La “religione” populista


Il processo di sacralizzazione politica applicato al populismo


A cura di Alessio Paneggio

Sono molti anni che assistiamo ad una concessione dell’etichetta di populismo a regimi e movimenti troppo diversi da loro. Ciò avviene in quanto le differenti definizioni di populismo sinora formulate non sono state in grado di identificare questo fenomeno così poliedrico e camaleontico. Nella letteratura le diverse definizioni di populismo relegano il ruolo svolto dal popolo a semplice effetto della comunicazione populista: questo rappresenta un paradosso, in quanto ciò che conferisce il nome a questo fenomeno non può certo essere considerato un soggetto passivo.
Quella che si vuole proporre in questo testo è una definizione che consideri non solo l’offerta di populismo derivante dalla sfera politica, ma anche la sua domanda proveniente dal popolo.
Per poter comprendere questa domanda è necessario osservare i sentimenti che animano le masse e dai quali emergeranno le passioni populiste.
In un contesto politico dominato dalla post-verità come quello a cui stiamo assistendo in questo primo quinto di secolo, è maggiore la probabilità che gli individui accettino un argomento basato sulle loro emozioni e credenze, piuttosto che uno basato sui fatti.
Considerando che il populismo è un fenomeno che più di altri enfatizza le emozioni delle masse, esso è strettamente collegato alla post-verità, e deve essere definito in funzione di questa sua peculiarità.
I sentimenti che il populismo è in grado di fomentare sono risentimento – e il suo omonimo francese ressentiment – provato verso le élites accusate di privare gli individui delle possibilità di cui essi potrebbero godere.
Al risentimento fa seguito la rabbia provata dal popolo quando incontra vincoli al perseguimento dei propri obiettivi e poi la paura, da un lato alimentata dal populista spessa riferita ad un nemico che lui stesso ha creato e dall’altro combattuta dal populista che si propone come il protettore della sua comunità.
A questi sentimenti vanno aggiunti la nostalgia di un passato archetipo, la speranza, e la fede: il leader populista gode della cieca fiducia da parte degli individui che compongono la comunità dei seguaci, e questo è un primo elemento di somiglianza tra il populismo e la religione.
La fede populista individua la verità ultima negli strati più profondi della società e non fornisce immagini regolatorie del futuro ma quelle di un passato storico o archetipo, per poterle utilizzare come criterio valutativo del presente e generare un risentimento che ben si accompagna alle promesse populiste di redenzione, incentrate su una salvezza che potrà arrivare sotto forma della realizzazione dell’antico principio democratico di domino da parte del popolo.
Un attributo che nella letteratura viene spesso conferito al populismo e che riprende elementi religiosi è la presenza di una leadership carismatica.
La società deve ritrovare una coesione culturale, economica e politica riconfigurando la vita pubblica spurgata dai profittatori; la traduzione in realtà di questa promessa e il raggiungimento del riscatto morale richiede non solo adeguati strumenti politici, ma anche la disponibilità di uomini che si dimostrino capaci di padroneggiarli: un leader che conferisce voce al popolo oppresso.
Il leader populista infatti è un “Profeta” che rivela le menzogne del paradigma dominante promosso dalle élite, è pronto a sacrificare sé stesso per portare al termine la sua missione e fa parte del popolo, in quanto è la rappresentazione dell’uomo comune, con qualità, attitudini e stili di vita quotidiani.
Pertanto, i leader hanno un legame diretto e spontaneo con il popolo, non mediato da corpi che dividono la politica dalla massa.
L’insieme di questi sentimenti, riconducibili alle esperienze religiose, produce un fervore emotivo attraverso il quale ogni singolo individuo appartenente alla comunità partecipa alla vita politica.

Questa manifestazione di sentimenti non differisce dall’effervescenza generata dal credo religioso, che è stata analizzata da Durkheim, il quale ha introdotto il concetto di effervescenza per comprendere quello che accade durante i rituali religiosi: questo termine descrive un’atmosfera denotata da forte esuberanza e da un senso di comunità che si verificano durante i rituali e si manifestano quando le interazioni sociali si fanno più frequenti e attive, come ad esempio nello sviluppo della religione, nel quale risulta un’effervescenza generale, caratteristica delle epoche rivoluzionarie o creatrici.
Questa effervescenza è dunque il prodotto dei sentimenti che animano le masse e che ne forniscono identità e coesione; essa si manifesta attraverso una liturgia politica che è stata caratteristica delle religioni politiche del XX secolo ma che può essere richiamata e sintetizzata anche per il populismo. Il leader populista dapprima polarizza la società, un divide et impera, che è uno dei principi fondamentali attraverso i quali si è reso possibile governare la storia.
Successivamente, vengono utilizzati diversi stili comunicativi: verso l’interno (il popolo) il linguaggio mira a richiamare le virtù degli individui applicando una visione manichea secondo la quale essi sono intrinsecamente buoni e le loro decisioni giuste, e pertanto, vuole far ritenere il populista parte del popolo giusto e legittimo detentore della sovranità.
Il linguaggio utilizzato è semplicistico e popolare, la ripetizione di immagini, locuzioni e simboli porta alla formazione di veri e propri rituali ai quali partecipa anche il popolo.
Verso l’esterno la comunicazione populista favorisce la rappresentazione della colpa, poiché le élite sono responsabili della crisi economica, politica o sociale che gli individui stanno affrontando, pertanto, il potere che esse esercitano viene giudicato illegittimo.
Il linguaggio utilizzato verso i nemici è aggressivo ed escludente, fornendo la voce al popolo esso deve manifestare i sentimenti che accomunano gli individui; la ripetizione delle frasi utilizzate contro gli oppositori mira alla formazione di uno stereotipo o di un’etichetta che verrà loro attribuita dall’intera comunità.
Tenendo conto di quanto detto, è possibile definire il populismo non come un’ideologia o come un semplice stile comunicativo, ma come un processo che si definisce a partire da una forma mentis «che individua il popolo come una totalità organica artificiosamente divisa da forze ostili, gli attribuisce naturali qualità etiche, ne contrappone il realismo, la laboriosità e l’integrità all’ipocrisia, all’inefficienza e alla corruzione delle oligarchie politiche, economiche, sociali e culturali e ne rivendica il primato, come fonte di legittimazione del potere, al di sopra di ogni forma di rappresentanza e di mediazione»[1]. Il punto di arrivo di questo processo sarà una religione della politica, e quindi un credo che si fonda sulla polarizzazione della società e mira alla salvezza della comunità sacralizzata e depositaria esclusiva di valori positivi e politici.
Esso si manifesta attraverso l’azione di un leader carismatico il quale usufruendo di una comunicazione di massa e mirata istituisce una liturgia costituente miti, riti e simboli volti a far emergere e a enfatizzare i sentimenti che sono diffusi nelle masse secolarizzate, fornendo loro identità e coesione. Questa definizione risulta vantaggiosa in quanto permette di inserire all’interno del continuum forma mentis – religione populista le diverse manifestazioni del fenomeno senza provocare una distorsione, ed è in grado di cogliere tutti i tipi di populismo, che siano essi di destra o di sinistra.
Il processo che definisce questo fenomeno può essere analizzato osservando il consolidamento delle diverse esperienze populiste, misurabile attraverso alcuni indicatori come la post-verità, la liturgia populista e la sua capacità di animare sentimenti già presenti nelle masse e la personalizzazione della politica, fenomeno necessario in una sfera politica sacralizzata.


Note

[1] M. Tarchi, Italia populista, dal Qualunquismo a Beppe Grillo, Il Mulino, Bologna 2015, p.87.


Foto copertina: Un’immagine del 1896 sul magazine americano “Judge”: il populismo divora il mulo democratico (wikimedia commons)