Atto finale?


La Presidenza Trump giunge infine al dossier Ucraina e i risvolti a cui conduce non sembrano essere favorevoli a Kiev.


Un paio di telefonate…

Nei giorni scorsi, è stata proprio la notizia di una telefonata, un colloquio che dir si voglia, durato circa un’ora tra il Presidente Trump e il Presidente Putin a destare grande scalpore. Non era certo una novità o un fatto inatteso l’interesse del neoeletto Presidente statunitense per una risoluzione quanto più rapida possibile del conflitto oramai in atto da quasi tre anni. Del resto, Trump non ha mai mascherato la sua disapprovazione per la gestione del conflitto da parte della precedente amministrazione e anzi sembra avere ben chiara quella che sarà la “sfida” che intende affrontare nei suoi anni di mandato, ovvero la questione cinese e non solo nell’Indo-Pacifico. La telefonata di Trump a Putin, dunque, arriva in un clima particolarmente teso, per molti degli attori direttamente o indirettamente coinvolti nel conflitto in corso. Il silenzio stampa che ha fatto seguito a questo primo contatto diretto, da oramai anni, tra le due Nazioni non poteva che essere esplicativo di un esito “proficuo” del dialogo. Del resto, le affermazioni dello stesso portavoce del Cremlino, Peskov, che non si è sbilanciato né nel confermare né nello smentire questo contatto potevano essere lette come ennesima riprova di qualcosa che da un punto di vista politico si stava smuovendo. Allo stesso modo, Trump ha avuto un colloquio telefonico anche con il presidente ucraino Zelens’kyj. Fu proprio Trump ad affermare che a seguito dei colloqui entrambi i leader erano intenzionati a raggiungere la pace.

Il vertice di Riyadh

Dopo questo, si passi il termine, “giro di telefonate”, l’amministrazione Trump, in tandem direttamente con il Cremlino è passata all’azione. A Kiev è stato proposto un accordo sullo sfruttamento del 50% delle risorse minerarie del paese in cambio di garanzie future di sicurezza; non è stato specificato se in tutti quelli che dovrebbero essere i confini riconosciuti internazionalmente o in ciò che resta a seguito delle conquiste russe. In data 18 febbraio, dopo diverse conferme e smentite di un imminente vertice bilaterale tra Usa e Federazione Russa il ministro degli esteri di quest’ultima, Lavrov, e il Segretario di stato USA Rubio si sono incontrati sotto l’egida dell’Arabia Saudita. Arabia Saudita che negli ultimi anni si è ritagliata un ruolo via via sempre più centrale quale mediatore diplomatico e potenza politico-economica mediorientale. Un alleato degli Usa in Medio Oriente, soprattutto in chiave anti-iraniana, che però non ha mai chiuso le porte al Cremlino durante questi tre anni di guerra, arrivando anche ad accogliere Putin in grande stile diversi mesi fa. Il vertice non è stato particolarmente lungo, ma ha innegabilmente avuto diversi effetti orizzontali sul panorama politico globale, tali da essere considerabile un “terremoto” politico.

Leggi anche:

Esclusioni d’eccellenza

La sorpresa e lo scalpore per il vertice di Riyad hanno lasciato ben presto spazio a non poche critiche e “contromisure”. Il tavolo bilaterale tra Stati Uniti e Russia ha lasciato fuori da questi primi passi diplomatici proprio Kiev, martoriata protagonista di questa guerra e l’Unione Europea (per estensione anche “gli stati europei”), che ha fornito proprio a Kiev supporto sin dai primi giorni di guerra. Il presidente Zelens’kyj, amareggiato per essere stato escluso da questo primo step diplomatico, ha asserito che l’Ucraina non accetterà alcuna risoluzione che non sia concordata direttamente con Kiev, contestualmente all’aver rifiutato la proposta USA atta a fornire garanzie in cambio di importanti concessioni sui giacimenti minerari ucraini[1]. I leader europei, dal canto loro, in un summit d’”emergenza” hanno ribadito il proprio supporto a Kiev auspicando, tra l’altro una pace giusta, unitamente ad un nuovo pacchetto di sanzioni per la Federazione Russa. Questo incontro però ha rimarcato ulteriormente quelle che sono le spaccature interne all’Unione Europea e che con il passare del tempo diventano sempre più un impedimento al funzionamento e all’opera decisionale della stessa.

Atto finale?

È molto difficile individuare quelle che sono le possibilità a cui i recenti sviluppi possono condurre. Il Cremlino arride alla decisione dell’amministrazione Trump di avere un dialogo diretto prima che con chiunque altro, forse leggendo questa scelta come un riconoscimento del tanto agognato status di grande potenza, come se il passato sovietico non fosse mai davvero passato. Inoltre, sul campo, continuano le, seppur modeste, avanzate delle forze di Mosca contro un sempre più stremato esercito ucraino e i missili e i droni continuano a piovere su Odessa. Trump si lascia trasportare nelle più disparate e discutibili affermazioni sulla guerra, arrivando sino ad affermare che quest’ultima è stata iniziata dall’Ucraina stessa e definendo Zelens’kyj un comico mediocre nonché un dittatore (rimarcando duramente in questo modo il fatto che a causa della legge marziale l’Ucraina non è andata al voto per le proprie presidenziali). L’Europa, come detto, divisa e in crisi silente con sé stessa incespica tra i propri tavoli di discussione, ritrovandosi in una situazione ingessata e paradossale, ben rappresentata dalle parole di Mario Draghi[2]. Zelens’kyj e l’Ucraina tutta, ad un passo dalla tanto attesa risoluzione del conflitto si ritrovano più soli che mai, abbandonati, se così si può dire, nell’ora più buia. L’atto finale si avvicina? È presto per dirlo, soprattutto in uno scacchiere internazionale quanto mai caotico. Uno scacchiere di estremi, di scelte che oscillano tra l’irrazionalità e la logica più estrema.


Note  

[1] Attualmente l’accordo sembra essere in fase di rinegoziazione.
[2] https://www.youtube.com/watch?v=kK29xFcG1X0


Foto copertina: Zelens’kyj