Una striscia di stati che separa Africa del nord da quella subsahariana, in cui il tasso di povertà estrema, l’instabilità dei governi locali e la violenza dei gruppi jihadisti fanno contrasto con la presenza di risorse che da sempre attirano attori esterni. Questo è il Sahel centrale, un’area che è passata dall’essere soprannominata “Francafrique” a “Cintura dei Golpe” luogo del tramonto dell’influenza dell’Occidente, lasciando spazio a nuovi attori, primi fra tutti la Russia.
Colpi di stato e populismo: le giunte militari
Nel 2020, mentre l’attenzione del mondo era assorbita dalla Pandemia, una nuova ondata di colpi di stato ha scosso la fascia di paesi che si estende dal Sahel al Golfo di Guinea, tanto da farle guadagnare l’epiteto di “cintura dei golpe”. Il primo a cadere è stato il Mali, colpito nel 2020 e poi nuovamente nel 2021, dando il via ad un effetto domino che ha investito anche il Sudan (2021), il Burkina Faso (2022), il Gabon (2023) e il Niger (2022 e 2023). Tra questi, è soprattutto fra i paesi del Sahel centrale che emergono tratti comuni. Da un lato, il passato coloniale francese e la presenza dell’estremismo islamico; dall’altro, la crescente convergenza delle giunte militari di Mali, Burkina Faso e Niger, che sembrano sempre più coordinate nel portare avanti una visione politica condivisa.
Dopo i golpe l’ECOWAS, la Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale, ha sospeso Bamako, Niamey e Ouagadougou dall’organizzazione e, soprattutto in seguito quello in Niger del 2023, ha minacciato un intervento militare. Le giunte militari guidate dai generali Tchaini (Niger), Goita (Mali) e Traoré (Burkina Faso) non hanno tardato a rispondere con il ritiro dall’organizzazione[1] e con la firma della carta Liptako-Gourma, che ha portato alla nascita dell’Alleanza degli stati del Sahel.
Lo scopo dell’organizzazione regionale è, non solo quello di collaborare militarmente per combattere l’estremismo islamico e garantire sicurezza, ma anche quello di proiettarsi come alternativa all’ECOWAS, troppo vicino all’Occidente. Saldare quest’alleanza interna è stato solo il primo passo: l’obiettivo delle giunte non è quello di favorire una transizione democratica ma quello di mantenere il controllo e, poter contare sul supporto di players esterni come Mosca, è fondamentale. Facendo un bilancio, tuttavia, le giunte militari stanno fallendo negli obiettivi dichiarati: gli episodi di violenza nei confronti dei civili sono aumentati; in Mali, durante il 2024, ci sono state difficoltà nel garantire l’accesso all’elettricità; sul Niger pesa un default di oltre 519 milioni di dollari. Per ora le promesse sono irrealizzate e populiste e, di tutto questo, beneficia la Jihad saheliana.
La piaga della Jihad saheliana
Si riesce a indebolirla, ma mai a sconfiggerla. Resilienza, adattamento e mimetizzazione sono le hard skill della jihad, soprattutto nel Sahel, tanto da aver fatto fallire sia le ambiziose operazioni francesi (Serval e Barkhane), sia quelle delle Nazioni Unite.
La presenza dei gruppi jihadisti nel Sahel è il risultato di un lungo processo di penetrazione che ha preso avvio a partire dalla fine della guerra civile algerina (1991-2002), momento in cui i jihadisti che rifiutarono l’amnistia del governo algerino si riunirono prima in un nuovo gruppo e poi si affiliarono ad al-Qāʿida: nel 2007 nasce AQIM, al-Qāʿida nel Maghreb islamico. Se alcuni combattenti rimasero in Algeria, altri si spostarono a sud, nel Sahel centrale, che divenne una fondamentale base di reclutamento e, grazie ai matrimoni e alle collaborazioni politiche ed economiche, si saldarono alleanze locali. Dalla crisi maliana del 2012 si ebbe una svolta: i Tuareg e gli arabi maliani, rientrati dalla Libia dopo la caduta di Gheddafi, tornarono in Mali, presero il controllo della parte settentrionale e la Francia rispose con l’Operazione Serval. Questi, tuttavia, vennero solo allontanati dalle città e si rifugiarono nelle zone rurali, perfette per nuovi reclutamenti: in assenza dei servizi basilari dello stato, i gruppi jihadisti si sono presentati come i difensori degli interessi locali e, quindi, molte nuove reclute si arruolano non per convinzione religiosa, ma per necessità[2]. Questo lungo processo ha portato alla situazione attuale, in cui la resilienza dei gruppi jihadisti deve molto anche alla difficoltà di distinguerli dai civili. Mimetizzandosi nel contesto sociale, riescono a portare avanti la loro guerriglia. Ecco che anche le altre operazioni militari (come Barkhane) falliscono, l’Occidente si ritira e i governi locali rimangono soli a fronteggiare l’insoddisfazione generale e la violenza degli estremisti islamici, offrendo così la base per una nuova stagione di golpe militari.
La domanda quindi è: come possono le giunte militari eradicare la jihad? Non c’è una risposta netta, ma di certo necessitano di un supporto esterno, che hanno trovato nella Russia.
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Mosca nel Sahel centrale
Dopo la deposizione di Bazoum in Niger, le piazze di Niamey si sono riempite di folle che esprimevano il loro sostegno a Putin e alla Russia[3], sostegno che va letto in filigrana: il messaggio che si vuole lanciare è che non c’è più spazio per le ingerenze europee e americane, né per le missioni di peacekeeping dell’ONU.
La Russia ha saputo approfittare di questo scenario per rafforzare le relazioni con l’Africa : in epoca sovietica, Mosca aveva sostenuto i movimenti anti coloniali africani in Algeria, Congo, Angola e Mozambico. Tuttavia, con il crollo dell’Unione Sovietica, si è ritirata dal continente, per poi tornare ad interessarsene soprattutto dopo l’annessione della Crimea nel 2014. Da allora, Mosca ha cercato di sfuggire all’isolamento internazionale, necessità amplificata dall’invasione dell’Ucraina.
Gli incontri pubblicizzati come i summit Russia-Africa, a Sochi nel 2019 e a San Pietroburgo nel 2023, sono solo l’aspetto visibile della strategia russa, ma l’attività principale si è svolta grazie ai gruppi paramilitari privati, i veri boots on the ground di Mosca in Africa, in particolare il gruppo Wagner[4], riorganizzato in Africa Corps dopo la sua caduta.
Il passaggio da Wagner ad Africa Corps è abbastanza significativo per Mosca. Quando la guida era affidata a Prigozhin, il legame con il Cremlino rimaneva ambiguo, così come l’operato stesso della Wagner, che godeva di un’ampia autonomia sul campo.
La creazione dell’Africa Corps si può leggere come il tentativo di Mosca di consolidare i vantaggi ottenuti in precedenza, garantendosi al contempo un controllo più diretto sulle operazioni[5]. Durante l’era Wagner, le operazioni russe in Africa erano a basso costo e in effetti, rispetto ad operazioni come Barkhane e MINUSMA, questa strategia non si è rivelata così efficace, né per la Russia né per gli stati africani. In Mali, in particolare, la Wagner ha subito duri colpi, i più clamorosi nel 2024, a Bamako[6] e a Tinzaoutene. Mosca, quindi, sta cercando misure più strutturate e complesse per saldare la sua influenza e, soprattutto dopo aver perso importanti basi strategiche in Siria, come Tartus e Khmeimim, l’Africa ha confermato il proprio status di centro di proiezione di potere. Esempi di questo rinnovato impegno riguardano non solo l’ambito militare, ma anche strumenti di soft power, come gli accordi in materia nucleare con il Mali e la proliferazione delle “Russian houses[7]” nell’Africa subsahariana. Questi centri, destinati alla promozione di corsi di lingua russa, eventi culturali e borse di studio, testimoniano l’intenzione di Mosca di mettere profonde radici.
Scenari
Uno scontro diretto tra ECOWAS e l’Alleanza degli stati del Sahel appare improbabile nel breve periodo: i tre paesi saheliani continuano a dipendere dalle norme economiche e commerciali dell’ECOWAS, mentre i cittadini beneficiano ancora delle libertà di movimento all’interno dell’area regionale. Tuttavia, resta da vedere fino a che punto questa fragile convivenza potrà reggere, soprattutto in caso di un ulteriore consolidamento dell’Alleanza. Un aspetto chiave sarà la gestione dell’influenza russa nella regione. Mosca non è un attore allineato con le cause delle giunte militari, la sua presenza è completamente strategica. Resta da capire se i regimi saheliani saranno in grado di mantenere un equilibrio tra il rafforzamento della propria autonomia e la crescente dipendenza da un attore esterno, il cui impegno è opportunistico e neppure così efficace nella lotta contro l’estremismo islamico.
L’Occidente è diviso tra interessi americani ed europei: Washington è sempre più concentrata sull’Indo-Pacifico e ha ridotto l’impegno in Africa, come dimostrato dal taglio dei fondi USAID e dalla marginalizzazione della regione nelle sue strategie globali. L’Europa, invece, che ha interessi più diretti in Africa, legati alla vicinanza geografica e alla sicurezza, fatica a sviluppare una politica unitaria ed efficace a causa delle divisioni interne e della mancanza di una strategia condivisa.
Per mantenere una presenza nella regione, l’Ue dovrebbe avviare un dialogo con le giunte militari, riconoscendone di fatto la sovranità. Questa scelta, tuttavia, entrerebbe in conflitto con i principi democratici che tradizionalmente guidano la politica estera e rafforzerebbe le giunte; per questo è un’opzione non percorribile.
L’equilibrio, nel breve periodo, è nelle mani delle giunte (e dei loro alleati), il cui piano politico si basa più su una retorica populista che su azioni concrete.
Note
[1] Da Redazione (2025, gennaio). Burkina Faso, Mali and Niger’s withdrawal from ECOWAS is now a reality. Economic Community of West African States (ECOWAS).Burkina Faso, Mali And Niger’s Withdrawal from ECOWAS is now a reality | Economic Community of West African States (ECOWAS)
[2] H. Cherbib. Jihadism in the Sahel: exploiting local disorders, European Institute of the Mediterranean Jihadism in the Sahel: Exploiting Local Disorders : IEMed
[3]Da Redazione ( 2023, 3 agosto). Niger: thousands gather in Niamey in pro-coup rally, Le Monde Niger: Thousands gather in Niamey in pro-coup rally
[4]J. Siegle (2022, 15 settembre). Russia’s Use of Private Military Contractors. Africa Center for Strategic Studies. https://africacenter.org/experts/russia-private-military-contractors/ [5] K.P. Larsen (2025, 9 gennaio). The rise and fall of the Wagner Group. Danish Institute for International studieshttps://www.diis.dk/en/research/the-rise-and-fall-of-the-wagner-group
[6] Da Redazione (2024, 24 settembre). Militant Islamist Groups Advancing in Mali. Africa Center for Strategic Studies https://africacenter.org/spotlight/militant-islamist-groups-advancing-mali/
[7] Da Redazione (2024, settembre 17). How Moscow uses “Russian Houses” for propaganda in Africa. Center for Countering Disinformation https://cpd.gov.ua/en/international-threats-en/how-moscow-uses-russian-houses-for-propaganda-in-africa/
Foto copertina: Il generale nigerino Abdourahamane Tchiani (al centro) accoglie a Niamey i suoi omologhi maliano, colonnello Assimi Goïta (a sinistra), e burkinabé, capitano Ibrahim Traoré (a destra). I tre leader si incontrano per la prima volta nel 2023 per consolidare la propria alleanza.