Dal secondo Scudetto consecutivo a Bologna alla fuga per la sopravvivenza, sempre nel segno dell’amore per il pallone.
Alle origini del mito
È il 2 maggio del 1937 e nella città di Bologna si respira un’elettricità vibrante. Allo Stadio Littoriale si disputa una sfida cruciale per il campionato di Serie A. Il Bologna ospita la Triestina di Jeno Konrad, allenatore ungherese già vincitore di due titoli austriaci. Sulla panchina dei padroni di casa siede invece il connazionale Arpad Weisz, che sta guidando i rossoblù alla conquista del secondo successo consecutivo. La classifica parla chiaro: il Bologna è saldamente in testa, inseguito a tre lunghezze dalla Lazio. La Triestina, dal canto suo, non è venuta per fare da comparsa. Impegnata nella lotta per la salvezza, la squadra alabardata riflette lo spirito combattivo di una città di confine, già scossa dalle tensioni che preannunciano un’epoca difficile. Tuttavia, sul campo non c’è storia. Reguzzoni e Andreolo decidono il match con due reti che fissano il risultato sul 2-0: Bologna è in festa.[1] Secondo Scudetto consecutivo e quarto della storia per la squadra di Renato Dall’Ara. Per Arpad Weisz, invece, questa vittoria è la consacrazione di una squadra considerata tra le migliori degli ultimi anni. Coloro che avevano attribuito al caso il trionfo dell’anno precedente sono costretti a ricredersi. I tifosi esultano, definendo con orgoglio: “È lo squadrone che fa tremare il mondo”.[2] Mai coro fu più azzeccato. Weisz aveva preso in mano un gruppo in crisi d’identità, ereditato dal suo connazionale Lajos Kovacs, che galleggiava a metà classifica. Di fronte c’era l’egemonia schiacciante della Juventus del quinquennio d’oro, capace di vincere cinque Scudetti consecutivi lasciando solo le briciole agli avversari. Arpad Weisz non solo fermò quegli invincibili, ma riuscì a trasmettere al Bologna una mentalità vincente. Aspetto che forse aveva portato con sé dalla precedente esperienza alla guida dell’Ambrosiana (l’attuale Inter), chiamata così perché in epoca fascista denominarsi Internazionale sarebbe stato poco patriottico.[3]
Nato a Solt, in Ungheria, Arpad Weisz è stato un innovatore capace di rivoluzionare il calcio prima di molti altri. Fu uno dei massimi esponenti della cosiddetta scuola danubiana, antesignana del calcio totale. In Italia, si distinse proprio per essere un visionario e un vincente. Introdusse “il sistema”, ossia un modulo ideato dal leggendario allenatore dell’Arsenal, Herbert Chapman. Un’evoluzione radicale dal “kick and rush” (calcio lungo e corsa) al “carpet football”, un gioco più ragionato ed estetico, basato sul possesso palla, con il quale Chapman vinse alla guida dei Gunners.[4] Nonostante in Italia ci fosse ancora una certa resistenza ad abbandonare i vecchi schemi tattici che avevano portato Vittorio Pozzo a vincere un Mondiale sulla panchina della Nazionale, Weisz riuscì a imporsi, dimostrando il valore delle sue idee. Che continuò a difendere fino alla fine o, per meglio dire, fino alle leggi razziali.
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Lo sport fra le due guerre mondiali
Tra le due guerre mondiali, l’Europa assiste a una vera e propria fioritura delle società sportive, spesso ispirate ai modelli elitari dei club universitari inglesi, ma rivolte a un pubblico più ampio, prevalentemente composto dal ceto medio. Questi nuovi spazi associativi non rappresentano solo un luogo per praticare sport, ma diventano anche il simbolo di un cambiamento culturale. La convinzione che l’attività fisica possa educare non solo il corpo ma anche il carattere, promuovendo valori come la disciplina, il coraggio e lo spirito di squadra. È in questo contesto che le masse iniziano a partecipare attivamente al fenomeno sportivo, prima come spettatori e poi sempre più anche come protagonisti.[5] Grandi eventi come il Tour de France, il Giro d’Italia, i campionati mondiali di calcio e competizioni automobilistiche come la leggendaria 1000 Miglia trasformano lo sport in un’esperienza collettiva, capace di radunare folle entusiaste lungo le strade, negli stadi e nelle piazze. Ma lo sport, già di per sé un potente motore sociale, assume anche un significato politico e simbolico, come dimostrarono le Olimpiadi del 1936 a Berlino. Organizzate dalla Germania nazista per celebrare la supremazia ariana, quei Giochi diventarono teatro di un evento epocale. L’atleta afroamericano Jesse Owens conquistò, davanti a Hitler, quattro medaglie d’oro nell’atletica leggera.[6] Il messaggio intrinseco era chiaro: nessuna ideologia razzista può resistere alla forza universale dello sport.
In Italia invece lo sport, con l’avvento del regime fascista, fu utilizzato come strumento propagandistico per consentire al regime di far crescere giovani atleti in salute che avrebbero portato il nome dell’Italia nel mondo. Ben presto, lo stesso Benito Mussolini si fece promotore di un’immagine di sé come uomo sportivo. Un’idea che divenne centrale nella sua costruzione del potere e nell’identità del regime fascista. Poco dopo aver consolidato il suo dominio autoritario, il Duce iniziò infatti a occuparsi direttamente dell’educazione fisica e morale dei giovani italiani, con un particolare focus sull’educazione fisica nelle scuole. In un’epoca in cui la propaganda era uno strumento fondamentale per il controllo sociale, lo sport fu utilizzato come mezzo per formare i giovani secondo i principi fascisti.[7] L’attività sportiva, infatti, veniva presentata non solo come una disciplina fisica, ma anche come una prova del valore del regime, attribuendo grande prestigio agli studenti che ottenevano risultati significativi in ambito sportivo.[8]
Tuttavia, con l’introduzione delle leggi razziali nel 1938, che miravano a escludere gli ebrei dalla vita pubblica, anche lo sport divenne un campo di applicazione di queste normative discriminatorie. Gli atleti ebrei furono esclusi dalle competizioni, privati dei diritti di partecipare a eventi internazionali e persino banditi dalle società sportive.[9] Coloro che non corrispondevano a tale idealizzazione vennero marginalizzati.
Dal campo da calcio a quello di sterminio
La famiglia Weisz, seppur di origini ungheresi, si era ben radicata all’interno della città di Bologna. Vivevano in centro, sotto i porticati più famosi d’Italia insieme ai loro figli.[10] Arpad su un campo da calcio trascorreva i momenti più gioiosi e gloriosi della sua vita professionale. Rivoluzionava il football in Serie A come nessuno aveva fatto prima. Ma un bel giorno la sua esistenza cambiò, come quella di tutti gli ebrei. In Italia vennero promulgate le leggi razziali che per lui furono sinonimo di addio alla sua amata Bologna. Arpad fugge, recandosi prima a Parigi e poi a Dordrecht in Olanda. Città nella quale allenò per l’ultima volta. Perché per Arpad anche la fuga per la sopravvivenza significa una cosa: allenare. Nella patria del futuro “calcio totale” Weisz consegue ancora grandi traguardi. Salva il club dalla retrocessione al suo primo anno ed ottiene due quinti posti nelle stagioni successive.
Dal 1942 però la situazione politica precipita, non solo per lui. L’ex idolo della città di Bologna, eretico del calcio, deve fare i conti con un avversario che non può battere: la Germania nazista. Hitler conquista i Paesi Bassi e gli ebrei vengono catturati e deportati. Per Weisz è l’inizio della fine. Il club olandese lo esonera per questioni razziali e il 2 agosto viene arrestato dalla Gestapo.[11] I tedeschi portano via lui e la sua famiglia a Kamp Westerbork, laddove il loro destino divenne segnato. Westerbork non era di per sé un campo di sterminio o un campo di morte, bensì il suo scopo era quello di raccogliere la popolazione ebraica dei Paesi Bassi e inviarla nei luoghi di sterminio dell’Est.[12] Nel giro di poco Weisz fu separato dalla sua famiglia e condotto in un campo di sterminio nella Slesia polacca.[13] Sua moglie e i suoi figli, invece, ad Auschwitz, dove resteranno per 3 giorni prima di essere uccisi.[14] Arpad riuscirà a sopravvivere per 15 mesi, grazie alla suo fisico sportivo che nei campi tornava utile per non finire subito in una camera a gas. Sul campo, quello da calcio, in pochi lo avevano saputo battere. In quello di concentramento, invece, solo la sua tenacia lo aiutò a resistere. Weisz sapeva che l’arbitro stava per fischiare la fine del suo ultimo match, quello valevole per la vita. Dopo un primo tempo stoico, anche uno come lui dovette capitolare. Triplice fischio e sipario che cala. Weisz morirà il 31 gennaio del 1944. Lo farà con dignità e a testa alta, quella che ha sempre tenuto sia nelle vittorie che nelle sconfitte alla guida dei club della sua vita: l’Inter e il Bologna. E se oggi raccontiamo la sua storia è soprattutto per questo.
Le commemorazioni nel mondo del calcio
Per tanti anni la storia di Arpad Weisz è rimasta sepolta tra quelle innumerevoli dei tanti ebrei che persero la vita durante la seconda guerra mondiale. Tuttavia il ricordo indelebile di una figura così leggendaria meritava un epilogo diverso. Solo nel 2018 la curva del Bologna è stata intitolata a lui con una targa commemorativa.[15] Poche righe ma essenziali e doverose nei confronti di un allenatore che ha scritto la storia in un’epoca in cui la storia, quella politica, metteva nero su bianco le pagine più nefaste di sempre. Oggi come ieri il volto di Weisz torna ad essere conosciuto nel mondo. All’esterno di Stamford Bridge (la casa del Chelsea) un grande murales giganteggia fuori dallo stadio, mentre a Budapest, nel suo paese d’origine, si trova una statua in suo onore. Lì dove tutto è cominciato. Proprio lì dove, pochi anni dopo, la Grande Ungheria, nel segno di una leggenda come Ferenc Puskas, riprenderà le idee calcistiche di Arpad Weisz: il visionario che trasformò il calcio in arte.
Note
[1] Bologna FC, 78 anni fa il quarto scudetto: Bologna-Triestina 2-0, maggio 2015. https://www.bolognafc.it/78-anni-fa-il-quarto-scudetto-bologna-triestina-2-0/
[2] Serie A 1936/37: Bologna, Storie di calcio, maggio 2023, https://storiedicalcio.altervista.org/blog/serie-a-1936-37-bologna.html?doing_wp_cron=1737279829.1656770706176757812500
[3] Fiorenzo Radogna, Inter, la storia: dalla scissione dal Milan al Triplete, tutto il nerazzurro decennio per decennio, Corriere della Sera, 2023.
[4] La scuola danubiana: dove nacque il calcio odierno, Glieroidelcalcio.com, https://www.glieroidelcalcio.com/la-scuola-danubiana-dove-nacque-il-calcio-odierno-parte-1/
[5] Alberto Molinari, Sport e razzismo. Il fascismo e la “razza sportiva”, Novecento.org, https://www.novecento.org/la-storia-dello-sport/sport-e-razzismo-il-fascismo-e-la-razza-sportiva-7027/
[6] Fulvio Corazza, Jesse Owens, l’atleta olimpico che ha umiliato il nazismo, OpinioJuris, 2021, https://www.opiniojuris.it/sport/jesse-owens-latleta-olimpico-che-ha-umiliato-il-nazismo/
[7] Alberto Molinari, Sport e razzismo. Il fascismo e la “razza sportiva”, cit.
[8] Ibidem.
[9] Storie: “1938, lo sport italiano contro gli ebrei”, SkySport, 2018, https://sport.sky.it/calcio/approfondimenti/giorno-della-memoria-documentario-sky-sport [10] Matteo Marani, Giorno della Memoria: Arpad Weisz, la tragedia di un’intera famiglia, SkySport, 2024, https://sport.sky.it/calcio/2024/01/27/giorno-della-memoria-arpad-weisz
[11] Arpad Weisz revisited by David Roberts, robertspublications, https://www.robertspublications.com/blog/arpad-weisz-revisited-by-david-roberts
[12] Ibidem.
[13] Ibidem.
[14] Ibidem.
[15] Dagli scudetti con il Bologna ad Auschwitz: 79 anni senza Arpad Weisz, BolognaToday, 2023, https://www.bolognatoday.it/sport/calcio/arpad-weisz-anniversario-morte-dall-ara.html
Foto copertina: An aerial view of the first World Cup final, in Uruguay, 1930. REUTERS.
KeyWords: Arpad Weisz