Giustizia riparativa e conflitti armati: un nuovo modo per ripristinare la riconciliazione tra i paesi?


Intervista a Elina Khachatryan e Adelina Tërshani dal progetto Rondine “Cittadella della Pace”.


Introduzione

Lo scorso maggio ho partecipato come mediatore esperto in programmi di giustizia riparativa alla 12° conferenza del Forum europeo sulla giustizia riparativa a Tallinn. Molti sono stati i temi legati alla Giustizia Riparativa, ed è stata una settimana molto ricca di spunti. Uno degli argomenti trattati era l’importanza della Giustizia Riparativa nei conflitti armati, un tema controverso che ha attirato la mia attenzione. Nello specifico, è stato condotto un panel da giovani provenienti da diversi progetti di giustizia riparativa volti a costruire un nuovo approccio ai conflitti armati, e due di loro erano Elina Khachatryan e Adelina Tërshani studentesse del progetto World House a Rondine “Cittadella della Pace”. Innanzitutto, “Rondine Cittadella della Pace” è un’organizzazione impegnata nella riduzione dei conflitti armati nel mondo e nella diffusione della sua metodologia per la trasformazione creativa dei conflitti in ogni contesto. L’obiettivo è contribuire a un mondo libero da conflitti armati, in cui ogni persona abbia gli strumenti per gestire  i conflitti in modo funzionale. Rondine nasce in un borgo medievale toscano a pochi chilometri da Arezzo, in Italia: è qui che si strutturano i principali progetti di istruzione e formazione di Rondine. Il progetto che dà origine e ispirazione è l’International Student House – World House, che accoglie giovani provenienti da paesi che vivono conflitti armati o situazioni di post-conflitto e li aiuta a scoprire la persona nel loro nemico, attraverso il difficile e sorprendente lavoro di convivenza quotidiana.

Rondine World House: una concezione di Giustizia Riparativa. Di cosa si tratta?

Elina Khachatryan[1] :  Rondine[2] è un’organizzazione che riunisce “giovani nemici”. I giovani iniziano il programma dai 21 ai 26, 27 anni, ma a volte ci sono delle eccezioni.
I giovani che vogliono aderire al progetto di Rondine arrivano da paesi in conflitto o post-conflitto in coppia, ovvero con l’Altro, un giovane proveniente da un paese che è in conflitto o post conflitto con l’altra nazione . In effetti l’idea principale di Rondine è questa “Non posso venire qui da solo”, ecco perché ho bisogno di avere “il mio nemico” qui, perché l’obiettivo generale di Rondine è un approccio relazionale/riparativo al conflitto. Inoltre, Rondine ritiene che la risoluzione dei conflitti inizi fondamentalmente con la comunicazione che stiamo costruendo qui imparando a convivere, studiando insieme e vedendo “Il cosiddetto nemico”. Per esempio come attività gestiamo e ci ritroviamo assieme in quella che è chiamata “Locanda”. Questo è il posto dove mangiamo, è la nostra cucina e lì incontriamo ogni giorno il “nostro nemico” ovvero una persona che proviene da un paese in conflitto con il nostro. Ad esempio, io e un ragazzo azerbaigiano possiamo essere messi insieme nel turno di lavoro, quindi dobbiamo comunicare; infatti anche se scegliessi di non parlare con il mio nemico, c’è un momento in cui dobbiamo confrontarci e dialogare, per gestire un lavoro.

In merito, significativa è la storia della lavanderia, infatti, i primi studenti qui a Rondine provenivano dalla Russia e dalla Cecenia, perché tra questi paesi c’era la guerra[3] e Franco Vaccari, il nostro fondatore, era stato chiamato a portare alcuni studenti a studiare in Italia poiché la loro università era stata distrutta; così  si è creata la riflessione attorno all’idea di accoglienza anche dell’ “Altro”: se accolgo studenti dalla Cecenia, accetterò anche studenti dalla Russia. Il problema era loro, in quel momento, non erano pronti a condividere insieme la vita quotidiana, come dimostra il fatto che non volevano lavare i loro indumenti intimi nella stessa lavatrice. E se non potete nemmeno lavare i vostri vestiti insieme, come potrete vivere insieme come vicini di casa?

Questa considerazione è davvero significativa, perché a Rondine viviamo insieme tutto il giorno, infatti nella nostra quotidianità facciamo lezione, ad esempio corsi di italiano, e studiamo insieme. Gran parte dei corsi è legata al conflitto stesso, ma discutiamo anche si argomenti come la comunicazione non violenta e la crescita personale. Attraverso questi corsi analizziamo il conflitto armato che ha riguardato il nostro paese e lo presentiamo ai nostri compagni di gruppo, ma ovviamente non è solo questo, proprio nella nostra vita quotidiana  abbiamo la possibilità di sederci con i nostri cosiddetto nemico, discutere il ​​nostro conflitto e condividere le nostre opinioni al riguardo.

Rondine per me è fondamentalmente un’occasione e uno strumento per comunicare,  per tale motivo ho anche detto quanto sia importante la comunicazione quando ci avviciniamo, quando affrontiamo il conflitto, questo è il primo passo da fare. Nella mia situazione, ad esempio: i nostri paesi, il nostro popolo, armeni e azeri non sono in grado semplicemente di incontrarsi e comunicare. Non ho mai incontrato nessuna persona azera prima e Rondine mi dà l’opportunità di incontrare l’altra parte e ascoltare le loro esperienze, le loro narrazioni, comunicare, vedere la persona e provare empatia per l’altro.

Adelina Tërshani[4]:  ho scoperto il progetto di Rondine tramite un amico del Kosovo, che ha seguito questo programma quattro anni fa e mi è sembrato un concetto molto interessante avere qui persone provenienti da tutti i paesi in conflitto e post-conflitto in qualità di  studenti, per fare i nostri master , vivere insieme, avere anche questi corsi di formazione sulla costruzione della pace, sui conflitti e su come può effettivamente funzionare. Ho deciso di venire qui perché non credo che ci sia un altro posto al mondo come Rondine. È davvero unico in particolare il fatto è che tutto ciò che facciamo qui si basa sulle nostre relazioni reciproche. Questo concetto è fondamentale per me, anche più dei corsi di formazione pratici, dei seminari o delle conversazioni sulla pace e sui nostri conflitti, perché è così importante che io e il mio cosiddetto nemico prendiamo un caffè insieme piuttosto che partecipare a uno dei corsi di formazione insieme senza stabilire un rapporto concreto. Questa esperienza è molto significativa ed unica per me, è un’esperienza molto stimolante. Fortunatamente, ci sono molti programmi sulla costruzione della pace e sul fatto di riunirci dalla Serbia e dal Kosovo, quindi ho avuto la possibilità di incontrare persone di lì e ho ottimi amici anche dalla Serbia, da Belgrado, ma essere qui e vivere insieme per due anni , è diverso.

Cosa ti ha lasciato questo progetto e cosa vorresti fare quando tornerai nel tuo Paese?

Elina Khachatryan: Questa è una bella domanda! Perché in realtà, prima di venire qui, pensavo di aver chiaro tutto. Devo dire che avevo bisogno di conoscere meglio questo conflitto perché qui, parlando con Samir – il ragazzo dell’Azerbaigian – ho esplorato molte cose che non avrei mai potuto sapere essendo in Armenia, perché non parliamo mai dell’altra parte. e’ molto difficile cercare notizie, provare a leggere o ad esplorare la situazione dall’altra parte in quanto le informazioni sono molto serrate. In Rondine, ho esplorato molte cose sulla situazione in Azerbaigian, prima di tutto sono venuta a conoscenza che lì c’è l’opposizione, e nonostante il governo adoperi una politica repressiva,l’opposizione continua le loro azioni, il che è qualcosa di grandioso per me. Il tipo di approccio qui, che possiamo definire un approccio di giustizia riparativa, avviene quando le persone che hanno partecipato tornano nel loro paese e cercano di fare qualcosa. In realtà, è un pensiero difficile, soprattutto perché non penso che gli armeni siano ancora pronti a parlare di questo in qualche modo, a un certo livello. A volte penso che tornerò (partiamo da lì) anche se la maggior parte dei miei parenti non capiscono perché sono qui e non apprezzano quello che stiamo facendo qui e anche alcuni dei miei amici non riescono a farlo. Sicuramente approfondirò il tema della giustizia riparativa, anche in futuro, e ovviamente lo scenario perfetto di Rondine è che torniamo nei nostri paesi e facciamo iniziative e progetti nei nostri paesi, anche se non sempre è possibile. In primo luogo perché alcuni progetti possono essere realizzati solo dall’Italia o solo da qualche altra parte, non a casa, a causa della situazione che vi è lì. In secondo luogo, come diciamo sempre, non possiamo cambiare tutta la situazione, non è facile fermare le guerre e portare la pace, ma forse tra noi c’è qualcuno che diventerà il futuro leader di un paese, o avrà una posizione importante, che può influenzare quello che succede nel mondo, che può influenzare il processo decisionale e aver vissuto questa esperienza qui ci fa ricordare sempre dell’altra parte e di vedere le cose anche dalla prospettiva dell’altro, non solo dalla nostra. Se insegniamo la stessa cosa ai nostri figli, possiamo in qualche modo cambiare qualcosa, almeno un po’. Questo è molto importante.

Inoltre, questo tipo di approccio riparativo significa che nel contesto di una guerra – se non pensiamo dal punto di vista istituzionale e vediamo solo le persone – entrambe le parti sono le vittime: in questo caso, vedo me e Samir come vittime, e siamo qui per parlare a proposito. Gli chiedo scusa per tutto ciò che è stato fatto dal mio governo per secoli, e lui si scusa con me per tutto ciò che il suo governo ha fatto al mio Paese per secoli, quindi siamo nella stessa posizione. In questo modo stiamo cercando di ripristinare quel danno, anche se non possiamo farlo fisicamente. Naturalmente non possiamo darci territori a vicenda, né riportare indietro tutte le vite perdute… non siamo noi a decidere il destino della politica.

Arriviamo qui con un background, con storie diverse e difficili. Ma penso che le guerre non abbiano confini e che il mondo intero ne risenta quando inizia una guerra. Abbiamo bisogno di un approccio più aperto e riparatore su come possiamo tornare alle situazioni prima che degenerano, come aprire il cuore delle persone per comprendere l’altro lato della storia. Ora sto cercando di creare un progetto per portare un passo più vicini a quella comunicazione, al dialogo. È un primo passo, perché richiederà molto impegno, molto tempo, molto duro lavoro. Ma vediamo: sono piena di speranza.

Adelina Tershani: Ciò che mi piace di ciò che sta dietro l’intera idea è quando il progetto finisce, è il fatto che diventi parte di questa comunità che chiamiamo “Rondini d’Oro” e puoi rimanere in contatto con altri ex studenti, perché non dobbiamo dimenticare che ci sono persone che non possono tornare nei loro paesi a causa di ciò che è accaduto durante i loro due anni di permanenza qui e a causa di ciò che è accaduto nel loro paese, non tutte le volte che si può realizzare il proprio progetto tornati a casa. Durante la mia esperienza, quando ho conosciuto Rondini d’Oro, perché sono andata a trovare un amico che già seguiva il programma e che vive ancora qui, si stavano effettivamente aiutando a vicenda, trovando modi per vivere in Italia pensando a progetti da realizzare e tutto questo non sarebbe stato possibile se  non si  fossero conosciuti a Rondine. Gli Alumni hanno anche una loro associazione chiamata Rondine International Peace Lab – RIPL, attraverso la quale possiamo realizzare attività insieme e condividere esperienze.

In realtà, questa possibilità è considerata molte volte aver maggior successo e impatto  rispetto a tornare indietro e realizzare necessariamente un unico progetto. Quello che mi piace che facciamo qui è portare le nostre testimonianze in diverse parti d’Italia, diffondendo questa idea che possiamo convivere, possiamo lavorare, anche se abbiamo avuto questo tipo di passato. Il lato positivo è che Rondine ha reso possibile questo: il fatto che potessimo incontrarci qui e vivere insieme, è stato il risultato. Anche se per me è una responsabilità davvero enorme. In realtà, alla fine del programma ho intenzione di tornare a casa per fare una serata di poesia slam. Ho molto da dire alla mia gente per condividere questa idea di Rondine e come funziona realmente perché, a volte, suona molto strano alle persone. Come si può costruire una città di pace con persone che vengono dalle guerre? Voglio spiegare come funziona e come tutto è iniziato, come la storia della lavanderia e della nostra convivenza. Inoltre, non posso esimermi dalla mia causa di attivista femminista, quindi, ovviamente, ho intenzione di continuare il mio lavoro all’interno della società civile, poiché mi sono trovata all’interno della società civile, a cercare di aiutare nuovamente le donne e le ragazze del Kosovo a lottare per i loro diritti fondamentali, come i diritti del lavoro, la non discriminazione nel mercato del lavoro, negli spazi privati ​​e pubblici, per essere ancora più espliciti contro il femminicidio, perché è un fenomeno che sta accadendo non solo in Kosovo, ma purtroppo in tutto il mondo e io trovo preoccupante la mancanza di una risposta seria da parte della giustizia istituzioni, a tal fine ho lanciato l’idea di scrivere un libro e una mostra sulle storie di donne che sono state violentate durante il nostro conflitto da entrambe le parti. Dopo la conferenza di Tallinn, questo buon mix di tutte le persone che ho incontrato, accademici e non, mi apre la porta in termini di ciò che posso fare nell’ambito della giustizia riparativa come campo; So che forse il mio progetto, alla fine, riguarderà la giustizia riparativa ma nel contesto della guerra, sono quasi al termine del mio percorso sto tirando le fila, capendo che tutte le parti, entrambe le parti, sono vittime della storia quando parliamo di guerra.


Note

[1] Elina è laureata in giurisprudenza e promuove il dialogo e la riconciliazione tra la società civile, le organizzazioni e le realtà religiose colpite dal conflitto in Armenia e Azerbaigian. [2]La storia del Progetto Rondine è disponibile sul loro sito: https://rondine.org  
[3] Franco Vaccari è presidente e fondatore di Rondine “Cittadella della Pace”, è nato ad Arezzo nel 1952.
[4] Adelina è un’attivista femminista impegnata e una figura pionieristica della poesia slam in Kosovo. Ha conseguito una laurea in giornalismo presso l’Università Hasan Prishtina.


Foto copertina: Giustizia riparativa