L’Europa a due velocità, a geometria variabile, il “nocciolo duro” e le dinamiche di flessibilità sono tutti modi con cui si sottintende in prima istanza alle cooperazioni rafforzate ma che alludono a significati e modalità di operamento delle stesse con evidenti differenze. Fondamentale risulta quindi un’analisi di ciascuna accezione per comprendere come le cooperazioni rafforzate siano inquadrabili in dinamiche comunitarie ottimali.
SOMMARIO: §I. Introduzione – §II. Le cooperazioni rafforzate – §III. Il concetto di flessibilità nell’integrazione europea –§IV. Condizioni e limiti di una flessibilità virtuosa: i principi fondamentali dell’Unione- §V. Flessibilità e allargamento – §VI. L’origine e le differenti forme di cooperazione rafforzata – §VII. La disciplina normativa delle cooperazioni rafforzate – §VIII. Le prime tre applicazioni di cooperazioni rafforzate – §IX. Il sistema delle relazioni esterne nelle cooperazioni rafforzate
§I. Introduzione
L’Unione Europea rappresenta il più grande e interessante esperimento politico nell’ambito delle organizzazioni internazionali e del diritto internazionale che sia mai stato compiuto a partire dal secondo dopoguerra. Rappresentando l’Unione un’organizzazione di genere unico nel panorama internazionalistico, esso ha seguito un percorso storico- politico articolato e strutturato su livelli di rapporti inter istituzionali e intergovernativi che costantemente modificano e aggiornano la giurisprudenza in materia.
Per tale motivo, parlare di Unione Europea in senso lato, significa parlare di un corpo politico-giuridico ancora in fase di modifiche, miglioramenti e di limiti insiti ad esso. Significa celebrarne i traguardi raggiunti ma al contempo sottolinearne le problematiche di fondo che potrebbero implementare l’efficacia ed il corretto funzionamento dell’UE.
Ha acquisito rilevanza cruciale il dibattito a riguardo delle cooperazioni rafforzate, da tempo previste all’interno dei Trattati e con una ricca giurisprudenza che ha modificato, implementato e revisionato tale istituto. Nonostante le innumerevoli modifiche, non si può affermare che l’istituto delle cooperazioni rafforzate abbia riscosso adesioni in tutti i Paesi dell’Unione in egual modo, avendo anzi ulteriormente segmentato le posizioni dei singoli Stati su posizioni contrastanti.
Il seguente elaborato vuole porre le basi per una disamina approfondita di tale istituto; attraverso una chiarificazione dello stesso nel merito del dibattito giurisprudenziale e nella dottrina giuridica europea. Tale dottrina risulta particolarmente interessante di analisi, poiché presenta differenti spunti per comprendere come ciascun paese dell’Unione propenda per un’accezione o una definizione di cooperazione rafforzata differente, proprio a voler sottolineare un dibattito in materia ancora da risolvere. In un panorama comunitario aperto a 27 Stati, l’idea di un acquis comunitario di volta in volta accettato nella totalità da tutti gli Stati membri pare un lavoro lento e farraginoso; proprio per questo motivo parlare di cooperazioni rafforzate significa parlare di un principio di integrazione, alla base della logica europea, che sia però differenziata, vada cioè ad operare concretamente solo nei Paesi che desiderino “rafforzare” la cooperazione europea in una determinato settore di competenza concorrente ovvero complementare dell’Unione Europea.
§II. Le cooperazioni rafforzate
L’istituto delle cooperazioni rafforzate ha seguito un iter giurisprudenziale talvolta complesso a cui spesso si è affiancato uno sviluppo della dottrina in materia vasto e ricco di differenziazioni, identificandosi spesso alle visioni politiche dei singoli Stati membri nel periodo storico rispettivamente considerato.
Il periodo che si colloca tra il trattato di Maastricht e quello di Amsterdam è senza alcun dubbio il più fecondo nel merito dell’individuazione di un insieme di formule istituzionali che andassero concretamente a determinare la disciplina delle cooperazioni rafforzate: nel corso del 1994 sono state coniate sia la formula di ispirazione britannica di Europa à la carte o a geometria variabile, sia la teoria del nucleo duro, più marcatamente di impronta tedesca.
Tale ultimo modello sottintende che un gruppo di Stati interessati alla differenziazione rimanga nel tempo sempre uguale, benché esso preveda l’adesione di nuovi Stati, e venga dotato di una certa autonomia di azione rispetto ai restanti Stati membri. Il modello britannico, invece, non pone i suoi principi sull’idea di dar vita ad un’sottosistema all’interno dell’Unione, ma predilige piuttosto il voler rendere più efficaci i meccanismi decisionali in seno all’Unione, evitando la potenziale empasse istituzionale che verrebbe a crearsi qualora venga esercitato il veto di uno o più Stati in seguito alla proposta di intraprendere azioni comuni.
Ulteriore variante dell’Europa a geometria variabile è la versione francese dell’Europa “a cerchi concentrici”, espressione coniata dal primo ministro Balladur nel 1994, attraverso il quale veniva suggerito un distinguo in atto allo status degli Stati membri dell’epoca e quello degli Stati membri futuri. Il cerchio più “largo” avrebbe incluso tutti gli Stati che desideravano aderire all’Unione Europea o avessero stipulato accordi di cooperazione con la stessa, il cerchio intermedio gli Stati che applicavano le politiche comuni e, nel nucleo centrale, gli Stati nei quali venivano applicate le singole cooperazioni rafforzate, pur sempre restando variabili ed aperte a tutti gli Stati membri dell’Unione.
L’ipotesi dei cerchi concentrici fu poi ripresa da Jacques Delors che avvalorava tale ipotesi facendo un distinguo tra quella che sarebbe stata la grande Europa, composta dalla generalità degli Stati membri, e la piccola Europa, prendendo quest’ultima in considerazione soltanto quegli Stati che avessero auspicato cooperazioni ristrette in talune materie, costituendo una “Federazione di Stati-Nazione”. Delors riaffermò in seguito la sua teoria parlando di un’ “avanguardia” di Stati disposti a procedere sulla strada dell’integrazione politica e intesi a concludere un nuovo Trattato che desse vita alla suddetta Federazione. La sua idea di Federazione ha poi preso corpo nel progetto di Trattato denominato “Penelope”, redatto nel 2002 da un gruppo di lavoro composto da funzionari europei presieduto da François Lamoureux su mandato del presidente Prodi1 .
Risulta largamente più approvata in dottrina la teoria del “nucleo duro” o dell’ “avanguardia”, rispetto all’idea di un’Europa a geometria variabile2 , presupponendo la prima un nucleo centrale che resti immutato e intorno al quale graviti la vita politica comunitaria di una serie di Stati, pur sempre membri dell’Unione, che vengano a risultare “satelliti” dei primi. L’idea di Europa a geometria variabile presuppone, invece, una concezione comunitaria eccessivamente relativizzante, che se può rispondere positivamente all’idea di flessibilità, ne determina conseguentemente anche una inevitabile segmentazione a livello di policies statali e di interessi comunitari.
Come già sottolineato, i due modelli di integrazione differenziata (la formula britannica dell’Europa alla carta o a geometria variabile e la formula franco-tedesca del “nucleo duro” o avanguardia) rispondono a due logiche differenti dell’integrazione europea. La prima formula si è attuata all’interno delle disposizioni dei Trattati negli articoli relativi alla cooperazione rafforzata, dal momento che essa consente a coalizioni non omogenee di Stati membri di cooperare più strettamente e di adottare atti legislativi che rispondano ai loro interessi occasionali.
A conti fatti, solo quattro Stati membri (Belgio, Germania, Francia e Portogallo) partecipano a tutte e tre le cooperazioni rafforzate ad oggi autorizzate. Questo porta a pensare che attraverso l’istituto delle cooperazioni rafforzate nei settori di competenza concorrente dell’Unione verrà a registrarsi un’ulteriore riduzione del numero degli Stati che partecipano a tutti gli atti legislativi adottati tramite tale meccanismo. La dottrina tende dunque ad affermane che “le cooperazioni rafforzate non porteranno alla creazione di un gruppo omogeneo di Stati membri desiderosi di procedere sulla via dell’integrazione, ma daranno vita a coalizioni occasionali e non omogenee, in funzione degli atti adottati”3 .
L’Unione economica e monetaria, ab origine nata come un “nucleo duro” omogeneo di Stati membri che concordavano nel dotarsi di una moneta unica nell’attesa che i restanti Stati membri giungessero a soddisfare i criteri economici necessari per entrare a far parte della zona euro, può essere senza dubbio considerata tuttora quale un’Unione permanente di paesi che in primis sottintendono all’obiettivo integrativo proprio dei principi fondamentali stessi dell’Unione, in vista della creazione, dopo l’unione bancaria, di un’unione fiscale, ossia di una vera unione economica che miri quale obiettivo conclusivo ad un’unione politica tout court. Ne consegue che la zona euro costituisce una manifestazione del secondo modello di integrazione differenziata, che presuppone che il gruppo di Stati membri resti lo stesso, avvalorando la tesi del nucleo duro di cui si è appena trattato, pur rimanendo esso sempre aperto all’adesione di altri Paesi, ad eccezione di quei paesi che vogliono mantenere a titolo permanente una deroga che in principio era temporanea (il Regno Unito, la Danimarca e la Svezia, ad oggi).
Nel Progetto di Costituzione dell’Unione europea presentato nel 1994 dalla Commissione istituzionale del Parlamento europeo denominato Progetto Herman, l’articolo 46 stabiliva che “les Etats membres qui le souhaitent peuvent adopter entre eux des dispositions leur permettant d’aller plus loin et plus vite que les autres sur la voie de l’intégration européenne, à la double condition que cette avancée reste toujours ouverte à chacun des Etats membres qui voudraient s’y joindre, et que les dispositions qu’ils prennent restent compatibles avec les objectifs de l’Union et les principes de sa Constitution”.
Indipendentemente da quanto prevedeva il progetto Herman, la differenza essenziale tra il modello di integrazione differenziata rappresentato dall’UEM e quello che si concretizza nell’istituto della cooperazione rafforzata consiste nel fatto che l’UEM è stata concepita dai redattori del Trattato di Maastricht come una tappa obbligata del processo di integrazione, che avrebbe condotto progressivamente alla creazione di un’Unione europea pienamente integrata sul piano economico e politico. L’Unione economica e monetaria avrebbe quindi l’obiettivo principale di costituire quell’avanguardia di Stati ai quali si sarebbe aggiunti in un secondo momento anche i restanti Stati Membri dell’Unione con deroga.
La peculiarità dell’UEM porta a pensare che un meccanismo di integrazione differenziata regolato proprio dalla costituzionalizzazione dell’Eurozona, possa essere più incisivo di istituti quale quello della cooperazione rafforzata, quest’ultimo restando dipendente della logica comunitaria e sorvegliato a livello europeo dalle istituzioni dell’Unione. L’UEM riesce invece a derogare al principio di unità istituzionale essendo essa dotata di una struttura istituzionale propria e distaccata da quella dell’Unione Europea quale la Banca Centrale Europea, che dispone, a partire dal Protocollo 14, di un organo informale denominato Eurogruppo composto solo dai Ministri dell’Economia degli Stati membri facenti parte dell’eurozona4 . Su tali premesse, taluni autori in dottrina, propendendo di gran lunga per la soluzione di un’avanguardia o di un nucleo duro che si faccia garante di quegli obiettivi integrativi dell’Unione e che risponda al criterio di fattibilità, si contrappone ad una visione di Europa a geometria variabile che riesca a consentire unicamente l’adozione di atti legislativi individuali, non riuscendo però a trovare omogeneità a livello comunitario5 .
Il Ponzano ritiene come l’idea della appena menzionata Unione Economica e Monetaria possa costituire di suo l’ipotesi di una cooperazione rafforzata esterna alla disciplina prevista dai Trattati, che venga concretamente “costituzionalizzata” al fine di rafforzare il suo livello integrativo senza pertanto subire potenziali veti di Stati dell’UE non facenti parte della moneta unica. Ponzano vede quindi nella costituzionalizzazione dell’Eurozona la sola via possibile che consenta all’Unione di progredire nel processo integrativo attraverso la “redazione o di un nuovo trattato che rafforzi, tra le altre cose, la governance economica dell’eurozona, o la redazione di un Protocollo che istituisca una “cooperazione rafforzata permanente” tra gli Stati membri che hanno adottato la moneta unica al fine di consentire la creazione tra loro di cooperazioni rafforzate nei settori di competenza dell’Unione. L’adozione della moneta unica da parte di nuovi Stati membri implicherebbe la loro adesione alle cooperazioni rafforzate già istituite tra gli altri Stati membri sulla base delle disposizioni del Protocollo”6 .
L’ipotesi di un Protocollo comune consentirebbe agli Stati dell’Eurozona di prendere parte a cooperazione rafforzate unicamente agli Stati possedenti il requisito della moneta unica; tuttavia c’è da considerare come, allo Stato attuale, taluni Stati soprattutto facente parte del widening europeo ai paesi ad Est7 risultino parte della moneta unica ma al contempo decisamente contrari a progetti di integrazione differenziata nell’ambito Europeo. Tale problematica, di natura prevalentemente politica, porterebbe l’ipotesi di far derivare alcuni correttivi al Protocollo in questione con apposite deroghe da parte degli Stati dell’Eurozona che non desiderino eventuali atti propriamente inquadrabili nel settore dell’integrazione differenziata.
§III. Il concetto di flessibilità nell’integrazione europea
Il principio di flessibilità è stato ufficializzato a partire da Amsterdam attraverso l’istituto delle cooperazioni rafforzate e dell’astensione costruttiva. In realtà esso era già presente sotto forma di status speciali, deroghe, opting in o out e regimi particolari differenziati. Tali regimi trovano la loro base giuridica talvolta all’interno dei Trattati, talaltra attraverso convezioni o accordi esterni ai Trattati.
I Trattati di Roma del 1957 stabilivano che tali norme non sarebbero state applicate ai territori di taluni Stati membri (Territori d’Oltremare, Groenlandia) o vi si sarebbero applicate solo in parte (Channel Islands, Isola di Man, Canarie); disponendo di regimi speciali per singoli Paesi. Lo stesso Atto Unico Europeo consentiva deroghe all’introduzione del mercato interno, al fine di tenere in conto il diverso grado di sviluppo di alcuni Paesi rispetto ad altri. Maastricht ha approfondito questa strada concedendo regimi speciali per Regno Unito e Danimarca rispetto all’Unione Economica e Monetaria oltre che ad ulteriori esenzioni per il Regno Unito in materia di politica sociale e per la Danimarca nel settore della difesa. Amsterdam suggella il principio della flessibilità attraverso l’introduzione dell’istituto delle cooperazioni rafforzate stabilendo inoltre deroghe specifiche per alcuni Paesi (Danimarca, Irlanda e Regno Unito) in materia di circolazione delle persone. A partire dal Trattato di Nizza le cooperazioni rafforzate vengono estese anche al settore della PESC, con l’esclusione del settore della difesa.
La casistica relativa al principio di flessibilità e alla materia di applicazione differenziata del diritto dell’Unione Europea è piuttosto ampia. I regimi differenziati possono avere natura temporanea o permanente, criteri geografici o funzionali, riguardare delle iniziative specifiche o dei settori di ampio respiro, coinvolgere un gruppo esiguo di Stati membri o un insieme più vasto di questi, trovare base giuridica nei Trattati, come nell’istituto delle cooperazioni rafforzate, o risultare esterni ai Trattati (Schengen, UEM, Protocolli e Prum, in tal caso sarà preferibile parlare di applicazione differenziata del Diritto dell’Unione).
La dottrina ha individuato innumerevoli sottocategorie che rientrano tutte nel genus più ampio della flessibilità, tentando una differenziazione tra ciascuna di esse. La terminologia più utilizzata spazia dall’avanguardia al nocciolo duro, dall’Europa a più velocità a quella a cerchi concentrici. Sovrapponendosi talvolta le une alle altre, in virtù di un tentativo distintivo che attiene alla sfera politico-giuridica che alle volte tende ad unificare tali concetti, resta indiscusso di base il concetto di flessibilità, di differenziazione delle politiche europee unitarie e comuni a tutti gli Stati membri al fine di evitare lo stallo decisionale e per incentivare l’eventuale messa in atto di cooperazioni rafforzate in materie che soltanto un gruppo ristretto di Stati membri auspichino concretizzare.
La dottrina in materia non rinuncia inoltre a vedere nel concetto di flessibilità un fattore di divisione e di egemonia8 imputandolo incompatibile con l’ordine costituzionale dell’Unione, fondato su principi di unità e uniformità, e quelli connessi di uguaglianza, solidarietà, democrazia e legalità. Secondo tale prospettiva la flessibilità, in quanto apportatrice di regimi differenziati, verrebbe a porsi irrimediabilmente in contrasto con tali principi. Essa presenterebbe quindi una “carica eversiva e disgregatrice dei valori fondanti dell’Unione”9 . La flessibilità inoltre, oltre che sotto il profilo giuridico, presenterebbe delle evidenti lacune anche per quanto riguarda il piano politico, nascondendo un possibile disegno egemonico degli Stati più grandi, che potrebbero servirsene per riappropriarsi del potere perso a seguito dell’allargamento dell’Unione nel corso degli anni. Come sottolinea il Tosato stesso però, è lecito dubitare di questi potenziali effetti perversi appena descritti, fermo restando il concetto che la flessibilità rappresenta l’unica alternativa possibile allo stallo e alla crisi dell’Europa. La flessibilità inoltre non è un concetto estraneo alla logica comunitaria ma anzi esso potrebbe essere da considerarsi quale intrinseco alla stessa: come si è già visto nel caso dell’Unione Economica e Monetaria e come si vedrà in seguito nella Tutela Brevettuale così come nel caso di Schengen e il Rilancio del Trattato di Prum, tutti questi esempi costituiscono chiaramente degli esempi di flessibilità del diritto dell’Unione che hanno mostrato il loro corretto funzionamento a partire dalla loro messa in atto fino ad oggi. Da quanto analizzato si può concludere che la flessibilità non produce necessariamente i guasti temuti, anzi: nei casi presi in esame ha favorito sia il processo di coesione comunitaria che quello di avanzamento del processo di integrazione, dispiegando in generale un effetto aggregante. Iniziative che all’origine erano proposte da gruppi ristretti sono poi riuscite ad estendersi alla generalità degli Stati membri. Occorre quindi, come afferma il Tosato, “individuare le condizioni che consentono di trarne tutti gli effetti positivi, evitando o limitando al massimo quelli pregiudizievoli”10 .
Pur restando la maggioranza della dottrina nel convincimento che un rilancio dell’Unione Europea attraverso l’istituto delle integrazioni differenziate risulti l’unica via possibile, pare opportuno passare in disamina un’ultima analisi che si porta dietro le eventuali conseguenze negative dell’estensione del concetto di integrazione differenziata. Il Condinanzi11 , riprendendo una tesi già propria di Jacques Delcourt risalente al 2001, mette in luce il possibile rischio di un processo integrativo che mediante il meccanismo dell’integrazione differenziata parrebbe propendere non già per una condivisione di valori comuni meglio definiti come acquis comunitario, bensì determinarebbe quella che il Decourt definisce un “individualization of the acquis”, con ciascuno Stato che presenti un proprio acquis che, andando a differenziarlo dagli altri Stati, non farebbe più configurare un cammino comune di integrazione per quanto attiene al profilo europeo. Pare doveroso a tal proposito dire come l’Unione, pur restando ferma nel suo principale processo integrativo, ha vieppiù volte eseguito delle modifiche che hanno apportato modificazioni strutturali ai Trattati come la codificazione del principio della reversibilità delle competenze (art.48, par.2, TUE) e delle regole sul recesso dall’Unione (art.50 TUE), oltre che all’eliminazione dell’obiettivo dell’Unione basata nel contenere e sviluppare l’acquis (art.3 TUE pre-Lisbona).
Il citato articolo 20 TUE, in materia di cooperazione rafforzata, rappresentando un’eccezione regolamentata all’acquis, non prevede più il rispetto dell’acquis tra le condizioni che devono essere rispettate per potere effettivamente mettere in atto una cooperazione rafforzata, ma semplicemente ribadisce che gli atti adottati in tale ambito vincolano solo gli Stati membri partecipanti alla cooperazione in questione, non potendo essere “considerato un acquis che deve essere accettato dagli Stati candidati all’adesione all’Unione” con la sola eccezione del caso Schengen12.
Deve quindi darsi per assodata l’impossibilità di edificare un’acquis che permanga nel tempo omogeneo e unificante per la totalità degli Stati membri, dovendosi invece riconoscere l’importanza di un processo che sacrifichi talvolta l’imposizione di valori condivisibili da tutti gli Stati membri, con il fine ultimo di una capacità effettiva dell’Unione in senso lato che lasci spazio alla flessibilità e alla libertà di azione. Il criterio del macquis comunitario è stato definito da altri esponenti della dottrina giuridica europea quale parte di un’intrinseca asimmetria13 a livello giuridico di cui, come si è più volte sottolineato, l’Unione Europea è ricca di precedenti e situazioni esemplari che ne mostrano il funzionamento nonostante la diversità ravvisata.
Ben prima il dibattito presente a riguardo della asimmetria europea, Hans Kelsen aveva già riconosciuto il possibile bisogno di una differenziazione sostanziale all’interno di uno specifico apparato normativo costruito insieme dalla volontà inter statuaria: “Allorquando le regole individuali di uno specifico ordinamento giuridico posseggono uno scopo geografico diverso volto alla sua applicazione, differenti sistemi normativi devono essere applicati per differenziare le parti dell’ordinamento. L’unità formale di un’unità legale non comporta uniformemente unità sostanziale… Tra le varie ragioni che determinano una differenziazione geografica di trattamento vi sono la grande vastità geografica e l’eterogeneità degli stili di vita che spesso comportano più specificità”14 .
Inoltre, l’Unione Europea non è la sola entità a carattere pseudo-federale con modificazioni asimmetriche: nel periodo degli Stati Nazione, storiche forme di asimmetria, come per l’Impero Austro-Ungarico, erano spesso associate con la secessione o la loro eventuale disgregazione. Questo ha portato il filosofo e giurista austriaco Georg Jellinek a concludere che “questi erano elementi di uno Stato incompleto o disorganizzato”15 . Ma le esperienze moderne di federalismo asimmetrico sono decisamente più positive. Vari livelli di federalismo simmetrico e regionalizzazioni quasi federali come nel Regno Unito, Canada, Spagna, Belgio e Finlandia hanno considerevolmente contribuito alla stabilizzazione di conflitti disgreganti e hanno favorito la diffusine della eterogeneità regionale andando a rispecchiare il concetto di asimmetria nei Trattati europei. L’unità legale del Diritto dell’Unione Europea come singolo ordinamento composto dal TUE e dal TFUE che comprenda norme di diritto simmetrico e asimmetrico è di interesse fondamentale. Nella pratica, la preservazione dei suoi caratteri distintivi del diritto dell’Unione è di fondamentale importanza per il mantenimento del suo carattere sovranazionale. E’ altresì fondamentale per l’integrazione del carattere asimmetrico nell’ordinamento comunitario che esso preservi i suoi principi, come il primato del diritto dell’Unione, il suo diretto effetto e l’uniformità di interpretazione nel caso di uno specifico scopo geografico, il rispetto erga omnes dei diritti fondamentali e il principio della non-discriminazione, insieme alla fondatezza del mutuo rispetto e lealtà dell’Unione e degli Stati membri.
Se le cooperazioni rafforzate insieme ad altre forme di asimmetria trascendono da queste caratteristiche, il Diritto dell’Unione potrà senz’altro continuare a costituire un singolo ordinamento comune, ma i suoi elementi distintivi a carattere sovrannazionale sui quali il suo successo è messo in discussione andrebbero sicuramente persi. I limiti procedurali e legali derivanti dalla preservazione dei principi “costituzionali” europei, possono in ogni caso prevenire l’eventuale aggregazione di alcuni Stati membri. Ciò farebbe tentare questi ultimi a cooperare al di fuori della struttura istituzionale dell’Unione sulle basi del diritto internazionale, ma preserverebbe l’identità del Diritto dell’Unione e il suo ordine semi-costituzionale16 . Una seconda importante ed indispensabile componente del diritto comunitario è la struttura istituzionale comune ed il rispettivo ruolo delle istituzioni all’interno dell’Unione. Infatti, questioni di progettazione istituzionale e modificazioni sostanziali sono sempre stati un mezzo di unity building dell’organizzazione, incanalando le diverse posizioni politiche verso un accordo. Ciò si applica alle regole di procedura inter istituzionali nello stesso modo con cui questo accade a livello intra istituzionali in Parlamento, Commissione e Consiglio. E’ altresì essenziale che le tradizionali regole di procedura inter istituzionali si applichino anche nei casi di cooperazione rafforzata quando devono essere discusse o applicate talune regole di applicazioni individuali del Diritto dell’Unione. Ciò avviene poiché la creazione di un diritto asimmetrico deve, come qualsiasi altra norma comunitaria, conformarsi ai Trattati dell’Unione Europea ed i suoi requisiti procedurali. Al contrario del regime di cooperazione proprio del diritto internazionale al di fuori della struttura istituzionale e legale dell’Unione, l’asimmetria non rappresenta quindi la scorciatoia dal regolare processo di decision-making interno alle istituzioni del metodo comunitario.
L’immutato relazionarsi a livello istituzionale delle istituzioni della Commissione, del Parlamento e della Corte di Giustizia è di particolare importanza, poiché esso simbolizza e rafforza l’integrazione dell’asimmetria nel singolo ordinamento normativo dell’Unione. L’inserimento delle cooperazioni rafforzate e di altre forme di flessibilità, secondo Daniel Thym, permettono quindi all’Europa di far fronte alle diversità in maniera pacifica e di adottare norme che si limitino ad un preciso scopo geografico o a taluni fini specifici senza conseguenze sul piano politico che potrebbero causare l’esclusione o la rottura di alcuni Stati membri con il sistema dell’Unione in generale. Oltre alle già esistenti forme di asimmetria il regime delle cooperazioni rafforzate resta uno strumento al quale l’Unione può ricorrere quando il processo legislativo ordinario conduce ad una fase di stallo.
Su questi termini, le cooperazioni rafforzate non mineranno l’acquis comunitario né rappresenteranno cambiamenti fondamentali per l’equilibro dell’ordinamento dell’Unione, poiché i vincoli sostanziali ed i requisiti procedurali delle cooperazioni rafforzate rimangono parimenti immutati. Pare però ovvio che attraverso le cooperazioni rafforzate l’Unione voglia esaltarne la loro validità e l’attrattiva delle modificazioni asimmetriche. Attraverso la previsione del voto della maggioranza qualificata in seno al Consiglio, si vuole eliminare il possibile potere di veto di taluni Stati non facenti parte della potenziale cooperazione, col fine ultimo di bloccare eventuali procedimenti di cooperazione rafforzate tra i Paesi che lo desiderino. Ciò sottolinea l’importanza che viene conferita alle cooperazioni rafforzate quale mezzo di dinamismo del Diritto dell’Unione in un’epoca nella quale le divergenze politiche minano la comunione di vedute sugli obiettivi europei.
§IV. Condizioni e limiti di una flessibilità virtuosa: i principi fondamentali dell’Unione
Avendo più volte richiamato il concetto di flessibilità per il diritto dell’Unione Europea, nell’intento di caratterizzare un processo sempre più comune a tale ordinamento, gli autori17 si mostrano concordi al significato da essi attribuito a detto termine: “flessibili sarebbero quelle disposizioni di diritto dell’Unione Europea che non si indirizzano alla totalità degli Stati membri, creando situazioni differenziate tra gli stessi”18 e ancora “dando vita a un sistema strutturato non solo secondo un sistema gerarchico e piramidale ma come un sistema di relazioni più fluide e destrutturate, qualificate da flessibilità e duttilità”19 . Le condizioni ed i limiti per una flessibilità virtuosa sono ritenuti essere il rispetto dei principi fondamentali dell’Unione, per i quali la stessa Corte di Giustizia ritiene che, in virtù della loro centralità, essi rappresentino appunto il nucleo europeo, imprescindibile per basare il lavoro dell’Unione su un principio di valori e identità comuni. E’ infatti necessario tracciare un terreno comune in cui vengano delimitati principi e fattori valoriali che rappresentino la “costituzione materiale” dell’Europa, rappresentando un limite insuperabile per qualsiasi iniziativa di integrazione flessibile. Viene quindi da domandarsi quali siano i principi che compongono la costituzione materiale dell’Europa. Gian Luigi Tosato20 menziona in un quadro generale il principio di libertà, democrazia, legalità e rispetto dei diritti umani (art.6 TUE); i principi di leale collaborazione e solidarietà (art.4 TFUE e art.1TUE); il principio di non discriminazione (art.18 TFUE); le quattro libertà fondamentali costitutive del mercato interno (art.3 TUE e art.26 TFUE); i principi di sussidiarietà e proporzionalità (art.5 TFUE);il principio di coerenza del sistema (art.1 e 3 TUE); l’esclusività delle competenze europee in tema di unione doganale, concorrenza intra-comunitaria e politica commerciale comune (art. da 2 a 6 TFUE). Tali principi andrebbero quindi a costituire un nucleo minimo che risulti indispensabile al fine di preservare l’unità del sistema, un punto di congiunzione tra unità e diversità, oltre il quale la diversità determina un punto di rottura della coesione costituzionale europea. L’operazione di flessibilità deve quindi attenersi a questa se vuole risultare virtuosa e produttiva. Risulta altresì fondamentale che tal rispetto venga esercitato mediante opportuni controlli sul piano giuridico e su quello politico, a livello istituzionale europeo ed a livello nazionale. Tale compito di garanzia deve quindi essere svolto dalle istituzioni giudiziarie e politiche dell’Unione, di concerto con i giudici ed i parlamenti nazionali sul profilo interno.
A partire dal rispetto dei sopramenzionati principi, se ne possono dedurre le conseguenze di una flessibilità che non può che non risultare virtuosa. La flessibilità virtuosa rispetta i principi di fondo dell’Unione, ne promuove le finalità, è leale verso i suoi membri, non li discrimina, non ha mire egemoniche, è aperta all’adesione di tutti, è solidale verso chi non partecipa, si sforza di facilitarne il successivo nuovo inserimento, ha natura sussidiaria delle procedure ordinarie, non eccede nella differenziazione, evita la proliferazione delle iniziative, si preoccupa di renderle coerenti tra di loro e di raccordarle con il sistema generale dell’Unione e le sue istituzioni. Su tali basi, i timori di chi vede nella flessibilità un fattore di disgregazione del sistema, di divisione tra i suoi membri e di emarginazione delle istituzioni sovrannazionali, non possono che apparire infondate. La flessibilità costituirebbe un punto di equilibrio tra unità e diversità, bilancerebbe le esigenze degli Stati più dinamici e con quelle degli Stati più prudenti, abbatterebbe le difficoltà di funzionamento dei meccanismi decisionali comuni, rappresentando un ruolo propulsivo nelle sperimentazioni di politiche e soluzioni organizzative nuove, e favorendo progetti di formazione e ricerca in ambito europeo. Una flessibilità virtuosa faciliterebbe anche l’aggregazione tra gruppi di Stati membri più vicini tra loro per ragioni geo-politiche o geo-economiche, consentendo di formare avanguardie di un’Unione sempre più stretta, al fine di esercitare un ruolo di stimolo e di traino per il conseguimento di uno specifico obiettivo da parte di tutti. Prendendo in considerazione tali constatazioni, è logico dedurre che la flessibilità merita grande attenzione per un effettivo rilancio dell’Europa, non andando a pregiudicare il processo costituzionale in corso, né la prospettiva di ulteriori allargamenti dell’Unione. In una situazione di questo tipo la flessibilità sarebbe chiamata a svolgere un ruolo non sostitutivo ai Trattati, ma piuttosto di supplenza e di stimolo21 . La flessibilità può mostrare che il processo di integrazione va avanti, pur se in ambiti più ristretti, ed è in grado di corrispondere alle sue aspettative: con la speranza che quelle che rappresentano le iniziative pioneristiche siano poi terreno che costituisca un patrimonio comune. In un’Europa con le dimensioni attuali risulta difficile immaginare che si possa sempre indistintamente procedere tutti insieme. A certe condizioni, come quelle appena elencate nel merito della flessibilità virtuosa, essa non pregiudica l’unità, ma ne rappresenta anzi un complemento fondamentale.
§V. Flessibilità e allargamento
Tra la flessibilità e l’allargamento sussiste un’implicazione reciproca evidente: l’allargamento fa crescere il bisogno di flessibilità, a sua volta la flessibilità facilita l’allargamento. Con il progressivo allargamento dell’Unione aumenta la sua eterogeneità, crescendo di riflesso l’esigenza di differenziazione. Le nuove politiche delle cooperazioni rafforzate cercano proprio di andare verso questa direzione, aprendo la strada a nuovi compromessi che stimolino la capacità di facere e che determinino delle soluzioni alternative per gli Stati che credano più fermamente nel progetto di integrazione europea più stretta tra gli Stati. Al contempo è pacifico affermare come grazie alla flessibilità venga stimolato un processo di allargamento inteso non solo quale processo di ingresso di nuovi Stati membri all’interno dell’Unione, bensì di avanzamenti nello stesso processo di integrazione mediante la realizzazione di progetti complessi che intendano un ambito di gruppi più ristretti. L’obiettivo della flessibilità non risponde né alla “diluizione” dell’Unione, né alla conseguente perdita di identità, valori, funzionalità e capacità di perseguire il fine di un’Unione sempre più stretta. L’obiettivo delle cooperazioni rafforzate dovrebbe attenuare questi timori. L’obiettivo delle cooperazioni rafforzate, sul piano politico e su quello economico, potrebbe esser portato avanti da un ristretto numero di Stati con sviluppi che di certo non presenterebbero implicazioni negative per gli Stati candidati all’adesione nell’Unione. Se la flessibilità è virtuosa non chiude la porta a nessuno. I nuovi membri non hanno motivo di sentirsi relegati in un’Europa “minore” o “a velocità limitata”.
Concludendo, appare chiaro sottolineare come la maggioranza della dottrina sia orientata a confermare il valore centrale che riveste in primo luogo la possibilità di instaurare delle cooperazioni rafforzate nell’ambito di talune sfere proprie del diritto dell’Unione Europea, estendendo poi quella che è la species di tale istituto alla valutazione di rendimento più generale che attiene al genus più ampio di integrazione differenziata e di flessibilità. I timori e le perplessità sono diversi, e senza dubbio giustificati soprattutto dal fatto che nel caso specifico delle cooperazioni rafforzate esse rappresenterebbero una novità assoluta nel panorama giuridico europeo. Ciononostante, tutto ciò che è nuovo o diverso dal passato, è sempre passibile di critiche o di dubbi sull’efficacia e sul corretto funzionamento. Ma, come sappiamo, l’Unione Europea rappresenta un esperimento giuridico e politico unico nel panorama mondiale: essendo quindi cosciente di ciò, essa dovrebbe ben conoscere come la via della sperimentazione non le sia del tutto nuova ma anzi essa sia congenitamente insita nel DNA dell’apparato costitutivo dell’Unione.
§VI. L’origine e le differenti forme di cooperazione rafforzata
L’istituto delle cooperazioni rafforzate viene formalmente introdotto con il Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997 come rimedio al possibile rallentamento del processo di integrazione europea a seguito dell’allargamento dell’Unione stessa ai paesi dell’Europa centro-orientale. Sulla base di questo statuto, e anche grazie alle lievi modifiche apportate con il Trattato di Nizza del 2001, tale istituto permetteva a taluni Stati, nel sorgere di determinate condizioni e seguendo un procedimento istituzionale propriamente previsto nei Trattati, di proseguire quel processo di integrazione europea in talune materie non facenti parte della competenza esclusiva dell’Unione, consentendo comunque la partecipazione successiva degli Stati membri che avrebbero voluto successivamente far parte di quella cooperazione in un determinato settore22. L’attuale regime giuridico delle cooperazioni rafforzate prende quindi spunto principalmente dal lavoro svolto per il TCE di Roma del 2004, trattato mai entrato in vigore, e, in conseguenza a ciò, disciplinato oggi dal Trattato di Lisbona entrato in vigore il 1 dicembre 2009 nell’art. 20 TUE e negli articoli 329-334 TFUE.23
L’istituto si presenta oggi come manifestazione del fenomeno di integrazione differenziata (cd. Europa a più velocità) accanto ad altre manifestazioni quali la conclusione di accordi internazionali in materie riconducibili all’Unione Europea solo tra alcuni Stati membri (per esempio, gli accordi di Schengen e la convenzione di Prum), l’applicazione differenziata prevista in appositi Protocolli costitutivi di regimi specifici per alcuni Stati membri (i protocolli n.20 e 21 relativi al Regno Unito e all’Irlanda, il protocollo n.22 sulla posizione della Danimarca e il Protocollo n.30 sull’applicazione della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea alla Polonia e al Regno Unito) e la previsione, nel merito dell’Unione economica e monetaria, affianco agli Stati membri la cui moneta è l’euro, degli Stati membri con deroga e degli Stati membri che beneficiano di un apposito regime.
Meritevole di menzione risulta poi essere una forma peculiare di cooperazione rafforzata nell’ambito delle disposizioni sulla politica di sicurezza e di difesa comune sotto la denominazione di cooperazione strutturata permanente, da instaurare tra Stati membri che rispondono a criteri più elevati in termini di capacità militari e che hanno sottoscritto impegni più vincolanti in materia ai fini delle missioni impegnative, prevista dall’art.46 TUE mentre i requisiti sostanziali previsti per gli Stati membri desiderosi di partecipare a tale cooperazione strutturata sono indicati in maniera più dettagliata nel Protocollo n.10. L’applicazione non uniforme del Diritto dell’Unione Europea viene introdotta con talune disposizioni, seppure molto specifiche, nel trattato CEE 24, ma è con il Trattato di Maastricht che vengono formalmente inserite disposizioni pattizie che sanciscono la nascita dell’Unione Economia e Monetaria e, di conseguenza, la prima concreta applicazione non uniforme nel Diritto dell’UE.
Tale trattato prevedeva infatti la possibilità di partecipare alla moneta unica soltanto per quegli Stati che presentassero specifici requisiti economici e giuridici, concedendo di riflesso al Regno Unito e alla Danimarca la facoltà di non prendere parte alla terza fase dell’Unione Economica e Monetaria e prevedendo altresì disposizioni in ambito di politiche sociali mediante il Protocollo n.1425, autorizzando gli Stati membri, ad eccezione del Regno Unito, a fare ricorso alle istituzioni, alle procedure e ai meccanismi previsti dai trattati per mettere in atto l’Accordo sulla Politica Sociale allegato al Protocollo stesso. In questo modo venivano a crearsi meccanismi di funzionamento per tale Accordo non riconducibili direttamente ai Trattati ma in toto regolati dalle disposizioni dell’Accordo stesso e per questo facenti parte di una competenza che, seppur rientrante nell’ambito dell’Unione Europea poiché rivolto agli Stati membri, non si presentava come espressamente regolato dal diritto primario dell’Unione 26. Il fenomeno dell’integrazione differenziata del diritto dell’Unione Europea ha però raggiunto notevole centralità soprattutto nei recenti dibattiti a seguito di un fenomeno caratterizzante l’ultimo decennio delle politiche europee: da un lato l’allargamento dell’Unione, il widening, attraverso l’estensione dei suoi confini geografici con l’ingresso dei nuovi Stati, dall’altro il deepening, l’approfondimento, cioè delle sue competenze attraverso una sempre maggior estensione dei confini previsti per le politiche inizialmente facenti parte del dominio riservato degli Stati27.
Questi due elementi si sono quindi contemperati da un lato nella necessità di estendere le nuove politiche dell’Unione anche a Stati con agende politiche con evidenti tratti distintivi rispetto a quelle degli Stati membri della parte occidentale, dall’altra la sfera d’influenza accresciuta dell’Unione che ha fatto si che venissero in essere delle specificità inedite, in origine non previste nelle competenze di dominio dell’Unione.
Nell’esigenza di un sistema così diversificato e con policies tanto differenti, si è posto di fatto il bisogno di un compromesso per rispondere all’eterogeneità del sistema, dovendolo di conseguenza ricollegare ad un meccanismo di flessibilità e, quindi, di applicazione differenziata del diritto dell’Unione. In virtù di tale logica appare di fatto doveroso il sacrificio dell’acquis comunitario in favore di forme di integrazione europea che non rispondano al criterio della totalità, bensì a quello della diversificazione sulla base delle specificità costituzionali di ciascuno Stato membro28.
Con tali premesse, l’ipotesi della frammentazione del diritto dell’Unione appare ben più preferibile di innumerevoli legislazioni nazionali frastagliate da obiettivi che si sottraggono alla logica comunitaria e si diversificano in soluzioni diverse le une dalle altre.
L’evenienza di un acquis che risponda concretamente al criterio della flessibilità è di lunga ritenibile quale soluzione più pacifica rispetto ad una frammentarietà del diritto interno che sottragga potenziali competenze alla matrice comunitaria. E’ infine da ribadire, come sarà poi trattato in seguito, che l’acquis comunitatio già presenta delle evidenti differenziazioni sulla base di talune fattispecie che si solo rilevate nell’ambito europeo, quali ad esempio Schengen e la sopracitata zona euro. Tale situazione non sarebbe quindi nuova sul panorama europeo, anzi: rappresenterebbe una mera prosecuzione nell’approfondimento di tale processo in atto, e un’implementazione dei meccanismi di funzionamento relativamente alle fasi di integrazione del progetto europeo.
§VII. La disciplina normativa delle cooperazioni rafforzate
Gli obiettivi che devono essere necessariamente perseguiti da ciascuna cooperazione rafforzata, come si evince dal combinato disposto dell’art. 20 TUE, e nel titolo III della parte sesta del TFUE, composto dagli art. 326 a 334 TFUE, sono le seguenti: promuovere gli obiettivi dell’Unione, proteggere i suoi interessi e, più in generale, rafforzare il progresso di integrazione dell’Unione stessa (art. 20 par.1 comma 2 del TUE). Per quanto riguarda i limiti, invece, sempre previsti all’interno dell’art.20, viene specificato che tali cooperazioni devono essere esercitate solo “nel quadro di competenze esclusive dell’Unione”, a cui si aggiungono ulteriori condizioni dettagliate previste dagli art. 326 e 327 TFUE. Il primo articolo sottolinea la necessità delle cooperazioni di rispettare i trattati ed il diritto dell’Unione, insieme al mercato interno ed alla coesione economica, sociale e territoriale, non dovendo inoltre recare pregiudizio né una discriminazione tra gli scambi tra Stati membri, provocandone eventuali distorsioni concorrenziali 29. Il secondo ne evidenzia l’obbligo di dette cooperazioni di “rispettare le competenze, i diritti e gli obblighi degli Stati membri che non vi partecipano” , dovendo in inoltre questi ultimi non ostacolare la messa in atto delle cooperazione da parte dei Paesi partecipanti.
Notevole di analisi è poi il presupposto di last resort30 in base alla quale il Consiglio adotta (a maggioranza qualificata) la decisione che autorizza la cooperazione rafforzata “in ultima istanza”( art.20 par.2 TFUE), quando esso stabilisca che gli obiettivi di detta cooperazione non possano essere eseguiti “in un termine ragionevole” da tutti gli Stati membri dell’Unione. Il ruolo del Consiglio è in tale situazione fortemente discrezionale, esercitando un potere che conferisce la definitiva autorizzazione o meno dell’instaurazione di una cooperazione rafforzata, ritendendo la giurisprudenza in materia che il Consiglio, nel prendere tale decisione, si troverebbe nella posizione più consona per valutare “se gli Stati membri mostrino la volontà di un compromesso e siano in grado di presentare proposte che possano condurre, in un futuro prevedibile, all’adozione di una normativa per l’Unione nel suo insieme”31. L’instaurazione di una cooperazione rafforzata è quindi decisa dal Consiglio che delibera a maggioranza qualificata su proposta della Commissione previa approvazione del Parlamento europeo32. L’attuale disciplina ha infatti implementato, rispetto alle previsioni precedenti, il ruolo del Parlamento europeo poiché prima il parere di quest’ultimo era domandato solo nel caso di cooperazione rafforzata instaurata in materia sottoposta al procedimento di codecisione laddove nelle altre circostanze era unicamente previsto un parere, obbligatorio ma non vincolante, da parte del Parlamento stesso.
L’instaurazione di una cooperazione rafforzata nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune, a seguito del Trattato di Lisbona è stata agevolata mediante una decisione all’unanimità del Consiglio che si pronuncia dopo che sulla proposta degli Stati membri l’Alto rappresentate per la politica estera e la sicurezza comune, unitamente alla commissione, abbiano fornito un parere in merito alla coerenza con la predetta politica e con le altre politiche dell’Unione. Il Parlamento in questo caso è semplicemente informato della proposta ad opera degli Stati membri interessati33,essendo la partecipazione successiva di altri Stati membri decisa dal Consiglio all’unanimità dei rappresentanti degli Stati membri partecipanti alla cooperazione rafforzata, sentito l’Alto rappresentante. In caso di mancato soddisfacimento da parte dello Stato membro richiedente delle previste condizioni di partecipazione il Consiglio indicherà le disposizioni da adottare da parte dello Stato membro richiedente stabilendo un termine per il riesame della richiesta34. Le cooperazioni rafforzate, così come concepite dai trattati, hanno una chiara caratterizzazione volta a sottolineare la tendenziale estensione del modello di integrazione “privilegiata”, con il fine ultimo di conseguire una partecipazione del più ampio numero possibile di Stati membri35 . E’ inoltre importante sottolineare come la partecipazione presenti un carattere tendenzialmente irreversibile, a partire dal momento in cui la Commissione presenta la proposta di Cooperazione al Consiglio, non essendo previsto né il recesso né la sospensione da una cooperazione rafforzata36. Per tale motivo è da ritenersi applicabile anche agli atti adottati in attuazione di un cooperazione rafforzata quel regime previsto per gli “atti comuni” di diritto derivato, non essendo possibile forma alcuna di recesso: sarà infatti prevista la modifica o l’abrogazione di questi ultimi, unitamente ad una sentenza della Corte di giustizia che ne dichiari la nullità, in seguito all’impugnazione ex art. 263 TFUE, oppure l’invalidità, nel contesto di un rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267, comma 1, lett. b), TFUE. La Corte di giustizia può quindi esercitare il controllo di legittimità di cui all’art.263 TFUE anche rispetto alle misure di attuazione di una cooperazione rafforzata, può decidere eventuali ricorsi per infrazione nei confronti di uno Stato membro partecipante per violazione degli obblighi derivanti da atti emanati in attuazione della cooperazione rafforzata (art. 258-259 TFUE) nonché ricorsi in carenza in presenza di illegittima inattività delle istituzioni ex. art. 265 TFUE. La competenza pregiudiziale di invalidità o di interpretazione di cui all’art. 267 TFUE può essere esercitata sia in relazione alla decisione di instaurazione della cooperazione rafforzata (e di eventuale partecipazione successiva) e sia rispetto agli atti adottati dagli Stati membri facenti parte della cooperazione in atto.
Ipotesi peculiari di cooperazione, sono inoltre previste nei settori della politica di sicurezza e di difesa comune (PDSC) e della cooperazione giudiziaria in materia penale. La PDSC, come noto, costituisce “parte integrante” della PESC37 e rientra in quella sfera di competenze in materia di difesa che rientrano sotto il nome di “cooperazione strutturata permanente”.
Per quanto concerne la cooperazione in materia penale, sono previste forme di cooperazioni “semplificate”, alla quale si applicano le stesse disposizioni previste per le cooperazioni rafforzate. Prova ne è la prevista possibilità di instituire una Procura Europea, non facendo altro che individuare nella cooperazione rafforzata uno strumento attraverso il quale almeno nove Stati possono “superare” il mancato raggiungimento dell’unanimità in seno al Consiglio. Altre due ipotesi in materia, disciplinate dall’art. 82 par.3 TFUE, e dall’art. 83 par.3 TFUE, relativamente al ravvicinamento delle legislazioni penali, sia sul piano processuale che su quello sostanziale, presentano caratteristiche particolarmente interessanti sotto il piano in materia. Entrambi gli articoli prevedono anch’essi una procedura – il c.d. freno di emergenza – che nel caso di impasse decisionale può sfociare in una cooperazione rafforzata, avvalendosi di detta procedura nella situazione specifica in cui un progetto di direttiva ai sensi dei citati articoli incida su “aspetti fondamentali del proprio ordinamento giuridico penale”38.
La disciplina relativa alle cooperazioni rafforzate prevede, da un lato, attraverso le due disposizioni soprannominate passerella39, che il Consiglio autorizzi una determinata cooperazione rafforzata con deliberazione adottata a maggioranza qualificata e, quindi, anche contro la volontà degli Stati membri che dissentano da tale decisione40; dall’altro, una disciplina che, all’atto dell’autorizzazione risulta indeterminata: la sua concreta definizione sarà solo la conseguenza dell’insieme di decisioni via via adottate dagli Stati che partecipano alla cooperazione rafforzata, pur sempre nel rispetto delle condizioni già richiamate in precedenza.
§VIII. Le prime tre applicazioni di cooperazioni rafforzate
La disciplina delle cooperazioni rafforzate ha trovato non poche difficoltà nel trovare effettiva applicazione nel merito del Diritto dell’Unione Europea, sia per la questione di un meccanismo di flessibilità non comunemente desiderato da tutti gli Stati membri, sia per una farraginosità delle procedure istituzionali per dar vita a una cooperazione rafforzata prima del Trattato di Lisbona. A partire dal 2010 ad oggi sono state instaurate tre cooperazioni rafforzate, tutte ai sensi della disciplina comunitaria degli art. 20 TUE e degli art. 326-334 TFUE, le quali permettono di compiere una valutazione di tale strumento tenendo anche conto della sua dimensione pratica. La prima cooperazione rafforzata attuata ai sensi dei trattati ha condotto all’adozione, tra quattordici Stati membri41, in seguito diventati sedici42, di un regolamento in materia di legge applicabile al divorzio e alla separazione legale43, avente per base giuridica l’art. 81, par.3 del TUE. Successivamente, sempre mediante ricorso alla medesima procedura, sono stati emanati due regolamenti riguardanti l’istituzione di una tutela brevettuale unitaria, tra venticinque Stati44 membri, sulla base dell’art.118 TFUE. Infine, è stata instaurata una cooperazione rafforzata, ancora in fase di attuazione45, nel settore dell’imposta sulle transazioni finanziarie, in accordo all’art. 113 TFUE.
Tali cooperazioni rafforzate hanno visto, in due casi su tre, uno o più Stati membri non partecipanti impugnare ex art. 263 TFUE la decisione di autorizzazione adottata dal Consiglio, con il fine di bloccare l’instaurazione di nuove forme di cooperazione rafforzata. Tale constatazione porterebbe quindi a credere che nella maggioranza dei casi lo Stato membro non partecipante alla cooperazione rafforzata in questione consideri la potenziale instaurazione della stessa come un pregiudizio per sé stessa e per gli Stati che ne restano esclusi. Ulteriore conclusione può essere il fatto che gli Stati membri tendano a non accettare modelli di differenziazione, ritenendo più opportuna l’integrazione omogenea fino al punto di ostacolare i primi mediante iniziative di natura contenziosa46. Sono inoltre parte di una forma di cooperazione rafforzata, pur se esterne al Diritto dell’Unione e sorte mediante appositi trattati esterni all’Unione stessa: la Convenzione di Schengen, entrata in vigore nel 1995 definendo le condizioni e le garanzie inerenti all’istituzione di uno spazio di libera circolazione all’interno degli Stati membri aderenti47, essendo inoltre obbligatorio per uno Stato che desideri aderire all’Unione Europea l’accettazione integrale dell’acquis di Schengen; e la Convenzione di Prum del 2005, nel merito del c.d. terzo pilastro, ossia la cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale, il cui obiettivo è, come si evince dall’accordo, che tale atto di diritto pattizio rientri integralmente nell’acquis comunitario48.
Schengen è riuscita a smuovere un progetto che ha legittimato l’idea di un’integrazione differenziata e l’idea di un intervento dell’Unione Europea nel campo estremamente sensibile della sicurezza interna, dell’immigrazione e della collaborazione reciproca. Schengen ha quindi dimostrato come sia effettivamente possibile una cooperazione nel settore della Giustizia e degli Affari Interni dei singoli Stati membri UE. L’acquis di Schengen può rientrare, in virtù della sua struttura del tutto peculiare, in quanto nato come Accordo esterno all’Unione e poi successivamente comunitarizzato, nella definizione di “pre-cooperazione rafforzata”49.
Schengen ha quindi mostrato le ipotesi di una cooperazione rafforzata “positiva”, nata cioè per rispondere ai requisiti della flessibilità, ma aperta a un’eventuale adesione da parte di tutti gli Stati membri, con il fine ultimo di rientrare nelle regolari funzioni di controllo da parte delle istituzioni europee come se tale accordo fosse Stato concretamente conseguenza di una cooperazione rafforzata nata in seno all’Unione stessa e non di un Accordo in origine esterno ai Trattati.
Notevole di menzione è inoltre la convenzione di Prum, definita in dottrina quale il risultato di una cooperazione rafforzata verosimile50, poiché è espressamente previsto che il suo acquis venga a unirsi, in futuro, a quello comunitario, anche se risulta ovvio come tale Convenzione sia ancora esterna ai Trattati e al Diritto dell’Unione. Ciò che rende Prum meritevole però di essere considerata come una cooperazione rafforzata nella sua interezza è il suo contenuto che risponde chiaramente agli obiettivi previsti dall’ex art.29 del TCE quando si parla di “prevenzione della criminalità organizzata o altro, lotta contro questo fenomeno (in particolare il terrorismo), basandosi tale Convenzione sugli aspetti centrali del Terzo Pilastro comunitario51.
Pare doveroso menzionare una cooperazione rafforzata recente che, a seguito di alcune perplessità avanzate dal Governo italiano, ha visto l’Italia prima come propositrice di un regolamento comunitario per l’istituzione di una Procura Europea, il quale, dopo la mancata unanimità del Consiglio, ha visto questo trasformarsi in una cooperazione rafforzata. In data 7 febbraio 2017 il Consiglio ha registrato la mancanza di unanimità a sostegno della proposta di regolamento che istituisce una Procura europea (EPPO), divenendo quest’ultima, negli ultimi mesi della presidenza maltese al Consiglio Europeo, una cooperazione rafforzata su tale settore. “L’EPPO fa parte dei trattati dal 2009, ma, come dimostrano gli ultimi sei anni e mezzo, la sua istituzione risulta difficile. Sono sicuro che la presidenza maltese otterrà risultati concreti continuando ad agire come un mediatore leale, di modo che gli Stati membri che lo desiderano possano avviare la cooperazione rafforzata sotto questa presidenza”, ha dichiarato Owen Bonnici, ministro della giustizia di Malta. L’articolo 86 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea prevede che, in mancanza di unanimità sul regolamento che istituisce l’EPPO, un gruppo composto di almeno nove Stati membri possa chiedere di sottoporre il testo all’esame del Consiglio europeo. Il Consiglio europeo, a seguito del periodo di massimo quattro mesi per tentare di giungere ad un consenso, ha autorizzato un gruppo di almeno nove Stati membri di instaurare una cooperazione rafforzata in materia. La cooperazione rafforzata per l’EPPO ha come obiettivo la creazione di una Procura europea, determinando quindi la conseguente istituzione di un Procuratore Europeo il cui compito è quello di perseguire i reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione52. L’EPPO costituirebbe un organo indipendente dell’Unione avente l’autorità, a talune condizioni, di indagare e perseguire reati di frode ai danni dell’UE e altri reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione. Farebbe convergere gli sforzi di contrasto europei e nazionali per combattere la frode ai danni dell’UE.
§IX. Il sistema delle relazioni esterne nelle cooperazioni rafforzate
Il sistema delle competenze implicite della Comunità nel campo delle relazioni esterne, si ispira, nella ricostruzione che emerge dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, ad una concezione prevalentemente unitaria dell’azione comunitaria53 . Esso si fonda sull’esigenza di assicurare l’uniformità nell’esercizio delle competenze comunitarie sia sul piano esterno che su quello interno, e di evitare disarmonie e incongruenze potrebbero venire in essere a seguito di un parallelismo di competenze dell’Unione e dei singoli Stati membri54. Ne consegue che allorquando viene a crearsi un meccanismo di differenziazione che risponda ai sopramenzionati parametri di flessibilità, viene conseguentemente a mancare il carattere uniformemente vincolante degli atti attraverso i quali si esprime la regolare azione comunitaria. Va quindi inteso come le cooperazioni rafforzate possano comportare l’assunzione di obblighi internazionali e quali siano gli effetti preclusivi che un’azione svolta mediante una cooperazione rafforzata può comportare nella sfera delle relazioni esterne. La normativa comunitaria vieta espressamente che, nelle materie di competenza esclusiva dell’Unione, si possano concludere accordi mediante il metodo della cooperazione rafforzata, rispondendo peraltro alla logica del sistema: il carattere esclusivo delle competenze indica infatti che in determinati settori di competenza propria dell’Unione solo un’azione comune potrebbe efficacemente raggiungere gli obiettivi prefissati dai Trattati55.
D’altro canto, la stipulazione di accordi con Stati terzi mediante una cooperazione rafforzata non costituisce, nel combinato disposto degli menzionati articoli in materia, esercizio collettivo di competenze degli Stati. Essa è infatti configurata come un vero e proprio esercizio di competenze comunitarie, seppure condotto in modo tale che taluni Stati che non lo desiderino, possano rimanere estranei ad esso. Nel momento in cui viene posta in essere una cooperazione rafforzata, non si evidenzia quindi il disinteresse dell’Unione nell’esercizio di un determinata competenza, ma anzi, ne determina la linea di azione dell’Unione stessa in quel determinato settore. E’ proprio per tale ragione che i Trattati, nel consentire forme di cooperazione rafforzata, abbiano espressamente previsto l’obbligo che tale strumento della cooperazione resti aperto all’adesione di ciascuno Stato membro. In tali situazioni la competenza esterna dell’Unione ha un carattere esclusivo. Il procedimento di cui all’art.218 TFUE56 risulta applicabile con i necessari adattamenti preventivi relativi alla determinazione dell’unanimità o della maggioranza qualificata in seno al Consiglio della cooperazione rafforzata e con la precisazione che il parere della Corte di Giustizia sulla compatibilità dell’Accordo con i Trattati di cui al par.11 dell’art. 218 TFUE possa essere richiesto anche da uno Stato membro non facente parte della cooperazione rafforzata. Per concludere, meritevole di essere menzionato è il caso della cooperazione rafforzata instaurata nel quadro della politica estera e di sicurezza comune. L’Unione “ristretta” può concludere accordi internazionali vincolanti gli Stati aderenti alla cooperazione in questione, stante la generale previsione contenuta nell’art.37 TUE57 e nel rispetto del contenuto dell’art.218; quest’ultimo prevedendo la competenza specifica dell’Alto Rappresentante (e non della Commissione) per la raccomandazione al Consiglio circa l’avvio di negoziati qualora l’accordo previsto riguardi esclusivamente o esclusivamente la politica estera e di sicurezza comune (art.218, par. 3, TFUE), l’esclusione del Parlamento europeo nel relativo procedimento – sia nel ruolo di previa approvazione che in quello di consultazione – se l’accordo previsto riguarda esclusivamente la politica estera e di sicurezza comune (il Parlamento europeo è semplicemente “immediatamente e pienamente informato” in tutte le fasi del procedimento).
Note
1 Penelope: un nouveau Traité refondateur, Le droit et les politiques de l’UE, Paris, 2003
2 Cfr. L’integrazione differenziata nell’ambito dell’Unione Europea e la “costituzionalizzazione” dell’Eurozona, Paolo Ponzano, 2015
3 Ibidem; pag.3
4 Cfr. G. ROSSOLILLO, Cooperazione rafforzata e Unione economica e monetaria: modelli di flessibilità a confronto, Rivista di diritto internazionale (2014), p. 325 ss.
5 Cfr. L’integrazione differenziata nell’ambito dell’Unione Europea e la “costituzionalizzazione” dell’Eurozona, PAOLO PONZANO, 2015; PAOLO FOIS, Applicazione differenziata e flessibilità nel Diritto dell’Unione Europea; E. PISTOIA, Il ruolo della cooperazione rafforzata nell’Unione Europea: meccanismo di propulsione dell’integrazione o elemento di divario tra gli Stati membri?, in DPCE 2002, p.1885 ss. ; A. TIZZANO, Cooperazione rafforzata e flessibilità, in DUE, 2001, p.460 ss.
6 Cfr. PAOLO PONZANO L’integrazione differenziata nell’ambito dell’Unione Europea e la “costituzionalizzazione” dell’Eurozona, 2015, The Federalist; pag. 5
7 Cfr. CONDINANZI, L’Unione Europea tra integrazione e differenziazione, 2015, Federalismi.it, pag.8 ss.
8 Cfr. G.L. Tosato, Per un rilancio dell’Europa – Le ragioni della flessibilità, Firenze, 2006; pag.9, §7 ss.
9 Ibidem; pag.9
10 Ibidem; pag. 11
11 Op. Cit. pag.31 §5
12 Cfr. Protocollo n.19
13 Daniel Thym, “United in diversity” – The integration of enhanced cooperation into the European Constitutuional Order, German Law Journal, Vol.06 No.11
14 HANS KELSEN, Allegemeine Staatslhere 165 (1925), traduzione dell’autore
15 GEORG JELLINEK, Staatslhere 642 (Seconda edizione 1905), traduzione dell’autore
16 Cfr. Bruno de Witte, Old Flexibility, in Constitutional Change in the EU, pag. 31-58
17 A.TIZZANO, Cooperazione rafforzata e flessiblilità, in DUE,2001, p.460 ss; A.CANNONE, Le cooperazioni rafforzate. Contributo allo studio dell’integrazione differenziata, Bari, 2005, p.19; U. VILLANI, Istituzioni di Diritto dell’Unione Europea, Bari, 2010, p.89 ss.
18 P. FOIS, Applicazione differenziata e flessibilità nel diritto dell’Unione Europea, p.35
19 Così A. TIZZANO, op.cit., p.460. Per quanto riguarda l’uso del termine “flessibilità” in relazione all’esigenza di “ovviare alla rigidità del principio di attribuzione”v. R. ADAM, A. TIZZANO, Lineamenti di Diritto dell’Unione Europea, Torino, 2010, II ed., p.31
20 G.L.TOSATO, op.cit, pag.11
21 G.L.TOSATO, op.cit, pag.18
22 Articoli 43-45 TUE a cui si affiancavano gli articoli 11 e 11A TCE per il pilastro comunitario, gli articoli 27A-27E TUE per le disposizioni relative alla politica estera e di sicurezza comune e gli articoli 40, 40A e 40B TUE per le disposizioni in tema di cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.
A tali articoli, è doveroso aggiungerne altri che non disciplinano manifestatamente il regime giuridico dellle cooperazioni rafforzate, ma che tuttavia prevedono significative implementazioni dell’istituto: Art.44 TUE Cooperazione nel quadro di una missione europea in materia di difesa; Art.45 TUE Cooperazione nel quadro dell’Agenzia europea di difesa; Art.46 TUE Cooperazione strutturata permanente nel settore della difesa; Art. 82 e 83 TFUE Cooperazione rafforzata in materia penale; Art. 86 Cooperazione rafforzata sulla creazione di una procura europea; Art.87 Cooperazione rafforzata in materia di polizia.
24 Si pensi, ad esempio, agli art. 82 e 92 par.2, lett. C Trattato CEE
25 Cfr. protocollo n.14 sulla politica sociale, allegato al Trattato di Maastricht
26 M. CONDINANZI, L’Unione Europea tra integrazione e differenziazione, federalismi.it (2015);
pag.7
27 Ibidem pag. 8
28 Ibidem pag.7-8
29 M. CONDINANZI, L’Unione Europea tra integrazione e differenziazione, federalismi.it (2015);
pag.12
30 Ipotesi che hanno aperto la strada a tale iter procedurale sono senza dubbio rinvenibili in talune
dottrine quali, tra le più importanti, quella di VLAD COSTANTINESCO, Les clauses de
coopération renforcée, REVUE TRIMESTRELLE DE DROIT EUROPEEN751,752 (1997) (citando
RENAUD DEHOSSE)
31 Corte giust. 16 aprile 2013, cause riunite C-274/11 e C/295/11, Spagna e Italia c. Consiglio, punto 53.
32 Art. 329, par. 1, comma 2; TFUE
33 Art. 329, par.2 TFUE
34 Art. 331, par.2; TFUE
35 Questo è quanto emerge dall’art.328 par. 1 comma 1, TFUE; disponendo che le cooperazioni rafforzate, al momento della loro instaurazione, “sono aperte a tutti gli Stati membri”, fatto salvo il rispetto delle eventuali condizioni stabilite, per la partecipazione, dalla decisione di autorizzazione. Stessa condizione è inoltre prevista per la partecipazione successiva, che “resta possibile in qualsiasi altro momento” per tutti gli Stati inizialmente non aderenti. Il secondo comma dell’art. 328, par.1 TFUE, pone un dovere di best effort in capo alla commissione e agli Stati che sono già parte della cooperazione rafforzata, i quali si adoperano col fine di promuovere la partecipazione del “maggior numero possibile di stati membri”.
36 E’ evidente la differenza tra il principio di apertura al quale sono soggette le cooperazioni rafforzate
e la rigidità che caratterizza i regimi di opting out che, una volta entrati in vigore, possono essere
abrogati, con riferimento ad uno o più Stati membri, solo mediante una revisione dei Trattati. Cfr. H
KORTENBERG, Closer cooperation in the Treaty of Amsterdam; N. VON ONDARZA,
Strenghtening the Core of Splitting Europe? – Prospects and Pitfalls of a Strategy of Differentiated
Integration, cit. spec. p.10
37 Cfr. art. 42, par. 1 TUE
38 L’integrazione differenziata nel Trattato di Lisbona, LUCIA SERENA ROSSI, Sud in Europa,
2008; pag.2
39 Cfr. art. 48 TUE
40 Cfr. U. DRAETTA, Elementi di Diritto dell’Unione Europea. Parte istituzionale, Milano, 2009,
pag. 92; G.GAJA, A. ADINOLFI, Introduzione al Diritto dell’Unione Europea, Bari-Roma, 2010,
pag.124; U. VILLANI, Bari, 2010, pag. 94.
41 Si tratta, precisamente, di Belgio, Bulgaria, Germania, Spagna, Francia, Italia, Lettonia,
Lussemburgo, Ungheria, Malta, Austria, Portogallo, Romania e Slovenia.
42 In seguito all’adesione della Lituania (cfr. la decisione 2012/714/UE della Commissione, del
21 novembre 2012, in GUUE L 323, del 22 novembre 2012, p. 18) e della Grecia (cfr. la
decisione 2014/39/UE della Commissione, del 27 gennaio 2014, in GUUE L 23, del 28 gennaio 2014, p. 41), che, pur figurando tra gli Stati che avevano presentato la richiesta di cooperazione rafforzata alla Commissione, aveva poi deciso di ritirare la propria richiesta.
43 Regolamento (UE) n. 1259/2010 del Consiglio, del 20 dicembre 2010, relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale (GUUE L 343, del 29 dicembre 2010, p. 10), adottato sulla base dell’autorizzazione concessa con la decisione 2010/405/UE del Consiglio, del 12 luglio 2010, che autorizza una cooperazione rafforzata nel settore del diritto applicabile in materia di divorzio e di separazione legale (GUUE L 189, del 22 luglio 2010, p. 12).
44 Regolamento (UE) n. 1257/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2012, relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore dell’istituzione di una tutela brevettuale unitaria (GUUE L 361, del 31 dicembre 2012,p. 1) e regolamento (UE) n. 1260/2012 del Consiglio, del 17 dicembre 2012, relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore dell’istituzione di una tutela brevettuale unitaria con riferimento al regime di traduzione applicabile (GUUE L 361, del 31 dicembre 2012, p. 89). La relativa decisione di autorizzazione del Consiglio 2011/167/UE, del 10 marzo 2011 (GUUE L 76, del 22 marzo 2011, p. 53) è stata impugnata con ricorsi per annullamento da parte di Spagna e Italia, ricorsi respinti dalla Corte di giustizia con la sentenza del 16 aprile 2013, cause riunite C-274/11 e C-295/11, Spagna e Italia c. Consiglio. Successivamente, la Spagna ha impugnato ex art. 263 TFUE anche i citatiregolamentinn. 1257/2012e 1260/2012: l’avvocato generale Bot, nelle sue conclusioni presentate in data 18 novembre 2014 (rispettivamente, causa C-146/13, Spagna c. Parlamento e Consiglio e causa C-147/13, Spagna c. Consiglio), ha proposto alla Corte di respingere entrambi i ricorsi.
45 La cooperazione rafforzata in questione trova origine in una proposta di direttiva del Consiglio [COM(2011) 594 final] concernente un sistema comune d’imposta sulle transazioni finanziarie e recante modifica della direttiva 2008/7/CE, presentata dalla Commissione il 28 settembre 2011. Essendo divenuto evidente che tale proposta non avrebbe potuto beneficiare di sostegno unanime in seno al Consiglio in un futuro prevedibile, undici Stati membri (Belgio, Germania, Estonia, Grecia, Spagna, Francia, Italia, Austria, Portogallo, Slovenia e Slovacchia) hanno comunicato alla Commissione che intendevano instaurare tra loro una cooperazione rafforzata nel settore in questione. Si è giunti, così, all’adozione della decisione 2013/52/UE del Consiglio, del 22 gennaio 2013, che autorizza una cooperazione rafforzata nel settore dell’impostasulle transazioni finanziarie, in GUUE L 22, del 25 gennaio 2013, p. 11ss. La proposta di direttiva conseguentemente presentata dalla Commissione [COM(2013) 71 final] risulta, allo stato attuale, ancora in discussione.
46 Si tratta, come visto: (i)dei ricorsi di Spagna e Italia avverso la decisione di autorizzazione del Consiglio con riguardo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della tutela brevettuale unitaria, respinti con sentenza della Corte di giustizia del 16 aprile 2013, cause riunite C-274/11 e C-295/11, Spagna e Italia c. Consiglio; (ii) dei ricorsi proposti dalla Spagna avverso i regolamenti nn. 1257/2012 e 1260/2012 (adottati in attuazione della suddetta cooperazione rafforzata) e ad oggi pendenti dinanzi alla Corte di giustizia (causa C-146/13, Spagna c. Parlamento e Consiglio e causa C-147/13, Spagna c. Consiglio); (iii) del ricorso promosso dal Regno Unito avverso la decisione del Consiglio che autorizza una cooperazione rafforzata nel settore dell’imposta sulle transazioni finanziarie, respinto con sentenza della Corte di giustizia del 30 aprile 2014, causa C-209/13, Regno Unito c. Consiglio).
47 Lo spazio di Schengen comprende 22 dei 28 paesi dell’UE. Bulgaria, Croazia, Cipro e Romania vi aderiranno successivamente. Irlanda e Regno Unito hanno aderito parzialmente e mantengono i propri controlli alle frontiere. Altri quattro paesi (Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera) fanno parte dello spazio di Schengen.
48 Trattato di Prüm concluso il 27 maggio 2005 tra Belgio, Germania, Spagna, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi ed Austria ai fini della cooperazione transfrontaliera per contrastare terrorismo, criminalità transfrontaliera e migrazione illegale.
49 Perspectives de la coopération renforcée dans l’Union européenne, Commmissariat General du Plan, 2004, §5, pag.38
50 J. ZILLER, Le traité de Prum : Une vraie-fausse coopération renforcée dans l’Espace de sécurité de liberté et de Justice, European University Institute ; LAW No. 2006/32, pag.2
51 Il Titolo IV raggruppa le seguenti materie:
- Libera circolazione delle persone
- Controllo delle frontiere esterne
- Asilo, immigrazione e tutela dei diritti dei cittadini di paesi terzi
- Cooperazione giudiziaria in materia civile
Definite come questioni di interesse comune, in precedenza erano disciplinate dalle norme del Titolo VI del trattato sull’Unione europea (chiamato “terzo pilastro”).
52 Proposta di regolamento che istituisce la Procura europea, Consiglio dell’Unione Europea, Fascicolo interistituzionale:2013/0255 (APP), Bruxelles, 31 gennaio 2017.
53 Cfr. G.GAJA, Introduzione al diritto comunitario, Laterza, Bari-Roma, 1996, p. 142 ss.
54 Cfr. ENZO CANNIZZARO, Sui rapporti fra il sistema della cooperazione rafforzata e il sistema delle relazioni esterne della Comunità, Il Diritto dell’Unione Europea, 2-3/1998, op.cit. pag. 332
55 Ibidem, pag. 333
56 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (versione consolidata), Parte quinta – Azione esterna dell’Unione, Titolo V – Accordi internazionali, Articolo 218 (ex articolo 300 del TCE).
L’articolo 218 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) stabilisce le procedure e le competenze delle istituzioni dell’UE riguardo alla negoziazione e all’adozione di accordi tra l’Unione e i paesi terzi o le organizzazioni internazionali. L’articolo definisce le rispettive competenze del Consiglio, della Commissione europea o dell’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, del Parlamento europeo e della Corte di giustizia dell’Unione europea nel contesto della procedura.
In generale, il Consiglio ha la facoltà di avviare negoziati, adottare le direttive di negoziato e firmare e concludere accordi. La Commissione (o l’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza per le questioni di politica estera e di sicurezza comune) presenta raccomandazioni al Consiglio per avviare i negoziati in vista di un accordo. La previa approvazione del Parlamento europeo è una condizione necessaria affinché il Consiglio possa concludere alcuni tipi di accordi, tra cui:
i)accordi di associazione;
ii)accordi sull’adesione dell’UE alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU);
iii)accordi che hanno ripercussioni finanziarie considerevoli per l’UE;
iv)accordi che creano un quadro istituzionale specifico (per esempio quando gli accordi creano un comitato misto con poteri decisionali);
v)accordi che riguardano settori ai quali si applica la procedura ordinaria oppure la procedura legislativa speciale qualora sia necessaria l’approvazione del Parlamento europeo.
In tutti gli altri tipi di accordi, il Parlamento europeo deve essere consultato.
Su richiesta di un paese dell’UE, il Consiglio, la Commissione o il Parlamento e la Corte di giustizia possono fornire un parere sulla compatibilità di un accordo previsto rispetto ai trattati dell’UE.
Il Consiglio può agire sulla base di una maggioranza qualificata dei suoi membri, tranne in aree in cui si richiede normalmente l’unanimità, ad esempio nel caso di accordi riguardanti l’adesione dell’UE alla CEDU.
È applicato dal 10 gennaio 1958.
57 Articolo 37(ex articolo 24 del TUE): “L’Unione può concludere accordi con uno o più Stati o organizzazioni internazionali nei settori di pertinenza del presente campo.”
Copertina: Celebrazione dei 60 anni dei Trattati di Roma, Roma marzo 2017. Editorpress
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