Il nuovo conflitto israelo-palestinese imperversa nella Striscia di Gaza mentre in Arabia Saudita si osserva con interesse.
A cura di Andrea Caropreso
Il contesto
La questione israelo-palestinese ha radici profonde. Affinché si possano comprendere le origini del conflitto e le conseguenze per l’ordine internazionale bisogna fare un passo indietro. Più precisamente alla fine del XIX secolo.
In quel contesto l’antisemitismo in Europa stava diventando un sentimento sempre più crescente mentre il sionismo si presentava come un movimento politico finalizzato a concretizzare l’autodeterminazione del popolo ebraico.
All’atto pratico della creazione dello Stato si cercò un luogo dove si sarebbero potuti insediare i coloni.
La scelta ricadde sull’area che apparteneva alla Palestina in quanto si credette che la connessione culturale e religiosa avrebbe aiutato l’integrazione con Gerusalemme. Tuttavia al momento della fondazione dello Stato d’Israele nel 1948 la reazione degli altri paesi del Golfo Persico fu di sostanziale sdegno nei confronti del neonato paese fondato su radici non islamiche. Tutto ciò si tradusse in una vera e propria guerra tra Israele e i circostanti paesi arabi, per quello che sarebbe stato soltanto il primo di una serie di conflitti che negli anni hanno esacerbato la complicata convivenza tra Gerusalemme e i suoi vicini di casa. Data chiave è il 1967 e la conseguente guerra dei sei giorni combattuta tra Israele e Siria, Giordania ed Egitto[1]. Fin dalla sua nascita nel 1948 lo Stato di Israele non aveva pressoché intrattenuto relazioni diplomatiche con gli altri vicini. In Egitto invece Nasser, ideatore del panarabismo, mise su una coalizione che avrebbe dovuto battere in una guerra lampo il neonato Stato israeliano in quanto venne a conoscenza della presenza di truppe di quest’ultimo al confine con la Siria.[2]
L’esito del conflitto fu però l’opposto. Israele consacrò infatti una posizione di forza nei confronti dei paesi confinanti e riuscì a vincere soprattutto grazie all’appoggio di Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania Ovest.
Per tutta risposta la fazione capeggiata da Nasser e appoggiata dal re saudita Faysal applicò una riduzione del 60% delle forniture di petrolio credendo che l’Occidente sarebbe andato in difficoltà.
L’Arabia Saudita infatti sebbene non fosse stata direttamente coinvolta nei conflitti, ha da sempre appoggiato la causa palestinese e criticato l’occupazione illegittima di Israele.
Non a caso non sono mai esiste relazioni ufficiali tra Israele e Riyadh, né tantomeno il paese è mai stato riconosciuto. Tuttavia la storica alleanza tra Stati Uniti e Arabia Saudita nonché tra Stati Uniti e Israele, baluardo occidentale in una regione (quella del Golfo Persico) a trazione antiamericana, ha fatto in modo che si potesse procedere verso una normalizzazione dei rapporti tra i due paesi. Normalizzazione che recentemente si era allargata anche agli Emirati Arabi Uniti e al Bahrein grazie agli accordi di Abramo, e che oggi si è invece congelata in virtù del più recente conflitto tra Israele e Gaza.[3] Occupata fino al 2005 quest’ultima ha progressivamente visto crescere il sentimento di rivalsa nei confronti degli occupanti indesiderati fino allo scoppio delle ostilità lo scorso 7 ottobre.
Quale futuro per Riyadh?
L’Arabia Saudita è un paese che in virtù delle vaste riserve petrolifere, dell’estensione del territorio e del ruolo di swing producer che incarna all’interno dell’OPEC, rappresenta un gigante regionale all’interno dell’area del Golfo Persico. Con la fine della guerra fredda e l’ascesa di molteplici potenze cosiddette revisioniste, antitetiche o quantomeno alternative all’ordine internazionale a guida statunitense, le ambizioni di questi paesi, tra cui l’Arabia Saudita, sono orientate a compiere uno storico passaggio da potenza regionale a potenza globale.
Nel caso di Riyadh il processo è cominciato soprattutto con l’ascesa del principe ereditario Mohammed bin Salman, leader de facto del paese a partire dall’anno in cui suo padre è diventato re nel 2015. Tra i più ambiziosi progetti c’è quello denominato Saudi Vision 2030 che mira ad attuare un piano programmatico volto alla diversificazione dell’economia. Affinché ciò possa avvenire Riyadh ha messo in campo una serie di strategie in termini di politica estera. Stando alla regione del Golfo Persico un obiettivo è stato quello di procedere verso la normalizzazione dei rapporti con Israele al fine di ridefinire l’alleanza con gli Stati Uniti e consolidare la propria leadership regionale.
Tuttavia lo scoppio delle ostilità a Gaza ha momentaneamente compromesso i passi in avanti che erano stati fatti in questo senso. Non è infatti un caso che i miliziani di Hamas, pur avendo una propria organizzazione, tipica di un attore non statuale, siano supportati da Teheran.[4]
Quest’ultima ha medesime ambizioni di leadership e sostiene altresì gli Houthi nel conflitto in Yemen, dove Riyadh capeggia una coalizione militare contro di essi.[5] A dire il vero, sarebbero rimasti degli ostacoli da superare prima della conclusione delle negoziazioni tra Israele e Arabia Saudita. Pertanto non sarebbe stato scontato l’esito positivo della trattativa. Ad ogni modo questi tentativi ambiziosi non sono del tutto naufragati.[6]
Nondimeno, le previsioni lasciano presagire che se anche la guerra non dovesse durare a lungo, il ripristino di questo avvicinamento non potrà concretizzarsi prima della fine del 2024 o addirittura 2025.[7]
Questo rappresenta per Riyadh un grande intoppo verso l’attuazione del proprio programma. Infatti affinché ciò possa avvenire entro i tempi prestabiliti il regno ha bisogno di stabilità all’interno della regione e un eventuale prolungamento o allargamento del conflitto potrebbe essere a dir poco deleterio.
In aggiunta bisogna rammentare che l’Arabia Saudita custodisce i principali luoghi sacri del mondo islamico. Per questo motivo sente su di sé una responsabilità che non può prescindere dall’ascolto dei principali sentimenti del mondo arabo-islamico, il quale ca va sans dire non avrebbe accolto di buon umore questo storico avvicinamento.
Tra soft power e politica estera
L’Arabia Saudita da diversi anni è particolarmente attiva nel tentativo di utilizzare in politica estera lo strumento del soft power per consolidare e rafforzare la propria posizione nell’ordine internazionale.
È in questo senso infatti che si spiegano gli ingenti investimenti attuati dal governo attraverso il fondo sovrano PIF in settori come quello sportivo, più precisamente calcistico, con l’acquisizione del mondiale di calcio del 2034 oppure in quello dell’intrattenimento turistico con il tentativo di ospitare Expo 2030.
Tuttavia la storica instabilità della regione nella quale l’Arabia Saudita è geograficamente collocata rischia di rappresentare un problema non indifferente. In questo senso è da registrare il progressivo rinvigorimento del rivale Iran, il quale, tra programmi nucleari e spinte sciite, rappresenta da sempre un motivo di preoccupazione per Riyadh.[8]
Quest’ultima non vuol correre il rischio di vedere marginalizzato il proprio ruolo e la propria egemonia nella regione. Pertanto è in questi termini che bisogna valutare il tentativo di normalizzazione di rapporti con Israele.
Contrastare Teheran e rinsaldare l’alleanza con Washington gli obiettivi primari. Non è mistero infatti lo storico patto non scritto con gli Stati Uniti per vedersi garantito uno scudo protettivo in chiave anti iraniana in cambio di una posizione privilegiata nei rapporti economici e petroliferi. Rapporto che però durante gli ultimi anni sembrava incrinatosi e che invece con questa mossa di soft power, seppur ad oggi congelata, avrebbe potuto ristabilirsi.
La dinastia Al Saud ha da sempre manifestato un impegno per la creazione di una regione del Medio Oriente priva di armamenti atomici. La loro preferenza è stata indirizzata verso la diplomazia, ricorrendo all’uso della forza solo in caso di minacce reali alla loro stabilità interna o agli equilibri di potere che li favoriscono.
Dall’altra parte, Israele è stato costantemente alla ricerca di vie per sopravvivere e consolidare la propria posizione in una regione ostile, che ha spesso minacciato la sua esistenza, soprattutto da parte dell’Iran. Pertanto ha più volte adottato una politica assertiva per ottenere un vantaggio militare e nucleare come mezzo deterrente e strategico nella regione.
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- Yemen, colloqui tra Sauditi e Houthi su un potenziale accordo di cessate il fuoco
Conclusioni
Pregno di ambiguità e contraddizioni, il ritrovato dialogo tra Riyadh e Israele è stato messo in stand by. La famiglia reale deve pertanto cercare di bilanciare gli interessi geopolitici ed economici con il sentimento popolare. In passato Israele è stato considerato, finanche in Arabia Saudita, un paese illegittimo.
Tuttavia bisogna rammentare che storicamente nelle relazioni internazionali quasi mai un paese ha anteposto questioni prettamente ideologiche rispetto a quelle economiche. Pertanto è in questi termini che bisogna interpretare il progressivo avvicinamento nelle relazioni bilaterali tra i due paesi, nonostante il fatto che Israele rimanga tutt’oggi un nemico dell’Islam di cui Riyadh è parte integrante.
Inoltre è ragionevole pensare che la normalizzazione dei rapporti tra Arabia Saudita e Israele possa proseguire in futuro, quando la guerra attuale a Gaza potrà conoscere una tregua o un cessate il fuoco. Sebbene Israele non voglia sentirci dall’orecchio per il quale andrebbe concessa la liberazione dei territori occupati (aspetto ribadito negli ultimi incontri con l’Arabia Saudita), allo stesso tempo è consapevole che questa è un’occasione troppo ghiotta per lasciarla naufragare. La stabilità della regione passa dalla pace a Gaza così come i piani programmatici sauditi per la leadership regionale (e non solo) passano da Israele.
Note
[1] S. Scarantino, «Il dibattito storiografico sulla guerra dei sei giorni», Studi Storici, n. 49, 2008.
[2] Ibidem.
[3] ANSA, La tela di Riad tra Palestina e accordi di Abramo, 12 ottobre 2023. https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2023/10/12/la-tela-di-riad-tra-palestina-e-accordi-di-abramo_120ac80d-b75c-409b-8e07-bfb018e320bf.html.
[4] Reuters, Saudi Arabia puts Israel deal on ice amid war, engages with Iran, sources say, 13 ottobre 2023. https://www.reuters.com/world/middle-east/saudi-arabia-puts-israel-deal-ice-amid-war-engages-with-iran-sources-say-2023-10-13/
[5] Ibidem.
[6] Il Foglio, Il dialogo tra Stati Uniti e Arabia Saudita non si è interrotto dopo il 7 ottobre, 2 novembre 2023. https://www.ilfoglio.it/editoriali/2023/11/02/news/il-dialogo-tra-stati-uniti-e-arabia-saudita-non-si-e-interrotto-dopo-il-7-ottobre-5860253/.
[7] Ibidem.
[8] Il Foglio, Sostenendo Hamas, l’Iran cerca di instillare il caos internazionale, 6 novembre 2023.https://www.ilfoglio.it/il-foglio-internazionale/2023/11/06/news/-sostenendo-hamas-l-iran-cerca-di-instillare-il-caos-internazionale-5872918/.
Foto copertina: Biden e Bin Salman