Il contratto di lavoro a tempo determinato.


Il rapporto di lavoro a termine è stato nel corso del tempo oggetto di diverse rivisitazioni normative. Le svariate regolamentazioni rappresentano il frutto dei vari Governi che si sono succeduti nella nostra Repubblica e i quali avevano una differente visione ideologia del rapporto di lavoro a termine. Questo ha spinto il legislatore ha riformare il rapporto di lavoro in parola con l’obiettivo di rendere più o meno flessibile la gestione del tempo determinato e nell’ottica più ampia dello sviluppo di politiche del lavoro orientate a contrastare la precarietà lavorativa.


 

Seguendo un filo cronologico di produzione legislativa, possiamo affermare che il primo intervento in materia di rapporti di lavoro a tempo determinato si è avuto con l’entrata in vigore della Legge n. 230 del 1962. L’apposizione di un termine di durata preventivo – in qualità di eccezione rispetto alla regola[1] – era previsto soltanto al verificarsi di specifiche e tassative ipotesi, quali: esigenze di carattere stagionale, come determinate dal D.P.R. n. 1525/1963; per sostituzione di lavoratori assenti aventi diritto alla conservazione del posto di lavoro; lavorazioni a fasi diverse; picchi di utenza non fronteggiabili con il normale organico, ma previa autorizzazione rilasciata dall’Ispettorato del Lavoro; per la partecipazione a spettacoli o programmi radiofonici e televisivi. Inoltre, il testo prevedeva la possibilità di stipulare una sola proroga pari alla metà della durata iniziale del rapporto e solo per esigenze straordinarie e imprevedibili.
Si rendeva pressoché impossibile l’attuazione di un simile rapporto di lavoro, normato con forti limitazioni relative alla flessibilità di utilizzo.
In seguito, con la direttiva del Consiglio 99/70/CE, recepita attraverso il D. Lgs. n. 368/2001, vi è una forte apertura orientata ad una maggior flessibilità di gestione dei rapporti di lavoro a tempo determinato. Nonostante la direttiva non imponesse l’utilizzo di una clausola giustificatoria per l’instaurazione del contratto a termine, nel 2001 il legislatore ritenne necessario agganciare l’apposizione di un termine preventivo “a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”.  Questo precetto molto generale ha lasciato arbitrarietà ai contratti di lavoro individuali di dettagliare le ragioni utili al fine dell’apposizione del termine, generando un forte dibattito dottrinale e giurisprundenziale incentrato sul significato concreto e pratico delle esigenze su menzionate. Esso si concluse individuando la temporaneità delle esigenze aziendali come elemento qualitativo e giustificatorio sul quale le aziende basavano la scelta di optare per un contratto a termine anziché a tempo indeterminato. La Legge n. 92/2012 (conosciuta come la Legge Fornero) ha ampliato l’utilizzo flessibile del rapporto di lavoro a termine prevedendo la possibilità di stipulare un primo rapporto a termine, di durata non superiore a 12 mesi senza l’obbligo di apposizione di una qualsivoglia causale (cosiddetto contratto acausale)[2].
Il D. Lgs. n. 368/2001, così come riformato dalla Legge Fornero, è stato oggetto di importanti interventi da parte del legislatore volti a introdurre una sempre maggior acausalità dei contratti a termine e a semplificarne la gestione attraverso l’emanazione della Legge n. 78/2014, con la quale viene completamente eliminato l’obbligo di apporre una causale giustificatoria. Al contempo, viene introdotto il conosciuto limite di contingentamento: il personale a tempo determinato non poteva superare il limite del 20% del personale a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione, oppure al primo giorno di data di attività. Come è possibile notare, viene messo in atto un metodo diverso utile a contenere la stipula di rapporti a tempo determinato indiscriminata e alla verifica delle esigenze oggettive che spingono le aziende a scegliere questo tipo di rapporto. La scelta legislativa descritta pone una netta linea di confine fra limite qualitativo-oggettivo quale era l’apposizione della causale e un limite quantitativo individuato col limite di contingentamento, non richiedendo più la verifica della legittimità delle causali e della loro temporaneità[3].
La disciplina oggi vigente che norma i contratti a tempo determinato e, più in generale, tutte le tipologie di rapporto di lavoro subordinato previste dal nostro ordinamento è il cosiddetto Testo unico dei contratti di lavoro, D. Lgs. n. 81/2015, in vigore dal 25 giugno 2015 e inserito nella più ampia produzione normativa di riforma rientrante nel Jobs Act, così come poi modificato dal D. L. n. 87/2018 (Decreto Dignità) e la relativa Legge di conversione n. 96/2018, artt. 19-29.
Il rapporto di lavoro a termine intercorso tra il medesimo datore di lavoro e lavoratore può avere una durata massima di 24 mesi.
Un ulteriore contratto di durata massima di dodici mesi può essere stipulato presso la direzione territoriale del lavoro competente. Il termine finale può essere individuato o attraverso una data certa oppure con riferimento ad un evento al verificarsi del quale il rapporto cessa: si tratta del termine per relationem[4]. Un esempio calzante potrebbe essere l’assunzione a termine di un lavoratore per sostituzione di una lavoratrice assente per maternità. Non essendo preventivamente certo il rientro dalla maternità, anziché inserire nel contratto una data certa, può essere sufficiente indicare come termine il rientro in servizio della lavoratrice sostituita, anche se quest’ultima a seguito della maternità continua l’assenza attraverso l’utilizzo di istituti come le ferie[5].
La normativa novellata dal Decreto Dignità[6] prevede l’obbligatorietà dell’apposizione della causale in caso di un contratto di durata superiore a 12 mesi, in caso di rinnovo del contratto, di proroga del contratto a termine che sfora i primi 12 mesi o anche in caso di ulteriore contratto stipulato innanzi all’ITL competente. Quando parliamo di causale non dobbiamo confondere l’indicazione contenuta dal D. Lgs 81/2015 con le causali previste dal vecchio testo D. Lgs. 368/2001. Sono individuate in maniera puntuale le causali utili e legittimanti di un contratto a termine, quali: esigenze temporanee ed oggettive, estranee all’ordinaria attività; per sostituzione di altri lavoratori, ad esempio per maternità, ferie, malattia; per esigenze connesse ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria. Relativamente a questa causale, è bene specificare che i requisiti della temporaneità, della significatività e della non programmabilità devono sussistere congiuntamente. Un esempio di incremento temporaneo, significativo e non programmabile potrebbe essere la necessità di un’azienda di vendere tutto lo stock merce tenuta a magazzino per la ristrutturazione del capannone stesso; oppure nel caso di esigenze temporanee, oggettive ed estranee all’attività ordinaria si potrebbe pensare all’introduzione di una nuova linea di produzione in via sperimentale per un numero preordinato di mesi e mai attuato in precedenza. Un esempio contrario, invece, sono i saldi stagionali. Questi ultimi, infatti, anche se vedono un incremento dell’attività lavorativa durante determinati periodi come le vacanze natalizie sono programmabili e prevedibili da parte delle aziende facendo venir meno una dei presupposti delle causali stesse.
Il rapporto di lavoro a termine, per essere legittimato, deve essere formalizzato attraverso un contratto scritto. La mancanza della forma scritta non produce la nullità del contratto in toto in quanto essa è prevista ad substantiam: pertanto, laddove dovesse mancare la forma scritta o anche l’apposizione della firma da parte di un dei soggetti del contratto, il rapporto si considera a tempo indeterminato per inesistenza del termine. Il numero di proroghe stabilito è pari a 4 nel rispetto dei 24 mesi così come i rinnovi Si ritiene opportuno porre nuovamente l’attenzione sulla differenza tra proroga e rinnovo di un contratto a tempo determinato; in particolare:

  1. a) per proroga si intende il protrarsi nel tempo del medesimo contratto attraverso il rinvio di un termine o di una scadenza;
  2. b) per rinnovo si intende la “rinegoziazione” con i medesimi soggetti delle condizioni contrattuali, attraverso l’instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro, e con un distacco temporale fra il primo e il secondo contratto e fermo restando il mantenimento della stessa categoria legale e mansione[7].

La proroga è valida se le pattuizioni del contratto iniziale rimangano invariate con la sola eccezione dello spostamento del termine. Resta ferma la necessità delle causali qualora la stessa si protrae oltre 12 mesi. È richiesto inoltre il consenso scritto del lavoratore.
La reintroduzione delle causali non ha sostituito il limite di contingentamento che continua ad essere valido e resta confermato nella misura prevista dei precedenti testi normativi. Sono esclusi da questi limiti i contratti conclusi: nella fase di avvio di nuove attività, per i periodi definiti dai contratti collettivi; da imprese start-up innovative; per lo svolgimento di attività stagionali; per specifici spettacoli ovvero programmi radiofonici o televisivi; per sostituzione di lavoratori assenti; con lavoratori di età superiore a 50 anni; dalle università, istituti ed enti di ricerca e culturali con lavoratori chiamati a svolgere le attività indicate dalla norma.
Gli artt. 19-29 riportano anche un regime sanzionatorio per la violazione di alcune disposizioni. Qualora il numero delle proroghe sia superiore, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di decorrenza della quinta proroga. Qualora il lavoratore sia riassunto a tempo determinato entro dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore a sei mesi (meccanismo dello stop&go), il secondo contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato. Se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20 per cento fino al decimo giorno successivo e al 40 per cento per ciascun giorno ulteriore. Qualora il rapporto di lavoro continui oltre il trentesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi, ovvero oltre il cinquantesimo giorno negli altri casi, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.
E’ opportuno precisare che tanto per le proroghe, quanto per i rinnovi  i vincoli sopraindicati non operano con riferimento alle cosiddette start-up innovative, ai contratti conclusi per attività stagionali e nelle ipotesi indicate dai contratti collettivi.
La violazione del limite di contingentamento comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa pari al 20% della retribuzione per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni, se il numero di lavoratori assunti oltre il limite previsto è pari ad uno, qualora il numero di lavoratori assunti, invece, fosse superiore ad uno la sanzione amministrativa ammonterebbe al 50% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni.
E’ bene ricordare che, oltre i limiti su descritti per la stipula di un rapporto di lavoro a termine, la normativa dispone dei reali divieti di ricorso all’utilizzo del contratto a tempo determinato in casi individuati in maniera puntuale e certa. In base all’art. 20 del D. Lgs. n. 81/2015 il rapporto in parola non è ammesso: per la sostituzione di lavoratori in sciopero; presso unità produttive nelle quali si è proceduto nei sei mesi precedenti a licenziamenti collettivi in base alla legge n. 223/1991, che hanno riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni; presso unità produttive nelle quali sono operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione guadagni sempre con riferimento a lavoratori adibiti alle medesime mansioni; da parte di datori che non hanno effettuato la valutazione dei rischi (DVR). La violazione di tali disposizione determina la trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato.  Alla base di tali divieti vi è sicuramente l’intento del legislatore di contrastare eventuali abusi di quanti, denunciando crisi aziendali, col solo scopo di “scaricare” il proprio costo lavoro sulle casse statali e, al contempo, aumentare il proprio organico assumendo lavoratori in sostituzione[8].
Come si può notare, il rapporto a termine ha subito negli ultimi 30 anni perenni modifiche sia di grande rilievo che anche solo piccoli ritocchi. Negli ultimi mesi si è assistito all’ennesimo stravolgimento della normativa analizzata, col solo fine di incontrare le esigenze delle aziende e del tessuto economico colpito dall’emergenza epidemiologica Covid-19. Il legislatore ha rimosso o riscritto alcuni vincoli, anche se solo temporaneamente, relativamente all’apposizione delle causali, alla possibilità di rinnovare o prorogare i contratti a termine anche in presenza di accesso agli ammortizzatori sociali e senza il rispetto dello stop&go. In particolare sono tre gli articoli da prendere in considerazione seguendo l’evoluzione cronologica dei “decreti Covid” promulgati da marzo ad agosto: a. l’art. 19-bis del D. L. n. 18/2020 (cosiddetto Decreto Cura Italia) convertito con Legge n. 27/2020; b. l’art. 93 del D. L. n. 34/2020 (cosiddetto Decreto Rilancio) convertito con Legge n. 77/2020 così come poi modificato con D. L. n. 104/2020; c. l’art. 8 del D. L. n. 104/2020.
Con le recenti disposizioni normative è stata prevista la possibilità di rinnovare o prorogare i rapporti di lavoro a tempo determinato già in essere presso le unità produttive nel rispetto del termine di durata stabilito in 24 mesi e per i lavoratori adibiti alle stesse mansioni, per le aziende che hanno avuto accesso agli ammortizzatori sociali e, nella fattispecie, per le aziende che avevano presentato domanda di trattamento ordinario di integrazione salariale per periodi dal 23 febbraio per emergenza Covid; per le aziende che avevano già in corso un trattamento di integrazione salariale straordinario e per quelli iscritti al FIS che avevano presentato domanda di concessione per quello ordinario per emergenza Covid; per le aziende che usufruiscono della cassa integrazione in deroga per la durata della sospensione del rapporto. Viene meno sia il divieto precedentemente indicato che l’obbligo di rispettare lo stop&go. L’art. 19-bis in sede di conversione del Decreto legge è rubricato come segue “norma di interpretazione autentica in materia di accesso agli ammortizzatori sociali e rinnovo dei contratti a termine”. Questo ci fa capire che l’art. 19-bis non deve essere considerato come una semplice deroga agli artt. 20  e 32 del D. Lgs 81/2015. Tale tipologia di atto, ascrivibile alle fondi di produzione[9], a differenza della mera deroga ha efficacia ex tunc, ossia esprime i propri effetti in maniera retroattiva, andando a sanare le scelte dei datori di lavoro che hanno optato per le proroghe o rinnovi dei tempo determinato anche se avevano richiesto gli ammortizzatori sociali ante pubblicazione del D. L. 18/2020. Con l’art. 93 del D. L. n. 34/2020 è introdotta la possibilità di prorogare o rinnovare i contratti di lavoro subordinato a termine in essere alla data del 23 febbraio 2020 senza l’apposizione di alcuna causale e fino al 30 agosto 2020. Con la nota dell’Ispettorato Nazionale del lavoro n. 160/2020, è stato chiarito che la proroga doveva cessare alla data del 30 agosto e che si poteva disporre di ulteriore proroga acausale oltre il 30 agosto laddove la stessa avesse rispettato l’art. 19 del D. Lgs. 81/2015. Con tale disposizione, tutti i contratti che hanno esaurito il proprio periodo a-causale di 12 mesi possono essere liberamente prorogati o rinnovati senza dover apporre le causali di cui all’art. 19 del D. Lgs. 81/2015. La Legge di conversione n. 77 aveva aggiunto all’art. 93 il comma 1-bis, disponendo che i contratti a termine (oltre che a quelli di apprendistato) erano prorogati per una durata pari al periodi di sospensione dell’attività lavorativa in conseguenza dell’emergenza epidemiologica, attraverso una vera e propria proroga automatica. Tale meccanismo pone diversi questi, prima di tutto in ordine alla sua legittimità in quanto obbliga al permanere dell’assunzione oltre il termine liberamente pattuito tra le parti e quindi in contrasto con l’art. 41 della nostra Costituzione, con il quale si sancisce che l’iniziativa economica privata è libera.
In secondo luogo, l’articolo così costruito pone dei vuoti in merito alle procedure da seguire in caso di contratti che superano i 12 mesi e quindi necessiterebbero della causale, oppure in caso di contratti di 24 mesi che con l’automatica proroga supererebbero il limite di durato stabilito per legge, oltre al caso di assunzione per sostituzione che vede il rientrare il lavoratore sostituito venendo meno la causale giustificatoria del contratto stesso.
Nonostante i vari dubbi, il Decreto Legge n.104/2020 (Decreto agosto) ha abrogato il comma 1-bis, facendo cessare nell’immediato il meccanismo della proroga automatica dei contratti a termine. Oltre ad abrogare il su citato comma, il DL in parola ha operato una modifica all’art. 93 della Legge n. 77/2020 disponendo la possibilità di prorogare i contratti a termine in essere al 23 febbraio 2020 oltre i 12 mesi senza l’apposizione della causale fino al 31 dicembre 2020 ed in deroga alla previsione delle 4 proroghe massime e dello stop&go stabiliti dal  D. Lgs. 81/2015. La nota n. 713 del 16 settembre 2020 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro chiarisce i vuoti del Decreto Legge, informando che se il rapporto è già stato oggetto di quattro proroghe sarà comunque possibile prorogarne ulteriormente la durata per un periodo massimo di 12 mesi nel rispetto dei termini di durata massima stabilita in 24 mesi.
In aggiunta, gli ulteriori dodici mesi potranno portarsi anche nel corso del 2021. La disposizione, in quanto “sostitutiva” della disciplina previgente, consente di adottare la nuova proroga o il rinnovo “agevolato” anche qualora il medesimo rapporto di lavoro sia stato prorogato o rinnovato in applicazione del previgente art. 93 del D.L. n. 34/2020, pur sempre nel rispetto del limite di durata massima di 24 mesi.


Note

[1] Il rapporto di lavoro a termine è considerato l’eccezione rispetto alla “forma comune” dei rapporti di lavoro individuata nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Cfr. Il preambolo della direttiva 1999/70/ce

[2] Preteroti A., Contratto a tempo determinato e forma comune di rapporto di lavoro dopo il Jobs Act, Giappichelli Editore, 2016, pp. 9 e ss.

[3] Alessi C., Il lavoro a tempo determinato dopo il D. Lgs. 81/2015, in G. Zilio Grandi – M. Biasi (a cura di), Commentario breve alla riforma “Jobs Act”, Cedam, Padova, 2016, pp 19 e ss

[4] Corte di Cassazione, Sezione Lavoro civile, Sentenza n. 11921/2003

[5] Corte di Cassazione, Sezione L civile, Sentenza n. 24765/2019

[6] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/07/13/18G00112/sg

[7] Cfr. Fondazione Studi CNO Consulenti del lavoro, circ. 20.9.2018, n. 16

[8] Boccagurni E. E., Le assunzioni a termine dal “Cura Italia” al D. L. “Rilancio” Storia di un’occasione persa, ADAPT University Press, 2020, pp. 6

[9] Russo R., Le leggi d’interpretazione autentica al vaglio del rasoio di Occam, FrancoAngeli, 2017, pp. 11 e ss.


Foto copertina:Immagine web.Pmi

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