La Geopolitica del Caucaso Russo


“La Geopolitica del Caucaso” a cura di Giuliano Bifolchi, Sandro Teti editore, analizza a 360° una delle regioni più complesse e turbolente dello spazio russo.


 

La mappa dell’area del Nord Caucaso

La regione del Caucaso russo, detta anche Caucaso del Nord o Ciscaucasia, è un area geografica compresa tra il Mar Nero e il Mar Caspio e inclusa all’interno della Russia europea. L’intera regione nord caucasica è parte della Federazione Russa, e dal 2010, è stata separata dal Distretto Federale meridionale. Il Distretto del Caucaso del Nord comprende: Daghestan, Inguscezia, Cabardino-Balcaria, Karačaj-Circassia, Ossezia Settentrionale-Alania, Territorio di Stavropol’ e Cecenia.
La complessità sociopolitica di questo territorio, è raccontata da Giuliano Bifolchi, Dottore in Storia dei Paesi Islamici ed analista dell’area Caucasica, dell’Asia Centrale e del Medio Oriente.
Con “Geopolitica del Caucaso Russo”, Bifolchi, analizza la geopolitica della regione ed in particolare il ruolo del Caucaso del Nord nella politica russa, ma analizzando anche gli aspetti legati alle politiche energetiche, agli interessi di altre potenze nella regione, del ruolo del terrorismo definito come “attore geopolitico”. Dialogo con l’autore.

Quali sono le linee guida della strategia geopolitica russa nella regione?

“Il Caucaso del Nord detiene un ruolo primario nella geopolitica russa, perché questa regione è in grado di influenzare la politica interna ed estera del Cremlino. Infatti, nelle dinamiche nazionali una destabilizzazione della regione nord caucasica potrebbe avere ripercussioni che diversi analisti paragonano a quanto avvenuto nel 1991 con la caduta dell’Unione Sovietica e dare vita a un processo a catena capace di coinvolgere anche Tatarstan e Bashkortostan oppure la regione del Volga-Urali (a maggioranza musulmana) favorendo un movimento di disgregazione incontrollabile. In politica estera, invece, il Caucaso settentrionale rappresenta il ‘grimaldello’ del Cremlino nelle dinamiche del mondo arabo-musulmano e anche il ponte verso l’Asia Centrale, regione facente parte dello spazio post-sovietico importante sia a livello strategico che per le risorse energetiche ambite da Europa, Stati Uniti, Cina, Turchia e Iran.   Considerando il Caucaso settentrionale una regione di primaria importanza nel mio libro ho preso in esame il Distretto Federale russo del Caucaso del Nord (DFCN), entità composta dalle repubbliche di Dagestan, Cecenia, Inguscezia, Nord Ossezia-Alania, Cabardino-Balcaria, Caraciai-Circassia e dalla regione di Stavropol, notando una evoluzione della strategia russa atta a non commettere gli errori degli anni ’90 durante la presidenza di Eltsin contrassegnati dalla Prima Guerra Cecena (1994-1996) e dall’affermazione della Repubblica Cecena di Ichkeria indipendente. Con la presidenza di Vladimir Putin è iniziato un cambiamento dell’approccio del Cremlino alle problematiche nord caucasiche che ha visto nella creazione del DFCN nel 2010 l’intento del governo centrale di organizzare e massimizzare i fondi statali erogati in favore della regione e di favorire una maggiore coesione tra le autorità locali e quella centrale. Così alla creazione del DFCN separato dal Distretto Federale Meridionale è seguita l’elaborazione della ‘Strategia per lo sviluppo socioeconomico del DFCN fino al 2025’ il cui obiettivo è quello di creare più di 400 mila posti di lavoro, favorire l’attrazione di investimenti diretti stranieri (FDIs), migliorare gli standard di vita e quindi contrastare quei problemi sociali ed economici che la militanza armata locale e i gruppi terroristici negli anni hanno sfruttato per attrarre le giovani generazioni tra le loro fila.  È in questa ottica che dobbiamo ascrivere il progetto Kurorti Severnogo Kavkaza (Resort del Caucaso del Nord) che prevede la realizzazione di infrastrutture turistiche connesse ad hub logistici che generino nuovi posti di lavoro, favoriscano la specializzazione lavorativa e permettano una maggiore connessione della regione con il resto del mondo anche grazie allo sviluppo del porto di Mahackala sul Mar Caspio nella Repubblica del Dagestan il cui fine ultimo è quello di divenire un terminale di interconnessione con l’Iran e le repubbliche centroasiatiche, ossia con un’area geografica caratterizzata da significative risorse energetiche e dal passaggio di oleodotti e gasdotti in grado di cambiare gli equilibri nello scacchiere geopolitico euroasiatico.
La stabilizzazione della regione è fondamentale per Mosca e le direttive perseguite sono quelle di garantire la sicurezza attraverso l’organizzazione di operazioni militari delle forze speciali volte a eliminare la rete terroristica locale e i possibili collegamenti con quella internazionale e la realizzazione di infrastrutture che possano favorire il miglioramento socioeconomico e quindi elevare gli standard di vita nord caucasici.”

Perché e quali sono i fattori che rendono la regione caucasica strategicamente determinante?

“L’importanza strategica del Caucaso del Nord è data dalla sua posizione geografica nello scacchiere geopolitico euroasiatico che lo caratterizza come un ‘ponte’ naturale tra Europa e Asia e una ‘frontiera’ tra il mondo cristiano ortodosso e quello musulmano. Estesa tra il Mar Nero e il Mar Caspio, la regione nord caucasica è collegata non solo con il vicino Caucaso meridionale (Azerbaigian, Armenia, Georgia), ma anche con l’Asia Centrale e con il Medio Oriente, aree caratterizzate da notevoli risorse naturali ed energetiche.  Prendendo in considerazione la teoria dell’Heartland di Halford Mackinder e del Rimland di Nicholas J. Spykman è possibile quindi affermare che il Caucaso del Nord rientra all’interno delle dinamiche geopolitiche internazionali: essendo il ‘ponte’ naturale tra Europa e Asia, in effetti, la regione nord caucasica potrebbe favorire un maggiore controllo dell’intero spazio euroasiatico e di conseguenza, come asserito da Mackinder e Spykman, potrebbe cementare l’egemonia di una potenza a livello mondiale. In ottica russa il Caucaso settentrionale garantisce l’accesso sia al Mar Caspio che al Mar Nero dando la possibilità al Cremlino di controllare il mercato energetico di gasdotti e oleodotti che si è sviluppato nella regione caspica (a cui punta anche l’Unione Europea perseguendo la propria strategia di sicurezza energetica), di influenzare quei paesi come Ucraina, Georgia, Turchia, Romania, Bulgaria nella regione del Mar Nero (grazie anche all’annessione della Crimea avvenuta nel 2014) che ricoprono un ruolo strategico per l’Alleanza Atlantica e accedere al Mediterraneo attraversando lo Stretto dei Dardanelli.”

Caucaso del Nord e influenze straniere: Russia, Turchia, Iran e Cina cooperazione o rischio di conflitto?

“Essendo una regione al ‘confine’ tra Europa e Asia e mondo musulmano e cristiano ortodosso, sin dalla storia antica il Caucaso è stato un crocevia di popoli e il teatro di scontro di grandi imperi. Parlando di Russia, Turchia e Iran è doveroso ricordare come tra il XVII e il XIX secolo il Caucaso del Nord divenne il campo di battaglia tra Impero zarista, ottomano e anche safavide per il controllo della regione vedendo l’affermazione delle forze militari russe. Questo retaggio storico non si è modificato e oggigiorno è possibile inquadrare la regione nord caucasica all’interno delle relazioni che intercorrono tra Mosca, Ankara e Teheran. Con il conflitto del Nagorno-Karabakh la Turchia ha dimostrato il suo forte interesse per l’intera regione caucasica e quindi anche per il Caucaso settentrionale: dal punto di vista economico è possibile sottolineare il ruolo importante che giocano gli imprenditori turchi nel mercato nord caucasico, fattore che lega la regione alla politica estera ed economica di Ankara a cui è possibile aggiungere la significativa presenza della Diaspora Nord Caucasica in Turchia il cui ruolo è quello di favorire la connessione del governo turco con le realtà locali nord caucasiche. Dinamiche politiche e socioeconomiche che devono essere inserite in un più ampio contesto che vede la Turchia essere paese membro dell’Alleanza Atlantica e a vicende alterne antagonista o alleata della Russia nella regione mediorientale (in primis in Siria, ma anche in Iraq) e centroasiatica. L’Iran ha recentemente rafforzato i propri interessi nel Caucaso del Nord sviluppando e rafforzando la cooperazione scientifica, economica e diplomatica con la Russia per quel che concerne lo sviluppo della regione e il controllo dell’area del Mar Caspio. L’Iran, alleato del Cremlino in ottica antistatunitense e partner nel contesto mediorientale, è un attore regionale che potrebbe controbilanciare la presenza turca sia a livello economico che sociopolitico.
Il Caucaso del Nord è stato interessato anche dalla Belt and Road Initiative (BRI) o Nuova Via della Seta della Cina, in special modo a livello turistico, che ha portato alcuni investitori cinesi ad avventurarsi nella regione non sempre con risultati ottimali causa la diffidenza della popolazione locale e lo scontro con un sistema economico ancora basato in alcune aree montane sulle attività di artigianato a conduzione familiare.
L’abilità del Cremlino fino ad ora è stata quella di riuscire a garantire i propri interessi nel Caucaso settentrionale bilanciando e in alcuni casi contrastando le strategie di Ankara, Teheran e Pechino sfruttandone il potenziale economico rappresentato dalla possibilità di attrarre maggiori investimenti per i progetti di sviluppo infrastrutturale locale, ma contemporaneamente mitigandone le possibili ingerenze. Fino a quando la Russia riuscirà a controllare/contrastare le interferenze delle potenze straniere la regione manterrà la stabilità, in caso contrario i diversi interessi e strategie potrebbero comportare conflitti a livello locale in grado di destabilizzare un’area di primaria importanza strategica con conseguenze negative per l’intera Eurasia.”

Vilayat Kavkaz e il terrorismo islamico nella regione: il Caucaso del nord ha rappresentato negli anni il terreno fertile per la nascita e lo sviluppo di gruppi terroristici. In che misura terrorismo islamico e lotte secessioniste si sono intersecate?

“Il fenomeno del terrorismo ha influenzato la regione nord caucasica fin dalla caduta dell’Unione Sovietica e nel tempo è divenuto una minaccia consistente per la stabilità dell’intera Federazione Russa.
In passato i movimenti indipendentisti ceceni avevano dato vita allo scontro con l’autorità centrale russa in quella che noi tutti conosciamo come Prima Guerra Cecena (1994-1996) che ebbe come esito l’affermazione dell’indipendenza della Repubblica cecena di Ichkeria. È in questo periodo storico che iniziano a intersecarsi la militanza locale con il fondamentalismo di matrice islamica fino a quando negli anni successivi si andrà ad affermare un network di organizzazioni terroristiche. Il processo di radicalizzazione che ha coinvolto una parte dei guerriglieri ceceni, in primis tra tutti il ben noto Shamil Basayev, fu dovuto dalle ingerenze straniere nelle dinamiche locali (basti pensare alle campagne propagandistiche di paesi come l’Arabia Saudita, ma anche Qatar e Egitto) e alla instabilità interna cecena a seguito del primo conflitto con Mosca.
È possibile dire che nella seconda parte degli anni ’90 i movimenti indipendentisti si radicalizzarono e diedero vita a organizzazioni terroristiche la cui minaccia principale era data dalla serie di attentati organizzati sul suolo russo e dalla volontà nel 1999 di creare uno Stato Islamico nell’area di confine comprendente parte della Cecenia e del Dagestan.
Con lo scoppio della Seconda Guerra Cecena (1999-2009), considerata dal Cremlino come operazione antiterrorismo, inizia quindi lo scontro tra le forze militari e il network composto da militanti locali e terroristi fino a quando nel 2007 Doku Umarov porrà fine all’esperienza della Repubblica cecena di Ichkeria proclamando la nascita di Imarat Kavkaz (Emirato del Caucaso) il cui obiettivo era quello di creare un imamato nella regione nord caucasica dove far vigere la shari’a (legge islamica). La nascita dell’Emirato del Caucaso può essere interpretata come il completamento del processo di radicalizzazione a cui erano stati sottoposti i movimenti secessionisti e indipendentisti ceceni a cui deve essere aggiunto un processo di esportazione dell’ideologia jihadista in tutto il Caucaso settentrionale con l’obiettivo di trasformare il conflitto con Mosca in una guerra in grado di coinvolgere tutta la umma (comunità) musulmana nord caucasica.

Dal 2014-2015, con il declino di Imarat Kavkaz a seguito dell’eliminazione nel 2013 di Doku Umarov e di diversi membri della leadership dell’Emirato del Caucaso, i combattenti locali iniziarono a giurare fedeltà allo Stato Islamico che in quel periodo vedeva la sua ascesa e massima espansione e conglobava al suo interno numerosi foreign fighters nord caucasici (il più noto all’Occidente è Abu Omar al-Shishani). Questo passaggio dall’Emirato del Caucaso allo Stato Islamico ha permesso all’organizzazione dell’allora califfo Abu Bakr Al-Baghdadi di dare vita al Vilayat Kavkaz (Provincia del Caucaso), entità che avrebbe dovuto rappresentare gli interessi dello Stato Islamico nella regione nord caucasica.”

La guerra nel Donbass e la questione della Crimea, secondo molti analisti, non è stata che una nuova fase di un processo iniziato in Georgia nel 2008. Il messaggio russo sembra chiaro: nel nostro “giardino di casa” non accettiamo spostamenti verso Occidente (e verso la Nato). È d’accordo con quest’analisi?

“Sin dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica l’Alleanza Atlantica e l’Unione Europea hanno avviato strategie volte ad affermare la loro presenza nelle repubbliche post-sovietiche. La NATO ha cercato di stabilire basi militari che controllassero la Russia mentre Bruxelles ha avviato la strategia del Partenariato Orientale volta a interessare Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Moldavia e Ucraina. Non si può negare che l’Occidente si sia molto avvicinato ai confini e agli interessi russi supportando movimenti politici o indipendentisti locali in contrasto con l’autorità centrale e avviando politiche volte a inglobare nel mercato europeo quelle repubbliche post-sovietiche che dispongono di risorse energetiche e naturali significative. Quanto avvenuto in Donbass è conseguenza di una delle cosiddette ‘rivoluzioni colorate’ che hanno riguardato lo spazio post-sovietico e che hanno visto l’Ucraina cambiare la propria strategia posizionandosi in direzione Europa e NATO. Le ‘rivoluzioni colorate’ sono fondamentali per capire la politica russa, perché sono percepite dal Cremlino non solo come una minaccia nel blizhneye zarubezhye (vicino estero), ma anche come il tentativo dell’Occidente di imporre un cambiamento politico all’interno della Federazione Russa facendo leva su tematiche legate ai diritti civili. Il recente caso Navalny è emblematico, perché ha visto l’Occidente accusare il Cremlino sui media internazionali di non dare spazio all’opposizione politica e di aver istaurato un regime autoritario omettendo, però, che il blogger russo ha un programma politico fortemente tendente a quel nazionalismo osteggiato da Bruxelles, perché privilegia i diritti dei cittadini di etnia russa e fomenta i movimenti anti-immigrazione. Quanto avvenuto in Georgia nel 2008 è stato l’inizio di un processo che ha visto Mosca esercitare maggiore controllo sul proprio Lebensraum (spazio vitale) in contrasto con le strategie occidentali fino a quel periodo messe in atto. Nel caso georgiano sono stati supportati i movimenti di indipendenza e autodeterminazione dell’Abcasia e dell’Ossezia del Sud, in Ucraina è stato riconosciuto il referendum avvenuto in Crimea che ha permesso l’annessione della penisola al territorio della Federazione Russa così come la creazione delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk. Abcasia, Ossezia del Sud, Crimea, Donetsk, Lugansk, e anche la Transnistria sono realtà amministrative non riconosciute generalmente a livello internazionale che si sono formate, però, sulla base dei principi di autodeterminazione dei popoli e delle libertà civili spesso promossi dall’Occidente. È ovvio che nel supportare queste realtà statali il Cremlino persegue una propria strategia geopolitica che mira a rendere sicuri i confini nazionali da ingerenze esterne e supportare la propria politica estera in aree geografiche di primaria importanza come il Caucaso, la zona del Mar Nero e del Mar Caspio.”

Il Governo georgiano continua a reclamare (inutilmente) la “restituzione” dell’Abcasia, ma potrebbe essere più vantaggioso invece riconoscere l’indipendenza e aiutandola ad ottenere la piena sovranità e in questo modo smarcarla dall’ “abbraccio” russo?

“In merito all’Abcasia e all’Ossezia del Sud il Governo di Tbilisi sta cercando di ottenere queste repubbliche che considera parte del proprio territorio sovrano attraverso la via della diplomazia internazionale. Attualmente sembra essere l’unica strategia percorribile considerando che l’intervento militare, senza un supporto europeo o dell’Alleanza Atlantica, rischia di divenire un insuccesso come accaduto già nell’agosto del 2008. Qualora la Georgia divenisse membro della NATO e dell’Unione Europea, obiettivo anche dell’Ucraina, Tbilisi potrebbe avvalersi di una forza militare superiore in caso dovesse dimostrare di aver subito un attacco da parte russa, ma il rischio sarebbe quello di una guerra Russia – Occidente dagli scenari futuri catastrofici. Cosa fare ora però? L’isolamento internazionale di Abcasia e Ossezia del Sud ha reso questo due repubbliche estremamente dipendenti dalla Russia e quindi il Governo georgiano oltre che muoversi tra le sedi internazionali può solo sperare che un peggioramento delle condizioni economiche dei cittadini abcasi e osseti li spinga a rivedere la propria posizione sull’indipendenza e quindi a tornare sotto l’autorità georgiana magari in forma di autonomia con la speranza di ricevere possibili aiuti economici e finanziamenti per i progetti di sviluppo infrastrutturali nonché di una apertura a livello internazionale. Speranza che sembra vana considerando il forte nazionalismo abcaso e osseto che fin dagli anni ’90 e a seguito del conflitto del 2008 si è sempre di più andato ad affermare. Riconoscere l’indipendenza di Abcasia e Ossezia del Sud sembra una possibilità molto remota considerando che la politica interna georgiana ha reso questa tematica centrale nella comunicazione statale e quindi l’accettazione di queste due repubbliche potrebbe comportare un forte scontento nazionale e una crisi di governo come quella che sta avvenendo in Armenia dopo la recente sconfitta con l’Azerbaigian e la perdita di parte del territorio del Nagorno-Karabakh.”

L’Italia al momento non rappresenta un attore geopolitico di primo piano nella regione, ma potrebbe ritagliarsi un suo spazio nel prossimo futuro?

“A livello politico il Caucaso settentrionale rientra nei rapporti italo-russi che hanno subito un rallentamento a causa della Crisi Ucraina del 2014 e delle relative sanzioni imposte dall’Unione Europea ai danni della Russia. Per rafforzare i rapporti diplomatici e politici, e quindi per vedere l’Italia maggiormente coinvolta nelle dinamiche geopolitiche locali, il primo passo necessario è un miglioramento delle relazioni Bruxelles – Mosca oppure un cambiamento nella politica estera italiana rappresentato da una diversificazione della cooperazione a livello internazionale e un minor assoggettamento dalle linee guida dell’Unione Europea. Esiste una presenza italiana a livello diplomatico e commerciale nel Caucaso del Nord grazie anche all’operato del Console Generale onorario di Krasnodar Pierpaolo Lodigiani e fondatore dell’organizzazione Italy Meets Caucasus il cui fine è quello di favorire l’incontro tra il mondo imprenditoriale italiano e quello locale e diffondere la conoscenza della regione nord caucasica in Italia. Occorre sottolineare come a livello locale l’Italia esercita un forte richiamo grazie alla sua cultura, tradizione, all’interesse dei cittadini nord caucasici per il Made in Italy e anche alla generale tendenza nel vedere gli italiani in maniera amichevole. Parlando di missioni commerciali l’ultima si è svolta nel 2019 (prima dell’era Covid-19) organizzata proprio da Italy Meets Caucasus con il supporto dell’Ambasciata italiana a Mosca e il Consolato Generale onorario di Krasnodar. Forse l’impegno maggiore italiano nel DFCN è stato quello siglato nel 2012 dalla azienda Rizzani De Eccher che sottoscrisse una lettera di intenti per prendere parte alla realizzazione di uno dei cinque resort turistici nord caucasici per un totale di un miliardo di dollari. I settori del turismo, agroalimentare e della logistica sono quelli verso cui le aziende italiane possono guardare in materia di investimenti e di joint venture. L’aspetto economico è fondamentale, perché a mio parere potrebbe essere la chiave per una maggiore presenza e affermazione italiana nella regione la quale non solo assicurerebbe un mercato di 147 milioni di consumatori essendo il Caucaso del Nord parte della Federazione Russa, ma garantirebbe un collegamento con il vicino Caucaso meridionale e con i paesi dell’area del Mar Caspio.”


Foto copertina: Copertina libro

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