Nel dibattito contemporaneo sulla giustizia, una delle questioni più complesse riguarda il rapporto tra diseguaglianza e responsabilità individuale. Fino a che punto le differenze sociali ed economiche possono essere giustificate come il risultato delle libere scelte delle persone? E quali diseguaglianze, invece, meritano correzione perché frutto del caso o di circostanze fuori dal controllo individuale? Questo articolo esplora alcune delle principali teorie egualitarie — da Dworkin ad Arneson, da Cohen fino ad Anderson — per mettere a fuoco le tensioni tra giustizia distributiva, libertà personale e dimensione sociale dell’uguaglianza.
A cura di Marilisa Iannaccone
Le diseguaglianze fanno ampiamente parte della nostra vita e neanche gli egualitaristi più spinti arriverebbero a credere che si possano eliminare del tutto. Le diseguaglianze, siano esse di tipo sociale, economico o personale, sembrano accadere senza che nessuno possa esserne responsabile. Non sono responsabile se nasco in una famiglia povera o se per mia scelta o in base alle mie abilità (che neanch’esse scelgo io di avere) ottengo un lavoro che nella società in cui vivo è sottopagato. Alcuni autori come Dworkin, Arneson o Cohen[1] sostengono che solo le diseguaglianze che non dipendono dall’azione dell’individuo e per cui l’individuo non è responsabile vadano corrette. Le scelte ed i piani di vita delle persone segnano il confine tra le diseguaglianze accettabili e le diseguaglianze non accettabili che per ragioni di giustizia meritano di essere compensate. Ma può davvero una teoria della giustizia basarsi unicamente sulle libere scelte personali e può la responsabilità individuale essere il discrimine tra le diverse forme di diseguaglianza?.
Ronald Dworkin e l’egualitarismo della sorte
Immaginiamo dei viaggiatori su una nave[2]. All’improvviso scoppia una tempesta ma i naufraghi riescono ad approdare su un’isola deserta ricca di risorse da distribuire. Se semplicemente dividessero in parti uguali le risorse tra i naufraghi, alcuni panieri di risorse rischierebbero di essere più fruttuosi di altri perché le risorse non sono tutte allo stesso livello. Sarebbe più giusto distribuire un medesimo numero di conciglie ad ogni naufrago per poi istituire un’asta in modo che con le conciglie a disposizione ognuno acquisisca ciò che desidera. Alcuni contendenti possono essere più ambiziosi di altri e ottenere un paniere di risorse più fruttuoso tale per cui, nonostante la dote di conciglie uguale per tutti, persisteranno forme di diseguaglianze economiche e sociali.
In seguito all’asta iniziale subentrano nella vita dei naufraghi due tipi di sorte: la sorte bruta e la sorte opzionale[3]. La sorte opzionale è tutto ciò che accade ad una persona in seguito alle libere scelte della persona stessa mentre la sorte opzionale è tutto ciò che accade senza che l’individuo possa averne il controllo o la responsabilità. Immaginiamo una persona che non abbia mai fumato nella vita e che a quarant’anni sviluppi un cancro ai polmoni, sarebbe sicuramente un caso di sorte bruta negativa. Se lo stesso tumore capitasse ad un assiduo fumatore sarebbe indubbiamente una sorte negativa ma di tipo opzionale.
Una teoria della giustizia dovrebbe tentare di arginare gli effetti peggiori della sorte bruta negativa, incrementando il peso della sorte opzionale. Non potrei in alcun modo evitare che un incendio colpisca la mia macchina o che dei ladri irrompano a casa mia perché sarebbe fuori dal mio controllo ma invece posso decidere di pagare un’assicurazione in modo che, se anche mi colpisse quella sorte bruta, mi colpirebbe in maniera meno forte.
Se al momento dell’asta ci sono due persone, la prima avezza al rischio mentre la seconda preferisce le opzioni più sicure, il primo ottiene un paniere più elevato e fruttuoso rispetto al secondo. Questa differenza, segno di scelte di vita differenti e incontestabili, comporta l’assenza, per ragioni di giustizia, di qualsiasi tipo di redistribuzione tra i due naufraghi. Eguaglianza di risorse significa che le persone pagano il costo della vita che scelgono. Chi perde ha le stesse opportunità di vincere rispetto a chi effettivamente vince e per questo, pur avendo perso, non merita compensazione. Chi merita compensazione non è il naufrago che scommette tutte le sue conciglie e perde ma il naufrago che improvvisamente si ammala e diventa cieco perché quella malattia non è il frutto di scelte personali. Ma se nell’asta iniziale fosse disponibile un’assicurazione contro la cecità e il naufrago decidesse di non assicurarsi, meriterebbe la stessa compensazione?. I meccanismi assicurativi sono, secondo Dworkin, il solo tentativo di mutare in sorte opzionale la sorte bruta ma è intuitivamente impensabile credere di potersi assicurare contro qualsiasi avversità. Ciò che è complesso è proprio cogliere i limiti di questo meccanismo assicurativo, e quindi il limite dell’azione individuale rispetto ai meccanismi della sorte bruta.
Leggi anche:
Cohen e Arneson: un confronto tra benessere e vantaggi.
Ronald Dworkin declina l’intuizione da cui sorge l’egualitarismo della sorte, ovvero la differenza tra sorte bruta e sorte opzionale, secondo una metrica strettamente risorsista ma quest’intuizione può essere declinata secondo approcci tra loro ben diversi. Se adottassimo una metrica di eguale distribuzione delle risorse, secondo Richard Arneson, saremmo costretti ad ammettere che le persone siano responsabili delle loro preferenze e delle loro scelte ma questa considerazione è ambigua. Immaginiamo che un bambino cresca in una famiglia dalla forte e insistente formazione religiosa. Quando questo bambino sarà adulto svilupperà delle preferenze religiose molto marcate ma sarebbe assurdo sostenere che queste preferenze siano totalmente frutto di una sua disposizione, e che quindi gli appartengano, o che dipendano solo ed unicamente da lui, senza sostenere il peso e la rilevanza dell’ambiente circostante, in questo caso la famiglia.
In una teoria della giustizia a contare non è soltanto il benessere ma le concrete opportunità che un individuo ha di ottenere e realizzare un livello di benessere. In questi termini Arneson parla di eguaglianza di opportunità di benessere[4], ovvero di garantire un ventaglio di opzioni che sia equivalente a quello di ogni altra persona nei termini dell’offerta della soddisfazione delle preferenze. Nel momento in cui una persona gode di eque opportunità di benessere, allora qualsiasi ineguaglianza a livello di benessere non è problematica dal punto di vista della giustizia distributiva perché non è altro che il frutto della libera scelta che giace totalmente sotto il controllo di ogni persona. Anche secondo Arneson la giustizia non deve compensare gli effetti delle libere scelte e delle libere azioni ma deve compensare gli effetti di ciò che succeda alle persone al di fuori del loro controllo.
Cohen riprende e approfondisce questo punto. Il primo impulso egualitario è distinguere l’influenza che la sorte bruta, a differenza della sorte opzionale, ha nella distribuzione. La giustizia non deve eliminare ogni svantaggio ma deve eliminare lo svantaggio involontario, ovvero quello che non riflette scelte personali. La nozione di vantaggio è ben più ampia della nozione di benessere. Tutto ciò che contribuisce al benessere di una persona ne contribuisce anche al vantaggio mentre non è vero il contrario così come lo svantaggio è più ampio della mancanza di benessere. L’eguaglianza, secondo Cohen, non è eguale accesso alle opportunità di benessere ma eguale accesso alle opportunità di vantaggio[5]. L’aspetto più critico della discussione di Cohen è che la domanda su cosa sia il vantaggio resta ancora aperta perché Cohen non riesce a definire chiaramente cosa conti come vantaggio (mentre è estremamente severo nel definire quale sia la responsabilità individuale).
Immaginiamo Paul e Fred[6]. Paul ama la fotografia mentre Fred ama andare a pesca. I costi delle due attività sono tali che Fred abbia un alto livello di benessere mentre Paul, non riuscendo a finanziare il proprio passatempo, è insoddisfatto. Secondo Cohen, Paul non è in alcun modo responsabile di questo suo gusto costoso e per questo merita di essere compensato. I gusti costosi non sono tutti uguali: ci sono gusti costosi della cui formazione è responsabile la persona mentre ci sono altri gusti costosi che semplicemente capita di avere e sulla cui formazione o cessazione non si può intervenire. Per ragioni di giustizia meritano compensazione tutti i deficit di benessere ( o vantaggio) che non riflettono le scelte dei soggetti. Questa procedura egualitaria è un meccanismo a due livelli. Il primo livello consiste nel trattare ogni deficit di benessere come un possibile caso di compensazione per poi analizzarlo e capire se meriti davvero compensazione o meno. Ritorniamo al nostro bambino cresciuto in un severo contesto religioso. Ora immaginiamocelo adulto, povero, con un lavoro precario ma un forte desiderio di andare ad un pellegrinaggio che però non si può permettere. Quel bambino non ha scelto di acquisire quel credo religioso più di quanto abbia scelto la lingua che parla e ora che da adulto ha un senso religioso così fortemente instillato non se ne può tirare indietro, come non può tirarsi indietro rispetto al mondo che lo circonda. Allora non è così strano voler compensare qualcuno per il proprio credo religioso perché il punto della giustizia non è solo compensare per gli svantaggi che non sono riferibili ad una scelta individuale ma per quegli svantaggi che non solo non sono riferibili a delle scelte individuali ma che, se potesse, la persona sceglierebbe di non avere.
Il punto dell’eguaglianza secondo Anderson
In seno alla discussione espressa fin ora, qual è davvero il punto dell’eguaglianza?. Secondo Anderson, la giustizia deve sopprimere le forme di oppressione sociale. L’impegno non è che ognuno ottenga ciò che merita ma che si crei una comunità in cui i cittadini siano gli uni con gli altri in una relazione di uguaglianza. L’eguaglianza deve essere democratica perché deve impegnarsi a creare una comunità di eguali che integri i principi distributivi con le richieste di eguale rispetto. In una comunità democratica non ci sono i più o i meno fortunati ma dei cittadini alla pari.
L’egualitarismo della sorte è una visione profondamente individualista mentre la giustizia, e l’ingiustizia ancora di più, ha una dimensione sociale e relazionale. Lo stato sociale non può essere ridotto ad una grande compagnia assicurativa contro la sorte bruta negativa senza curare le relazioni ed i rapporti sociali tra i cittadini. L’egualitarismo della sorte è mosso solo apparentemente da un intento umanitario, che somiglia alla voglia da parte di chi è a tavola a godere di un lauto pasto di soccorrere i bambini che muoiono di fame nei Paesi più denutriti, ma di fatto è una visione profondamente irrispettosa, specialmente per chi è più in difficoltà. Immaginiamo un guidatore sprovvisto di assicurazione che guida negligentemente e causa un incidente. I passanti chiamano la polizia ed i soccorsi e, nel mondo reale, verrebbe soccorso ancora prima di stabilire che fosse senza assicurazione e che fosse lui il responsabile dell’incidente. Secondo Rakowski, però, se il guidatore fosse abbandonato a morire in mezzo alla strada non sarebbe un’ingiustizia perché il guidatore è il colpevole dell’incidente[7]. L’egualitarismo della sorte è irrispettoso perché abbandona, o crede sia giusto abbandonare, tutte le vittime negligenti. Nel credere che ogni individuo debba pagare le conseguenze, anche più negative, delle proprie scelte libere e consapevoli, l’egualitarismo della sorte è paternalistico ed eccessivamente giudicante. Davvero un vigile del fuoco, se fosse ferito durante un incendio, non meriterebbe alcun tipo di compensazione solo perché ha scelto autonomamente di fare il vigile del fuoco?.
Gli egualitaristi della sorte sono discriminatori anche nel senso che sono giudicanti e discriminatori tra persone che sono nella stessa condizione di malattia o difficoltà. Pensiamo nuovamente allo stesso guidatore spregiudicato che abbiamo descritto prima e ad un altro guidatore, ben più accorto nel guidare e più saggio nel decidere di assicurarsi, che però viene coinvolto nell’incidente stradale causato dal guidatore inaccorto. Se i due guidatori apportassero le stesse ferite, il guidatore accorto meriterebbe soccorso mentre il guidatore spregiudicato no. In questi termini, gli egualitaristi della sorte compiono discriminazioni tra le persone in difficoltà mentre (quasi paradossalmente) arrivano a credere che sia giusto compensare una persona che soffre perché ha il naso aquilino o le orecchie a sventola.
Oltre le scelte delle persone, verso una giustizia relazionale
Un’eguaglianza democratica non giudica chi è fumatore ma garantisce la stessa assistenza sanitaria in caso di malattia sia all’assiduo fumatore che alla persona che non ha mai fumato. Una giustizia democratica non compensa di risorse la persona disabile ma costruisce città architettonicamente più inclusive. Una teoria della giustizia democratica non compensa gusti costosi involontari ma pone fine alle oppressioni sociali. L’ingiustizia non è una questione personale e non consiste nell’avere ciò che si merita o nel non avere ciò che non si merita. L’ingiustizia è una questione collettiva e una teoria degli assetti sociali deve puntare ad una giustizia relazionale dove tutti cittadini sono trattati da eguali e con eguale rispetto, a prescindere dalle scelte personali.
Note
[1] Dworkin non si definisce un egualitarista della sorte, ma in realtà neanche Cohen e Arneson si definiscono tali. Il termine egualitarismo della sorte è coniato da Elizabeth Anderson che nella corrente include sia Dworkin che Cohen e Arneson.
[2] Vedi Dworkin R., Sovereign Virtue, Harvard University Press, Harvard, 2002.
[3] Vedi Anderson E. S., What is the Point of Equality?, in Ethics, Vol. 109, No. 2 (Gen., 1999), pp. 287-337.
[4] Ibid p. 85.
[5] Vedi Cohen G. A., On the Currency of Egalitarian Justice, in Ethics, Vol. 99, No. 4, (Giugno, 1989), pp. 906-944
[6]Ibid p. 923.
[7] Vedi Anderson E. S., What is the Point of Equality?, in Ethics, Vol. 109, No. 2 (Gen., 1999), pp. 287-337.
Foto copertina: La Giustizia è un affresco di Raffaello Sanzio