Al Summit di Parigi le delegazioni europee si sono incontrate per discutere di Ucraina e di sicurezza, raggiungendo accordi su alcune questioni, ma reiterando le divisioni interne.
La “Coalizione dei Volenterosi” si è riunita a Parigi per discutere della questione di sicurezza europea e, in particolar modo, dell’evoluzione del conflitto in Ucraina.
Circa 31 delegazioni sono giunte nella capitale francese per poter coordinarsi su numerosi temi, tra cui la revoca delle sanzioni alla Russia, la possibilità di inviare un contingente europeo come forza di peacekeeping in Ucraina e l’invio di ulteriori aiuti a sostegno delle forze ucraine[1].
Il terremoto geopolitico provocato dal ritorno di Donald Trump ha aperto un ampio dibattito nel “Vecchio Continente” sulle capacità di difesa e di autonomia strategica europea, rinvigorendo un oggetto di discussione che ha vita lunga quanto quella dell’idea dell’integrazione europea medesima. Gli equilibri internazionali che si sono concretizzati dopo la Seconda Guerra Mondiale e a seguito della fine della Guerra Fredda avevano portato ad una generale considerazione di Difesa europea accantonata sul piano dell’autonomia continentale, attraverso la delega della sicurezza agli Stati Uniti.
Le cancellerie europee sono in subbuglio, si ritrovano innanzi alla Storia che si pone come un macigno sulle proprie teste, con la consapevolezza che questa possa essere un’opportunità che, qualora non venisse colta, potrebbe causare un brusco rallentamento del processo d’integrazione e dell’equilibrio europeo nella sua interezza. Questa narrazione ha preso possesso di due attori fondamentali, quali la Francia e la Germania[2], entrambe a loro modo orientate verso il riarmo, seppur con strumenti e modalità del tutto differenti.
Il Summit di Parigi, preceduto da simili incontri avvenuti a Londra e nuovamente nella capitale francese, arriva dopo un traballamento notevole, che trova la propria miccia dall’incontro – o scontro – alla Casa Bianca tra il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il Presidente dell’Ucraina Zelens’kyj del 28 febbraio. Il coup de théâtre avvenuto nella Studio Ovale della Casa Bianca ha causato un’insonnia per la gran parte del dibattito europeo, ha provocato fermento nei rispettivi governi e ha rilanciato nell’opinione pubblica un tema che sembrava ormai lontano, un retaggio di un’epoca lasciata alle spalle.
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Il Summit parigino ci ha aperto le porte, per l’ennesima volta, della strutturale spaccatura in politica estera degli Stati europei. Difatti, gli accordi giungono su questioni di principio facilmente rispettabili, ma nell’operatività questi incontrano una difficoltà intrinseca al raggiungimento degli stessi. Se da un lato vi è stata unanimità sul rifiuto ad una rimozione delle sanzioni nei confronti della Federazione Russa, in attesa di un accordo di pace (con quali termini?) che possa consentire la fine del conflitto, dall’altro vi è stata una completa discordia sulla proposta di inviare un “contingente europeo” sulla linea del fronte come forza per il mantenimento della pace[3]. In tal caso, vi sono una serie di considerazioni che devono essere fatte, di tipo storico e di tipo politico.
In primo luogo, il ricorso ad una difesa europea, o perlomeno un profondo dibattito sulla difesa di tipo europeo, esiste sin dagli anni Cinquanta, pertanto dall’alba del processo d’integrazione. Il periodo che seguì la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’assestarsi della Guerra Fredda costituì una sovrapposizione di numerosi fattori, tra di essi incatenati, che spiegano il perché non si giunse alla riuscita del piano della Comunità di Difesa Europea (CDE) o Piano Pleven. Il ricordo del conflitto era ancora vivido nella maggior parte delle persone e si paravano davanti nuove tensioni ancora più minacciose, dettate dalla presenza dell’arma atomica negli arsenali delle due superpotenze vincitrici.
Gli Stati europei occidentali, in questo nuovo continente diviso in due blocchi, non possedevano nessuna capacità militare per poter permettersi una rincorsa dei due nuovi protagonisti della scena internazionale, tantomeno una capacità economica estesa da poter sostenere uno sforzo tanto ampio quanto quello che avrebbe richiesto una simile azione.
La difesa comune venne accantonata e si preferì costruire l’integrazione attraverso una prospettiva maggiormente funzionalista, con dei passaggi progressivi dalla low politics alla high politics. Dagli anni Novanta ad oggi il tema è stato ripreso, ma senza risvolti significativi. Il coordinamento tra i differenti Paesi in materia di approvvigionamento di materiale bellico e di cooperazione militare è stato garantito principalmente dalle strutture NATO, le quali hanno messo a disposizione la propria capacità per favorire un dialogo tra tutte le parti che fosse il più funzionale possibile. Si desume come il concetto di “Difesa europea” sia un qualcosa che ha navigato, seppur a fatica, negli anni a più riprese.
In secondo luogo, ciò che si evince dalla spaccatura sull’invio delle forze di peacekeeping in Ucraina è una divisione netta tra alcuni attori, accentuando alcune contraddizioni. Alla Francia, la Germania e il Regno Unito si oppone l’Italia del governo di Giorgia Meloni, la cui posizione in merito all’invio di un ipotetico contingente comune in Ucraina è da rifiutare e che ciò possa essere preso in considerazione solo se venisse approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
A ciò si aggiunge anche la necessità espressa di coinvolgere la controparte statunitense ai prossimi incontri di coordinamento[4]. Nonostante questo possa costituire un rischio, è bene chiarire come la posizione cerchiobottista dell’Italia favorisce un indebolimento della posizione negoziale dell’Europa e un passo più vicino a quella che è l’intenzione sia del Presidente Trump sia del Presidente russo Putin. Ma procediamo con calma.
Il rifiuto a priori della sola idea di un invio di soldati in Ucraina, con ancora nessuna disposizione certa sulle modalità, sulle tempistiche, sugli effettivi e sulle funzioni di questa ancora fumosa forza, accompagnata alla condizionalità onusiana per una sua attivazione implica una miopia che non dovrebbe presentarsi da parte di un Paese europeo rilevante quale è l’Italia. Difatti, in una situazione di tensione tra l’Occidente e la Federazione Russa – con il supporto, seppur tiepido, della Cina Popolare – la possibilità che una forza di peacekeeping venga approvata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU risulta alquanto irrealistica, in considerazione del fatto che il veto russo sarebbe più che probabile. Inoltre, con una posizione di tale portata, si decide di perseguire una politica che ha poco a che fare con l’europeismo e che ha più a che fare con il concetto di divide et impera sperato da Trump. Non è sicuramente un motivo da cui trarre dello stupore il fatto che la posizione del governo italiano è questa, in ottemperanza alla più volte reiterata dalla Presidente del Consiglio Meloni di perseguire la strada di “un’Europa delle Nazioni”, in piena ottica intergovernativa piuttosto che integrativa.
NATO e la difesa: perseguire le 3D?
No duplicazione, No discrasia strategica, No discriminazione per i Paesi NATO non UE. Le “3D” evidenziano il rapporto che si è evidenziato tra l’Unione Europea e la NATO in materia di difesa, cercando di garantire un equilibrio tra le due organizzazioni in modo tale da non favorire un doppio sforzo da parte degli Stati europei in investimenti per la Difesa e la Sicurezza. I concetti riassumibili nelle “3D” vennero espressi per la prima volta negli anni Novanta da parte della seconda Presidenza Clinton. Si voleva affermare l’importanza di evitare la duplicazione degli sforzi negli investimenti per la difesa, favorire un rapporto di cooperazione tra tutti i Paesi europei (sia quelli appartenenti congiuntamente alla NATO che all’UE, quanto quelli che fossero membri dell’una, ma non dell’altra) e scongiurare il rischio che eventuali autonomie strategiche potessero provocare una divisione tra gli alleati. Pertanto, come si evince dagli sforzi profusi da circa un trentennio, si denota come il dibattito sul concetto del burden sharing (divisione degli oneri) non sia tipico dell’amministrazione Trump, bensì le posture più recenti siano frutto di un atteggiamento che pone la transazione aggressiva al centro rispetto al dialogo e al multilateralismo perpetrato dalle precedenti presidenze statunitensi.
Le strutture centralizzate della NATO, come anticipato, hanno favorito la coordinazione degli sforzi in tal senso, cercando di integrare le differenti industrie della difesa presenti in Europa. Ciò è stato vero in parte, ma, nonostante ciò, non si è mai per davvero garantito uno sviluppo massiccio intraeuropeo (precisamente entro la cornice dell’Unione Europea) della Politica di Sicurezza e di Difesa Comune (PSDC)[5]. Le differenze di vedute tra i singoli Stati provocano delle difficoltà consistenti nell’attuazione della PSDC, nonostante gli strumenti come il Strategic Compass siano orientati proprio in tal senso.
Il piano ReArm Europe[6] proposto dalla Commissione Europea è ancora alle prime battute e sembra costituire un buon punto di partenza verso uno sviluppo più concreto e accelerato in considerazione dei tempi, ma rischia di divenire il frutto della fretta e dell’incertezza. Il piano di investimenti proposto rischia di divenire una reiterazione della strada finora battuta, orientandosi verso una serie di sforzi differenti e non in direzione di uno sforzo comune, la quale sarebbe la strada più auspicabile.
Il Summit di Parigi costituisce uno di una serie di incontri che i Paesi europei hanno intenzione di svolgere per poter favorire il coordinamento sulla questione, ma è vero che la sicurezza e la difesa europee pretendono risposte sì rapide, ma non irrealistiche. La strada comune deve trovare per davvero la sua bussola, senza che le pressioni – sia esterne sia interne – provochino maggiori fratture e crepe innecessarie e illogiche.
Note
[1] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/leuropa-dei-volenterosi-204059
[2] https://www.opiniojuris.it/opinio/summit-di-londra-il-motore-esterno-potrebbe-rafforzare-leuropa/
[3] https://www.lemonde.fr/international/live/2025/03/27/en-direct-guerre-en-ukraine-volodymyr-zelensky-appelle-depuis-paris-les-etats-unis-a-reagir-apres-de-nouvelles-frappes-russes_6584822_3210.html?_staled_=1
[4] https://www.governo.it/it/articolo/riunione-sulla-pace-e-la-sicurezza-dell-ucraina-parigi/28048
[5] https://www.europarl.europa.eu/factsheets/it/sheet/159/politica-di-sicurezza-e-di-difesa-comune
[6] https://commission.europa.eu/topics/defence/future-european-defence_en?prefLang=it
Foto copertina: I leader europei riuniti a Parigi Source: SIPA USA / ANP/Remko de Waal/ANP/Sipa USA/AAP Image