose sfide e opportunità che questa inevitabilmente porterà (e sta già portando) alla nuova Siria devono essere colte da personalità politiche che possano concepire una strategia di lungo corso coerente. Il leader di HTS Ahmed al-Sharaa è la figura che ha preso il sopravvento nella fase concitata di riconquista di Damasco ed è l’uomo che sta sviluppando una nuova idea di Siria o, perlomeno, sta provando ad incarnare in sé e nel suo governo l’attore in grado di poter realizzare la transizione per la Siria verso un futuro lontano dalla guerra civile.
Sarà in grado di svolgere un compito tanto delicato? Ciò potrebbe essere possibile attraverso l’adozione di una serie di politiche che cerchino di tenere conto le differenti componenti siriane, cercando di porre a tacere i conflitti interni tra le singole fazioni. Inoltre, nonostante permangano numerosi dubbi circa la natura delle parole di al-Sharaa riguardo l’assetto della nuova Siria, ossia riguardo l’applicazione di quale ordinamento giuridico, è chiaro che il pragmatismo adottato sinora potrebbe costituire un vantaggio per garantire una chiara visione univoca di riassestamento interno. A ciò va affiancata la necessaria riconsiderazione del modello economico, attraverso una serie di riforme che possano garantire lo sviluppo economico e sociale del Paese e della sua popolazione, garantendo la ricostruzione e assicurando sicurezza all’interno di esso.
Un percorso così delineato non è esente da rischi, tutt’altro. I violenti scontri tra le nuove forze governative e le fazioni alawite sono la dimostrazione di come il periodo di transizione sia pieno d’insidie. Ma questa non è una novità storica: ad ogni rinnovamento o passaggio da un regime ad un altro, i primi tempi sono spesso quelli più complessi per il regime entrante, il quale pecca di un requisito che bisogna costruire e saldare nel tempo, ossia la legittimità. La nuova Siria sarà basata su questo tipo di ordine?
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Non è un segreto che il territorio siriano sia diviso in differenti entità, ognuna di esse che esercita un livello di controllo su porzioni di territorio. Al momento in cui si scrive, il governo guidato da al-Sharaa controlla la gran parte dello Stato, quella che dallo stesso al-Assad veniva considerata la “Siria utile”, ossia le grandi città e la fascia costiera a maggioranza sciita-alawita, situate nella parte occidentale del Paese. L’Amministrazione Autonoma del Nord-Est o Rojava a guida delle Forze Democratiche Siriane (SDF) controllano una grande porzione di territorio nella parte nord-orientale a ridosso del fiume Eufrate. Nella zona settentrionale si riscontrano le forze filo-turche dell’Esercito Nazionale Siriano (SNA) e le zone d’occupazione turche, conquistate in un’offensiva del 2019. Inoltre, nel sud troviamo la componente drusa nella regione di Suwayda, mentre nei pressi delle alture del Golan lo Stato d’Israele ha approfittato dell’instabilità successiva alla caduta di al-Assad per estendere il suo controllo (che vige sull’area del Golan dalla Guerra dei Sei Giorni del 1967) ad una zona cuscinetto comprendente il monte Hermon[1], spingendo la frontiera a soli 40 km da Damasco.
In un contesto così delineato, la necessaria sfida è quella di rendere il territorio non un puzzle contorto, bensì di garantire il controllo del governo di Damasco su tutte le aree che rientrano nei confini internazionalmente riconosciuti. Per fare ciò, sino ad ora l’esecutivo guidato dal Presidente ad interim al-Sharaa ha cercato di favorire il dialogo bilaterale tra le differenti componenti. Sino ad ora gli sforzi profusi sono andati in direzione di rapporti con le entità interne, senza ancora discutere delle zone d’occupazione di Stati stranieri in territorio siriano. Difatti, dall’inizio di marzo sono stati conclusi due accordi separati con la comunità Drusa di Suwayda[2] e con l’AANES[3]. Il primo di questi ha portato al pieno reintegro della provincia all’interno dell’amministrazione siriana. Il secondo, più complesso, ha previsto una dichiarazione bilaterale d’intenti con l’obiettivo di riconoscere i curdi come parte costitutiva della Siria – cosa mai avvenuta durante il precedente regime – e di favorire l’integrazione dell’AANES entro lo Stato siriano. Questi accordi costituiscono il punto di partenza della ricerca di legittimità, attraverso un dialogo bilaterale tra i principali attori coinvolti. Ciò non è scontato, in quanto la natura del governo provvisorio è quella di un’estensione delle istituzioni idlibiane durante il dominio sulla regione di HTS. Molte figure di spicco che erano presenti a Idlib costituiscono parte integrante del nuovo governo o sono associati ad esso, come ad esempio i nuovi vertici di polizia.
Ristabilire il controllo di un’autorità centrale non è un’impresa semplice. Gli scontri[4] tra le forze governative e alawiti pro-regime assadiano di inizio marzo che hanno portato a più di mille morti nelle regioni costiere di Latakia e Tartous costituiscono un esempio lampante di queste difficoltà. La lotta si fa in termini politici, ma si affianca la questione militare e del controllo delle armi in queste regioni. A ciò si riferisce una sistematica razionalizzazione dell’esercito e un’espansione del monopolio della forza dello Stato siriano. La costruzione di una base di legittimità da cui muoversi passa dal controllo delle strutture non istituzionali portanti, ossia il controllo dei media e delle forze armate. Se da un lato favorire la libertà mediatica potrebbe garantire maggiore trasparenza, anche in merito alle recenti violenze, dall’alto il controllo dovrebbe esercitarsi attraverso un esercito unico, coeso e rispondente ad una singola autorità, promuovendo la centralizzazione.
Le riforme: il diritto e l’economia
L’altro pilastro sul quale la Siria dovrebbe ristabilirsi è quello delle riforme. Queste dovrebbero avvenire in modo tale da consentire un passaggio graduale alla popolazione verso una nuova condizione, in modo tale che essi possano adattarsi. Il nuovo governo ha già incominciato questo processo, adottando una postura pragmatica, non esente da critiche.
In primo luogo, una delle questioni che più preme la popolazione è l’economia. Il vecchio modello economico d’ispirazione socialista ba’athista, in particolare durante gli anni della guerra, ha provocato un immobilismo e una cleptocrazia da parte del governo di al-Assad, il quale concentrava nelle proprie mani la gran parte dei (pochi) capitali e delle ricchezze siriane. Inoltre, la produzione di Captagon, un’anfetamina definita “la cocaina dei poveri”, aveva fatto precipitare la Siria nello status di “narco-Stato”, divenendo quest’ultima la fonte principale nelle voci d’entrata a bilancio dello Stato, per un equivalente di circa $5.6 miliardi[5]. Un altro punto cruciale del risollevamento dell’economia siriana riguarda le sanzioni internazionali, imposte dagli Stati Uniti, l’Unione Europea e il Regno Unito in un’ottica di opposizione alle repressioni del regime assadiano[6]. Sin da dicembre, difatti, dalla società civile siriana sono stati innalzati numerosi appelli per favorire un allentamento di tali sanzioni, le quali colpiscono il commercio, i capitali e le persone. La valutazione circa la rimozione delle sanzioni, chiaramente, non può avvenire a cuor leggero, in quanto si rischierebbe la proliferazione di “controindicazioni” nei confronti dell’Occidente, aggravando il rischio securitario nella regione. È bene ricordare come la Siria costituisca ancora il luogo in cui sono presenti gruppi estremisti, tra cui ciò che rimane di un ISIS indebolito nelle zone desertiche centrali. Esse dovrebbero essere rimosse in maniera graduale e mirata, tralasciando gli entusiasmi di una sospensione totale.
Le restrizioni economiche dovute alle sanzioni, a tredici anni di guerra civile e di scarsa distribuzione del reddito ha provocato una crisi economica interna consistente. Se da un lato le sanzioni hanno causato delle difficoltà ingenti per le principali imprese e compagnie siriane, dall’altro i cittadini hanno sofferto la carenza di prodotti, limitazioni al prelievo di banconote e conseguenti file agli sportelli, scarsi aiuti internazionali. Per utilizzare un eufemismo, la Siria costituisce una “bolla già scoppiata”, in cui il fine ultimo è quello di dover puntare non al miglioramento, bensì ad una pura ricostruzione del tessuto economico. La liberalizzazione iniziale dei mercati adoperata dal governo ha l’obiettivo di intervenire proprio su questi aspetti, ma i potenziali effetti positivi vengono smorzati dall’inflazione conseguente e dalla presenza di un sistema finanziario altamente illiquido, con poca possibilità di prelevare il denaro necessario alle famiglie e alle imprese per i consumi[7].
In secondo luogo, una questione di riforma più delicata è quella dell’assetto giuridico. Un nuovo Stato, nella gran parte dei casi, corrisponde ad una nuova Costituzione e, secondo le parole di al-Sharaa, la sua redazione è un obiettivo per garantire la necessaria base legale per il periodo di transizione[8]. In virtù di questo obiettivo, è stata formata una vera e propria Commissione Costituzionale, perseguendo un approccio top-down. Permangono numerosi dubbi riguardo la formalizzazione della Costituzione circa la sua natura e su quali pilastri essa dovrebbe sostenersi, ossia riguardo il grado di applicazione della legge islamica, se dovesse essere presente.
Siamo di fronte ad un nuovo esperimento di Islam politico? La risposta a questa domanda, già carica d’insidie, lo è a sua volta, a causa dell’ambiguità sinora percepita del governo siriano.
La via per Damasco (degli altri)
La presa del potere da parte dell’HTS e di al-Sharaa e la conseguente la caduta di Bashar al-Assad hanno stupito numerosi attorni internazionali. Per questa ragione, la Siria è un osservato speciale. Posta al centro del Medio Oriente, la Siria è carica di vicini ingombranti, dalla Turchia a Israele, passando per l’Iran. All’interno dello scacchiere sono presenti la Russia e gli Stati Uniti. La gran parte di essi hanno interessi, spesso contrastanti, in Siria, ma negli ultimi tempi sembra essersi andata delineandosi una sorta di accordo tacito tra la gran parte di essi.
Il grande sconfitto è senza dubbio l’Iran, il quale ha visto sgretolare parte dell’asse della resistenza tra la Siria e il Libano dallo scoppio della guerra tra Israele e Hamas nell’ottobre del 2023. La Repubblica Islamica aveva nella Siria una testa di ponte strategica per adoperare le dovute pressioni ad Israele, grazie all’appoggio al governo di al-Assad durante la guerra civile, il quale aveva consentito all’Iran di dotarsi di un hub strategico essenziale. La caduta del regime di Assad e la salita al potere di HTS, fazione islamica sunnita legata alla Turchia, ha composto un “indietreggiamento” nella regione e nella presenza iraniana in Siria.
In una situazione intermedia si trova la Federazione Russa, la cui posizione è ancora di stallo. La Russia si era fatta grande promotrice della tutela del regime di Assad, attraverso l’importante sostegno militare profuso che di fatto ha salvato il regime di Damasco. La Russia ha usufruito della storica base navale di Tartous e la base aerea di Hmeimim, nella regione di Latakia. Dal gennaio del 2025 una tale posizione di vantaggio è venuta ampiamente meno, a causa della revoca da parte siriana della concessione delle due basi[9], provocando un lento spostamento degli equipaggiamenti e dei mezzi militari russi. Eppure, la posizione russa risulta essere ambigua, in un rinnovato rapporto di “riavvicinamento” con Israele. Proprio quest’ultimo, in virtù del duplice obiettivo di contrastare l’Iran e la crescente influenza turca nella regione, sta adoperando delle pressioni nei confronti degli Stati Uniti affinché la rimozione delle forze russe dalle basi siriane possa venire meno[10].
Insomma, si starebbe delineando un asse Tel Aviv-Washington-Mosca che garantirebbe, su di una moltitudine di teatri, il concatenamento degli interessi tra i tre attori. Una sorta di logica della compensazione di scuola ottocentesca, volta al soddisfacimento degli appetiti delle tre potenze in questione. Israele preferirebbe una Siria debole, decentralizzata e che non possa costituire una minaccia alla propria sovranità e per conseguire quest’obiettivo si sta muovendo su più fronti. In primo luogo, l’occupazione di una buffer zone a ridosso del monte Hermon consente alle forze israeliane di minacciare con i propri razzi direttamente Damasco e di poter raggiungere più facilmente eventuali magazzini di armi, equipaggiamenti e mezzi militari, ripetutamente colpiti dall’IDF per evitare che, sfruttando il vuoto di potere, altre organizzazioni estremiste potessero appropriarsene e, allo stesso tempo, per indebolire e rallentare la ricostituzione di un esercito siriano unico. Dal canto suo, la Russia preferirebbe che parte della sua flotta non si ritrovi in alto mare nel Mediterraneo senza un porto nel quale stazionare. L’appoggio israeliano al mantenimento delle basi in Siria potrebbe equivalere ad una concessione agli Stati Uniti di avanzare qualsiasi pretesa nell’Artico, senza che la Russia possa percepirla come una minaccia diretta.
Note
[1] https://www.middleeasteye.net/news/mount-hermon-why-control-syria-highest-peak-matters
[2] https://www.ynetnews.com/article/bkwdv5ajje
[3] https://www.reuters.com/world/middle-east/syria-reaches-deal-integrate-sdf-within-state-institutions-presidency-says-2025-03-10/
[4] https://www.reuters.com/world/middle-east/hundreds-killed-syrian-crackdown-alawite-region-war-monitor-says-2025-03-08/
[5] https://www.bbc.com/news/articles/c2dxnn1406do
[6] https://globalsanctions.com/region/syria/
[7] The Economist (2025, 8 marzo). Liberty, poverty, asphyxiation. The Economist
[8] https://www.france24.com/en/middle-east/20250302-syria-forms-committee-to-draft-transitional-constitutional-charter
[9] https://thegeopolitics.com/the-future-of-the-tartus-naval-base-post-russian-expulsion
[10] https://www.reuters.com/world/israel-lobbies-us-keep-russian-bases-weak-syria-sources-say-2025-02-28/
Foto copertina: HTS rappresenta la nuova Siria