Metalli critici, è tempo di ripensare la strategia dell’UE?   


Nel contesto della doppia transizione, verde e digitale, l’Unione Europea ha avviato una serie di iniziative strategiche per assicurarsi l’accesso a risorse critiche e rafforzare la propria autonomia industriale.
Tuttavia, questi sforzi si inseriscono in un contesto economico e geopolitico complesso, che ha messo in crisi interi comparti produttivi, in particolare quello metallurgico. Le dinamiche del commercio globale, l’aumento dei costi energetici e la competizione internazionale stanno ridefinendo equilibri industriali consolidati, sollevando interrogativi sul futuro della base produttiva europea.


di Federica S. Curcio

Metalli critici: la strategia dell’UE

Nel marzo 2025, la Commissione Europea ha selezionato 47 “progetti strategici” per sviluppare un’intera catena di approvvigionamento europea dei metalli critici: dall’estrazione alla raffinazione, dal riciclo fino alla sostituzione di materiali ad alto impatto. L’obiettivo è duplice: ridurre la dipendenza da fornitori esterni – in particolare dalla Cina – e costruire una base industriale resiliente e sostenibile, in grado di assorbire eventuali shock nella supply chain[1].
Secondo il Joint Research Centre (JRC) dell’UE, una filiera europea integrata e sostenuta da investimenti mirati potrebbe coprire fino al 40% del fabbisogno interno di metalli critici entro il 2030. Tra i materiali al centro della strategia figurano litio, nichel, cobalto e grafite – fondamentali per batterie e tecnologie verdi – insieme a elementi meno noti come gallio, germanio e tungsteno. I progetti avranno accesso prioritario ai finanziamenti pubblici europei e nazionali e potranno beneficiare di iter autorizzativi accelerati, con tempi ridotti fino a 27 mesi per le attività estrattive[2].
Questa strategia si inserisce in uno scenario geopolitico segnato da forte competizione per il controllo delle materie prime. Rafforzare la filiera europea significa non solo garantire continuità nell’approvvigionamento, ma anche sostenere un’industria capace di innovare e restare competitiva nel panorama globale, nonostante crescenti sfide economiche, energetiche e logistiche.

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Tra crisi globale e sfide interne

Mentre l’Europa punta a costruire nuove filiere industriali, comparti produttivi storici affrontano una crisi profonda. La produzione di acciaio è scesa da circa 160 milioni di tonnellate nel 2017 a 126 milioni nel 2023, con un calo del 20% in sei anni. Anche l’alluminio ha subito una significativa riduzione: dal 2021, oltre metà della capacità europea di raffinazione primaria è stata sospesa o dismessa, principalmente a causa dell’impennata dei costi energetici dovuta alla guerra in Ucraina. In Paesi come Germania, Francia, Italia e Slovacchia, molti impianti sono oggi fermi o operano a ritmi ridotti. La produzione europea soffre un netto svantaggio competitivo rispetto a economie con costi energetici più contenuti: secondo Eurofer- la Confederazione europea dell’acciaio, nel 2023 il costo medio dell’elettricità per l’industria europea è stato circa 2,5 volte superiore a quello statunitense[3].
Tale situazione si riflette anche sul piano sociale: tra il 2021 e il 2024, il settore metallurgico europeo ha perso oltre 70.000 posti di lavoro diretti, con effetti a catena sull’indotto. In molte aree industriali, la chiusura o la delocalizzazione degli impianti ha generato precarietà, tensioni sociali e un crescente senso di esclusione dalla transizione verde, percepita da alcune comunità come ostile o comunque una promessa destinata ad altri. A questo si aggiungono le dinamiche commerciali internazionali: ad esempio, le tariffe statunitensi tariffe sulle importazioni di acciaio (+25%) e alluminio (+10%), introdotte nel 2018 e tuttora in vigore, hanno incentivato l’esportazione di rottami metallici dall’Europa verso Nord America e Asia[4]. Qui, il materiale viene rifuso a basso costo e in parte reimportato come prodotto finito. Il risultato è un doppio svantaggio: perdita di materia prima riciclabile e ulteriore pressione sull’industria interna[5].
L’assenza di strumenti efficaci per contenere questo fenomeno – noto come industrial leakage – sta progressivamente erodendo la competitività dell’industria europea. In questo contesto, il rafforzamento delle filiere esistenti diventa strategico non solo per sostenere la transizione ecologica – fondata anche sul riciclo e sulla prossimità produttiva – ma anche per preservare competenze, occupazione e continuità industriale nel lungo periodo.

La transizione industriale: rischi e contraddizioni      

La transizione industriale dell’Unione Europea si sviluppa in un contesto complesso: da un lato, l’ambizione di decarbonizzare, digitalizzare e modernizzare l’economia; dall’altro, la necessità di farlo senza compromettere la coesione sociale, la competitività e la sicurezza degli approvvigionamenti. Le politiche climatiche – come il pacchetto Fit for 55 e il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM) – impongono standard ambientali rigorosi, mentre le imprese europee devono affrontare una concorrenza globale che opera con vincoli meno severi.
Un esempio emblematico è il confronto con la Cina, che domina l’intera filiera delle materie prime critiche. Pechino detiene il 90% della raffinazione globale di gallio e germanio, oltre il 70% dell’estrazione mondiale di grafite naturale e più del 60% delle forniture globali di terre rare. Oltre al dumping industriale e al sostegno statale alle proprie imprese, la Cina ha utilizzato le restrizioni alle esportazioni come leva geopolitica. Sono indicative le restrizioni alle esportazioni di gallio e germanio — elementi cruciali per semiconduttori, LED e pannelli solari — introdotte dalla Cina nel 2023 in risposta alle limitazioni imposte da UE, Stati Uniti e Giappone sull’export di tecnologie avanzate verso Pechino, con l’obiettivo dichiarato di proteggere la sicurezza nazionale e contenere lo sviluppo di capacità militari e di sorveglianza da parte cinese[6].
Per rispondere a queste sfide, l’UE ha adottato il Critical Raw Materials Act (2023), con obiettivi ambiziosi: entro il 2030, almeno il 10% dell’estrazione, il 40% della lavorazione e il 15% del riciclo delle materie critiche dovranno avvenire nell’Unione. Parallelamente, attraverso il Raw Materials Club e il piano Global Gateway, Bruxelles sta cercando di diversificare le forniture e creare partenariati con paesi produttori, dall’Africa all’America Latina. Per essere credibile, una politica indirizzata alla ricerca dell’autonomia strategica deve tradursi in capacità industriale, tempi certi e strumenti comuni. Il rischio, in caso contrario, il rischio è che l’Europa insegua la transizione senza una base produttiva solida e in un quadro di una dipendenza nuova al posto di quella vecchia.

Una bussola europea?

Nonostante la retorica sull’autonomia strategica e gli strumenti messi in campo, l’Europa resta ancora priva di una vera regia industriale strategica. Il recente rapporto della Commissione Europea, An EU Compass to Regain Competitiveness and Secure Sustainable Prosperity, pubblicato a gennaio 2025, riconosce apertamente che l’Unione ha accumulato “importanti gap strategici” in settori chiave come quello dei metalli critici e delle tecnologie a basse emissioni[7]. L’analisi è lucida, ma le risposte restano frammentarie e disallineate rispetto alla velocità con cui agiscono i concorrenti globali. Il documento stesso sottolinea la necessità di strumenti comuni più incisivi, un coordinamento rafforzato tra Stati membri e una maggiore capacità di attrarre investimenti industriali lungo le filiere strategiche. Tuttavia, manca ancora un’agenda operativa condivisa che trasformi questi obiettivi in interventi vincolanti e finanziariamente sostenuti, lasciando l’Europa in ritardo rispetto a economie come Stati Uniti e Cina, che già operano attraverso piani industriali integrati e massicce misure di protezione e incentivi.
Senza un cambio di rotta politico reale – basato su investimenti strutturali, regole comuni e una protezione intelligente del mercato interno – l’UE rischia di rimanere intrappolata tra ambizioni verdi e dipendenze grigie. Una transizione che si affida a materiali raffinati altrove, a filiere esternalizzate e a salari compressi non è solo incompatibile, ma anche insostenibile sul piano democratico. Riconoscere la dimensione sociale e geopolitica dell’industria dei metalli è essenziale per rendere la transizione ecologica un progetto condiviso, e non una frattura in più tra centro e periferia, innovatori e esclusi.


Note

[1] Commissione Europea (2025). Commission selects 47 Strategic Projects to secure and diversify access to raw materials in the EU, Press Release, Bruxelles. https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_25_8640  
[2] European Commission, Joint Research Centre, Muñoz De Bustillo Llorente, R., (2024) A Critical Review of the Digital and Green Twin Transitions. Implications, synergies and trade-offs., European Commission, Seville, JRC140036.
[3] Eurofer, (2024). Annual report 2024. https://www.eurofer.eu/publications/reports-or-studies/annual-report-2024
[4] Eurofer (2024). European steel industry on the brink: the EU must act now or risk losing manufacturing, warns EUROFER, Press Release, Bruxelles. https://www.eurofer.eu/press-releases/european-steel-industry-on-the-brink-the-eu-must-act-now-or-risk-losing-manufacturing-warns-eurofer
[5] European Parliament (2018). US tariffs: EU response and fears of a trade war, European Parliamentary Research Service. https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/ATAG/2018/623554/EPRS_ATA(2018)623554_EN.pdf
[6] Weihuan, Z. (2024). Why China’s critical mineral strategy goes beyond geopolitics, World Economic Forum. https://www.weforum.org/stories/2024/11/china-critical-mineral-strategy-beyond-geopolitics/
[7] Commissione Europea (2025). An EU Compass to regain competitiveness and secure sustainable prosperity, Press Release, Bruxelles.               https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_25_339


Foto copertina: Nuvole scure sopra l’edificio della Banca centrale europea (BCE) prima della riunione di politica monetaria della BCE a Francoforte, in Germania, il 6 giugno 2024. REUTERS/Wolfgang Rattay/File Photo. https://www.reuters.com/business/finance/ecb-warns-about-financial-risk-coming-shadow-banks-2025-04-10/ Metalli critici, è tempo di ripensare la strategia europea?