Nell’ambito dei procedimenti giudiziari vi sono fasi e situazioni per le quali è richiesto l’intervento di esperti in materia relazionale, sociale, culturale per poter meglio comprendere e chiarire date circostanze, per valutare l’attendibilità, l’affidabilità e la coerenza di dichiarazioni rese, per ricostruire, basandosi sui ricordi, eventi precedentemente accaduti.
A cura di Antonio Virgili
La ricostruzione di motivazioni, percezioni, valutazioni e nessi tra gli eventi è particolarmente delicata nelle procedure che coinvolgono i minorenni, ciò specificamente per il fatto che il cervello dei minorenni è in fase di trasformazione abbastanza intensa e questo dà adito a possibili maggiori distorsioni, manipolazioni, interpretazioni opache. Si pone, ad esempio, l’esigenza di ascoltare il minorenne che ha subìto, o che abbia realizzato, un reato, per appurare quanto sia accaduto nel modo più ampio e dettagliato possibile così da fugare dubbi ed ipotesi alternative, oppure si devono valutare situazioni di possibile affido od altre circostanze problematiche minorili. Ancora più cruciali, nel caso dei minorenni infra-diciottenni (cioè tra i 14 ed i 18 anni), l’individuazione della capacità di intendere, della capacità di volere, della coscienza, della consapevolezza e della volontà.
Come si è avuto modo di rilevare in altra sede[1] si tratta di quesiti che presuppongono almeno due insiemi di fattori:
- La capacità strumentale e disciplinare di comprendere se le affermazioni attuali del minorenne abbiano i requisiti e le caratteristiche di cui sopra;
- La possibilità di verificare in che misura, le affermazioni rispecchino gli eventi precedenti dei quali si chiede conto, ovvero se sia possibile ricostruire con precisione oggi quanto è accaduto tempo addietro e quanto possa essere attendibile la memoria degli eventi.
Tali assunzioni e fattori, purtroppo, non risultano riscontrabili in assoluto ed i conseguenti modi di procedere si prestano così a possibili approssimazioni nelle interpretazioni, a sopravvalutare le possibilità tecniche e scientifiche di ricostruzione e ad attribuire prevalentemente connotazioni psicologizzanti alle analisi. Queste possibili fonti di errore o distorsione, come detto, si accrescono quando le ricostruzioni riguardano dei minorenni. Lo sviluppo rapido delle neuroscienze e delle ricerche cliniche sta infatti sollevando seri dubbi sulla correttezza di alcune informazioni che possono essere state acquisite e suggerisce procedure molto stringenti da seguire per ridurre al minimo (ma non azzerare con certezza) anche i possibili rischi di manipolazione involontaria, che con i più giovani sono più probabili e frequenti[2], talvolta anche nei casi di audizione protetta per incidente probatorio, previsto proprio per ridurre i rischi di rielaborazione e contaminazione della prova (art. 392 c.p.p.).
La memoria, per la rievocazione dei fatti e delle motivazioni di un dato momento, è l’elemento chiaramente fondamentale, tuttavia varie ricerche hanno mostrato che quanto più un evento è collegato a situazioni stressanti, emotivamente cariche, o a stati di paura, tanto più l’alterazione nel funzionamento ordinario di alcune aree cerebrali tende a deformare o a cancellare dei dati, per cui la memoria spesso non riesce a portare allo stato cosciente gli eventi, o lo fa con distorsioni involontarie.
Avendo a riferimento la cosiddetta trilogia mentale, cioè pensiero, emozione e motivazione, immaginare di ricostruire ex-post, quale sia stato o possa essere stato lo stato emozionale di una persona adolescente, in un contesto ove sia presente l’azione perturbatrice di situazioni traumatiche o fortemente stressanti, è una sfida che anche i migliori ricercatori del più attrezzato laboratorio psico-fisiologico universitario affronterebbero con molte cautele e distinguo. Pretendere di farlo, come nelle frequenti situazioni reali nelle quali spesso opera un Consulente o Perito, con tempi e costi contenuti, significa spingere gli esiti delle analisi ad appiattirsi su parte della letteratura prevalente, ancorata a logiche spesso di ricerca e non applicative, basata su di una casistica statistica non sempre adeguata e, non ultimo, talvolta soggetta alla cultura sociale prevalente su quel tema[3].
Detto in altri termini, si finirà probabilmente con il dimostrare solo ciò che già si presumeva in partenza di voler dimostrare e che difficilmente potrebbe essere messo in discussione con i tempi e mezzi disponibili. Le memorie episodiche emergono alla coscienza grazie alla corteccia prefrontale, che consente il recupero di memorie a lungo termine, affinché ciò possa avvenire, secondo vari studi, è necessario essere stati coscienti dell’informazione che la sostanzia al momento dell’esperienza originaria.
Ma si può essere sempre pienamente coscienti di quanto accade in situazioni di forte stress o trauma?
Le situazioni di stress, di disturbi da stress post-traumatico e quelle di depressione, accomunate dall’aumento del cortisolo[4], interferiscono con il funzionamento della corteccia prefrontale ostacolando non solo la presa di decisioni razionali ma anche la memorizzazione, con la conseguenza che risulta poi ancor più difficoltoso riportare alla memoria eventi verificatisi dopo stress traumatici o in situazioni di forte perturbazione (incidenti, lutti, violenze, ecc.).
Lo stress compromette la memoria esplicita mentre potenzia le funzioni mnestiche implicite dei sistemi emotivi[5], inoltre, la scarsa affidabilità delle emozioni rievocate e la fallibilità delle testimonianze oculari possono essere ricondotte anche allo stato emotivo molto diverso rispetto a quello vissuto al momento dell’esperienza originale. La rievocazione avviene infatti in un contesto nel quale si cerca di razionalizzare, di collegare causa ed effetto, di collocare in sequenza temporale quanto potrebbe essere stato percepito come quasi sincronico. Inoltre, quando il trauma riguardi minorenni, la loro scarsa esperienza potrebbe portarli a vivere l’evento secondo modalità diverse ed estranee ai criteri prevalenti del mondo adulto.
Il modo abituale di studiare sentimenti ed emozioni è il self report, chiedendo alle persone di riflettere retrospettivamente su alcune esperienze emotive pregresse. Tuttavia le valutazioni attinte alla memoria sono definite, secondo una parte consistente degli studi, come particolarmente aleatorie. Ciò che si ricorda di una esperienza emotiva è un riflesso imperfetto. Ad esempio le persone tendono a ricordare come si sentivano alla fine di un episodio emotivo, più che come hanno vissuto l’intera esperienza. Il significato emotivo rievocato di un’esperienza non rispecchia necessariamente l’esperienza complessiva, accade così che le distorsioni della memoria trascendano l’intensità dell’esperienza e arrivino a interessare il contenuto di ciò che si è rievocato e i ricordi di esperienze emotive sono spesso significativamente difformi da quanto realmente accaduto in quelle circostanze[6].
Anche perché, come è stato sperimentato, il cervello reagisce pure ad alcuni stimoli percepiti ma non in modo conscio, non c’è quindi consapevolezza di tali segnali e stimoli sebbene essi siano percepiti dal cervello. Più volte, le memorie sono costruzioni assemblate nei momenti di recupero e l’esperienza originale è solo uno degli elementi usati nella costruzione, essendo influenzata anche da ciò che la persona vede e memorizza successivamente a quanto accaduto. A ciò si aggiunga che il ricorso alle parole per esprimere stati ed emozioni interne accresce la quota di quanto è deformato dalle parole stesse scelte, suggerite, immaginate. Ci sono anche casi nei quali l’assimilazione emotiva di stimoli dei quali non si ha esperienza conscia possono modificare la percezione delle situazioni e della loro memoria[7].
La capacità di essere modificati dall’esperienza è una caratteristica di molti sistemi cerebrali, indipendentemente dalla loro funzione specifica, così che quanto accaduto in momenti successivi, finisce molto probabilmente con l’alterare, in modo difficile da controllare, i dati della memoria e la loro organizzazione. Inoltre, nei contesti di indagine, o a volte anche in quelli terapeutici, reiterati quesiti posti sullo stesso tema, formulazioni per ipotizzare le caratteristiche degli eventi, possono creare – il termine tecnico più espressivo è “impiantare”- progressivamente pseudo-memorie e falsi ricordi, che sarà poi difficile o impossibile distinguere dagli altri.
Si genera talvolta un meccanismo di approssimazioni che, quasi inesorabilmente, si cumula e stratifica in relazione alle motivazioni ed alle emozioni relative ad un minorenne e ad un dato evento: descrizioni e parole usate dalle persone coinvolte e dai testimoni, dalle forze dell’ordine, dagli avvocati, dai magistrati, dai consulenti, ecc., meccanismo che rischia di produrre distorsioni non per malafede o incapacità ma proprio per le normali diverse competenze e attitudini di ciascuna persona, ognuna con il proprio vocabolario personale e professionale, con le proprie esperienze e valori[8].
Così che risulti quasi aleatorio venire a capo, in modo attendibile, di una emozione o di una motivazione ricostruite a distanza temporale dall’evento. L’incongruenza è forse pretendere di comprendere e spiegare una emozione altrui per comprendere un comportamento che, dato non secondario, può non essere direttamente collegato ad una data emozione o motivazione. Su questo aspetto la ricerca degli ultimi anni evidenzia sempre più le necessarie cautele nell’adottare collegamenti di questo tipo: i comportamenti hanno una variabilità ampia rispetto alle percezioni, alle emozioni e alle motivazioni.
Cercare sempre una congruenza interna nella ricostruzione, che potrebbe esserci ma può anche non esserci, è una forzatura; la sua assenza, comunque, non indicherebbe necessariamente la presenza di un disturbo mentale oppure di una sicura “immaturità”[9] del minorenne.
In sintesi, i sempre più approfonditi e numerosi studi di neuroscienze chiariscono e confermano alcuni rischi insiti in procedure di ricostruzione di eventi, specialmente quando siano coinvolti i minorenni, il cui cervello è in prolungata fase di modificazione. I rischi di distorsioni, interpretazioni involontariamente preordinate, equivoci terminologici, scarsa corrispondenza agli eventi accaduti, non può ovviamente indurre ad annullare tali procedure, spesso fondamentali in contesti giudiziari. L’importante è avvalersi di esperti di provata esperienza e scientificamente aggiornati, che conducano le ricostruzioni e le verifiche con metodo attento, attraverso procedure che devono essere interdisciplinari. Ѐ pure necessario che si tenga conto dei contesti sociali e culturali, per prevenire il rischio di “errore di attribuzione”, secondo le definizioni di Heider e Ross10 .
Allo stesso tempo gli operatori del diritto dovrebbero forse porre quesiti congruenti con le tecniche, i tempi e le procedure concretamente adottabili, evitando sia di sopravvalutare gli esiti sia di porli a margine in quanto non significativi rispetto ad attese che si originano in contesti giuridico-procedurali che sono epistemologicamente diversi sia da quelli delle neuroscienze sociali e psicologiche sia da quelle mediche e fisiche, con tutto ciò che ne deriva circa le terminologie, le metodologie, i margini di errore e le reciproche compatibilità di esiti. Posti i quesiti, le risposte ottenute non siano solo documentazioni aggiuntive da allegare, ma o sostanzialmente marginali o, all’opposto, le uniche determinanti nell’orientare gli esiti.
Note
[1] Virgili A., “Neuroscienze ed imputabilità dei minorenni”, in Archives of Neurosciences and Psychosomatics, Anno VII, 2018 e, più in generale, Virgili A., “The Adolescent brain”, in Archives of Neurosciences and Psychosomatics, Anno V, 2016
[2] Si ricorda che, ad esempio, in casi di abuso, per minorenni al di sotto di 8-10 anni è sconsigliata la tecnica dell’intervista ed anche il colloquio-dialogo pone notevoli difficoltà; ogni qual volta il contenuto delle dichiarazioni raccolte è determinante per orientare il procedimento ed i suoi esiti, occorre, a maggioro ragione, ridurre al minimo il rischio di errori.
[3] Si pensi a quanto siano mutati negli anni valori e percezioni connesse alle donne, alla sessualità, alle differenze etniche, ecc.
[4] Un alto livello di cortisolo risulta interferire pure con la risoluzione dei conflitti motivazionali
[5] Come illustrato in: Le Doux J., Il cervello emotivo, Baldini & Castoldi, Milano, 1999
[6] Un approfondimento su questi aspetti è in: Le Doux J., Synaptic Self, Viking Penguin, New York, 2002
[7] Un caso tipico è quello dell’abuso sessuale di minori, le cui procedure di rievocazione, indagine, confronto, ecc. si sono rivelate in vari casi più traumatiche dell’evento quale era stato percepito in origine dall’abusato.
[8] Si pensi anche alla diffusa presunzione, culturalmente tradizionale ma rinforzata indirettamente anche da alcuni movimenti basati sul genere, che la violenza contro i minori o le donne sia solo maschile, quasi escludendo a priori la possibilità che l’abusante possa essere una donna. Si rinvia in proposito alle ancora poche ricerche disponibili, in Italia ad esempio quelle della Petrone (Petrone L., Pedofilia rosa, Magi, 2011), ed alla più ampia letteratura internazionale.
[9] Gardner W, Scherer D, Tester M., “Asserting scientific authority: Cognitive development and legal rights”, in Am Psychol., n. 44, 1989 10 Heider F., The psychology of interpersonal relations, Wiley, N.Y., 1958; ed il contributo di Ross L. in Berkowitz L., Advances in experimental social psychology, Academic Press, Orlando, 1977
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