A quasi due anni dal suo inizio, la guerra in Ucraina prosegue senza sosta. Quali sono le sensazioni che si provano sul campo di battaglia? ne abbiamo parlato con “Guido” (nome di fantasia) che è tornato in Ucraina per combattere per il suo paese.
Introduzione
Sono giovani, molti di loro lontani dai loro paesi di origine, e hanno scelto di mettere in pausa la propria vita per rispondere ad un richiamo, che molti in Occidente sembrano non capire. Tra le trincee fangose dell’Ucraina, dove l’inverno morde e il fragore delle esplosioni e dei proiettili è una costante, si intrecciano storie di uomini e donne che hanno deciso di imbracciare le in difesa di Kiev. Per molti di loro questo paese non è nemmeno il loro.
Ma cosa spinge un ragazzo a lasciare tutto e partire per una guerra lontana, rischiando per la propria vita? Mentre molti coetanei festeggiano gli usuali traguardi di una vita normale, come laurea e famiglia?
È forse idealismo o una fuga da qualcosa? Viviamo in un mondo in cui la storia, che sembra risorta con la sua prepotenza, si intreccia con le vita di persone comuni facendo pagare loro spesso il prezzo più alto. Proveremo a rispondere a queste domande, andando oltre i titoli ridondanti dei giorni, parlando direttamente con chi la guerra la vive e l’ha vissuta in prima linea. Si cercherà di offrire uno sguardo crudo e personale sulla realtà del conflitto che spesso ci appare distante, un conflitto composto di scelte, sacrifici e contraddizioni.
Ti ringrazio per averci concesso questa intervista. Puoi iniziare raccontandomi un po’ di te.
Grazie a te. Sono un ragazzo italiano, che ha servito per breve tempo nelle nostre forze armate. Mi sono congedato nel 2023, a guerra oramai inoltrata, con l’intenzione di arruolarmi nell’esercito ucraino.
Cosa ti ha spinto a prendere la decisione di combattere in Ucraina?
Le decisioni che mi hanno spinto ad arruolarmi? Devo dire che sono molteplici. In primis io mi definisco, senza problemi o vergogne, un nazionalista. Proprio per queste mie idee condividevo la causa del popolo ucraino, nel voler difendere la propria lingua, la propria storia e tradizioni dall’invasore russo. Poi non mi sono sentito pienamente appagato dalla vita militare in Italia. Volevo testare le mie capacità di soldato in modo reale e dunque sul campo di battaglia. Ho preso così la decisione di partire alla volta dell’Ucraina.
Come descriveresti il tuo rapporto con gli altri combattenti internazionali e con la popolazione locale?
Il rapporto con gli altri combattenti stranieri e la popolazione locale è stato alterno. Mi spiego meglio. Ho stretto con molti di loro un rapporto di fratellanza, mentre con altri o li evitavo o ci ho avuto molto a che fare. Per quanto riguarda la popolazione locale, si sentiva che da molti era apprezzata la presenza di noi stranieri. Ma non è mancata, altre volte, l’ostilità nei nostri confronti.
Qual è il tuo pensiero sul ruolo che l’Occidente e l’Europa stanno giocando nel conflitto?
Credo che l’Occidente e l’Europa in generale stiano facendo poco o nulla in termini di aiuti. Sono convinto anzi che stiano cercando di dimenticarsi di questo conflitto e seppellirlo sotto il tappeto. In Occidente siamo stati, per troppo tempo, abituati a pensare che la guerra fosse un qualcosa di lontano, una realtà dimenticata. E adesso, nonostante gli eventi attuali, l’Occidente continua a vivere nella sua bolla di pace e menefreghismo. Voglio aggiungere che noi occidentali siamo stati per troppo tempo dei codardi nei confronti dei russi. Genuflessi a loro. Guardiamo tutti i conflitti causati dalla Federazione Russa dalla sua nascita fino ad oggi. Soltanto nel 2022 l’Europa ha aperto gli occhi e ha iniziato a contrastare seriamente la Russia.
Qual è stato il momento più difficile o significativo che hai vissuto durante la guerra?
Di momenti difficili ce ne sono stati parecchi. Ma quello che mi ha lasciato veramente a pezzi è stato quando più volte, durante uno scontro, non siamo riusciti a recuperare il corpo di uno dei nostri fratelli caduto. Questo è un problema che affligge entrambe le parti. Infatti spesso per recuperare un corpo bisognerebbe assaltare una posizione nemica.
Hai deciso di mantenere l’anonimato in questa intervista, cosa che rispetto. Posso rivolgermi a te con un nom de guerre?
Assolutamente. Visto il mio status è imperativo che il mio anonimato venga mantenuto. Sul campo di battaglia ho usato il nominativo “Guido”.
Come descriveresti le condizioni sul campo, sia dal punto di vista materiale che psicologico?
Le condizioni sul campo variano tantissimo, in primis dipende sotto quale unità si viene smistati. Se vai verso un’unità stile “suicide squad” molte delle volte, in termine di equipaggiamento, hai poco o niente. Mentre se vai in delle buone unità allora, sia dal punto di vista materiale sia dal punto di vista delle missioni che si svolgono, hai molte più possibilità di restare vivo e non fare missioni tipo “storm z”.
In merito a questo ciò che più mi ha colpito è che questo conflitto sembri una fotocopia sputata del primo conflitto mondiale, ma con più merda tecnologica, che cerca di ucciderti costantemente e ad ogni angolo. Certe zone del fronte il terreno è letteralmente ricoperto di cadaveri. È per questo che molte volte entrambe le parti non si sprecano più di tanto per cercare di recuperare i propri caduti.
Dal punto di vista psicologico, direi che varia di persona a persona. Ci sono alcuni che magari, facendo la loro prima missione, non reggono la botta e come tornano alla base, chiedono di rompere il contratto. Mentre ci sono altri che gli può esplodere un compagno davanti agli occhi e comunque vuole continuare a combattere.
Io, personalmente, ho capito di aver raggiunto il mio livello di saturazione durante la mia ultima missione. Eravamo io e la mia unità nel villaggio di Makiivka, nel Luhan’sk. E nonostante fossimo in un seminterrato, con una buona copertura, ho avuto un brutto attacco di panico per colpa dei droni e dell’artiglieria. L’ho avuto nonostante fossi stato in missioni e situazioni molto più stressanti e pericolose.
Cosa hai imparato su te stesso in un contesto così estremo?
Quello che ho imparato su di me, combattendo e in un contesto così estremo è che, nonostante tutto il casino che c’è intorno a te quando si combatte, riesco a rimanere molto lucido e tranquillo. Non che io mi trovi a mio agio in quell’ambiente. Una cosa divertente, ma non divertente da sociopatico, è che prima della mia prima missione quello che più mi faceva paura era l’artiglieria e l’IDF (indirect fire). Mentre ho capito molto presto che la cosa più spaventosa e letale sono i droni.
Come vivi il fatto di trovarsi in una situazione in cui si è costretti a uccidere?
Il fatto di dover uccidere, quando si è in missione, almeno per me, è un qualcosa che passa in secondo piano, mi capisci. Ci sono tre obbiettivi, che bisogna cercare sempre di raggiungere durante una missione, sempre. In primis il completamente stesso della missione. In secondo luogo la salvaguardia dei tuoi fratelli e ultimo la propria. C’è gente, troppa gente che pensa che li sia come Call of Duty nella vita reale. E che pensa solo ad uccidere. Per esperienza personale ti dico che quelli così, la maggior parte delle volte, sono quelli che non reggono la botta. Chiedono di andarsene subito dopo la prima missione. Detto questo quando si elimina uno o più nemici c’è anche un senso di soddisfazione. Sai di aver fatto il tuo dovere e che quello che hai ammazzato poteva uccidere un tuo fratello o te.
Hai avuto modo di conoscere il “nemico” da vicino. Cosa hai provato? Onestamente…verso i russi non provo niente, a parte il fatto che sono miei nemici e quindi come io cerco di eliminare loro così anche loro cercano di eliminare me. Poi, a parte i combattente russi veramente motivati ed addestrati, e sono pochi, come spetsnaz, vdv, marines e wagner, il resto dell’esercito russo, almeno per quello che ho visto io, o almeno la loro fanteria è un’accozzaglia di ex prigionieri, feccia e altra gentaglia drogata e disperata mandata la macello in folli assalti suicidi. Quello che so è che in questo momento, anche sentendo i prigionieri, in Russia, visto che l’encomia va a rotoli, questo è l’unico modo per guadagnare dei soldi. Arruolarsi. Quindi lo fanno in molti, solo per uno stipendio, per poi ritrovarsi ad essere carne da cannone.
Ritieni che la tua partecipazione al conflitto sia legata più a ideali politici, senso di giustizia o ad altre motivazioni personali? Ci sono momenti in cui metti in dubbio la tua scelta o ti chiedi se tutto questo ne valga la pena?
Ti dico onestamente, la prima volta che sono stato lì in Ucraina ero convinto di quello che facevo. Di essere dalla parte giusta della storia. Ma dopo essere stato li per un po’ e aver fatto e visto determinate cose ti dico che più che una guerra quello che sta accadendo laggiù è uno sterminio. Uno sterminio per entrambe le parti. I russi riescono ad avanzare ma a perdite umane e di mezzi ed equipaggiamenti spaventose. Gli ucraini hanno la mentalità del “dobbiamo difendere ogni centimetro di terra ucraina”, che per quanto io rispetti come decisione e la trovi onorevole, a volte mi ha fatto chiedere se ne vale davvero la pena. Se ne vale davvero la pena di mandare i propri uomini, la propria gioventù a morire per tenere una posizione che il più delle volte è letteralmente un buco nella terra. Al posto di usare quegli uomini per difendere postazioni più vantaggiose.
Che visione hai del futuro dell’Ucraina e del conflitto?
Penso che la guerra in Ucraina finirà in due modi. O come la Prima Guerra Mondiale, finirà al tavolo delle trattative e purtroppo l’Ucraina dovrà cedere dei territori. Oppure ci sarà il diretto coinvolgimento degli eserciti della NATO nel conflitto. Penso che, in ogni caso, alla fine della guerra all’Ucraina sarà concesso di entrare nella EU. Ma non nella NATO. Ci saranno comunque degli accordi di sicurezza, in modo tale che se anche l’Ucraina non sarà ufficialmente nella NATO sarà come se ne facesse parte. Così se alla Russia venisse di nuovo in mente di invadere Kiev si potrebbe attivare una sorta di articolo 5, così che gli eserciti della NATO vengano in aiuto dell’Ucraina.
Cosa pensi che la tua esperienza lascerà in te una volta finita la guerra?
Ti dico, nonostante tutta la merda che mi sono mangiato laggiù ho avuto anche tante esperienze positive. Una cosa di cui sarò sempre fiero è che ho preso parte attiva ad un periodo che rimarrà parte indelebile nella storia, dalla parte giusta.
Hai un messaggio per chi, da fuori, guarda questo conflitto attraverso i media? Purtroppo questo conflitto, per chi lo vive attraverso i media, è letteralmente invaso ed inquinato da fake news. Da entrambe le parti, non solo quella russa. La verità viene sempre distorta e piegata ad una certa narrativa, per i propri fini politici. Non esiste nessuno, media o giornalisti, che abbiano un’opzione neutra e asettica del conflitto, ci sono i tifosi, ognuno parteggia per una fazione o per l’altra.
Cosa pensi di Zelens’kyj?
Zelens’kyj, onestamente, non mi fa né caldo né freddo. Sono molto diffidente verso i politici in generale, che siano essi di sinistra, centro o destra. Ti posso dire che da capo di stato, negli ultimi anni, ha fatto delle grandissime cagate. Ma questa è una mia personale opinione.
E di Syrs’kyj, l’attuale comandante in capo delle forze armate ucraine?
Molti soldati ucraini lo definiscono un macellaio. Forse non a torto. Ed è per questo che Zalužnyj è molto più ben visto dai soldati.
Ti andrebbe di darmi una tua opinione su Euromaidan?
Secondo me è stata una delle rivoluzioni più importanti del nostro secolo. Ha fatto risvegliare la coscienza nazionalista del popolo ucraino e non solo. Questo risveglio è stato giusto, vista la loro storia. Come anche il loro desiderio di distanziarsi da Mosca.
Per concludere voglio chiederti sei ancora in Ucraina o sei ritornato in Italia? Come è stato il tuo ritorno alla vita civile?
Sono ritornato in Italia, da settembre. Il mio ritorno agli abiti civili, beh, devo dire che è stato molto duro, sono due mondi completamente diversi. È stato complicato ma adesso sto meglio, sto rientrando nei binari della vita normale.
Conclusione
Mentre chiudiamo questa conversazione, rimane difficile ignorare il peso delle parole di chi vive ogni giorno sotto il fuoco incrociato di ideali, proiettili e scelte personali. Oltre il rumore della guerra e delle narrazioni ufficiali, emergono le voci di uomini e donne che hanno messo in gioco le proprie vite. Questa intervista non è solo il racconto di un combattente, ma uno specchio che riflette domande universali: cosa siamo disposti a sacrificare per ciò in cui crediamo? E fino a che punto l’umanità può sopportare il peso della guerra? Forse non ci sono risposte definitive, ma una cosa è certa: dietro ogni uniforme c’è una storia, e ognuna merita di essere ascoltata
Foto copertina: intervista combattente ucraino