Il potere delle idee secondo Sabino Cassese


Nel suo ultimo libro, Le strutture del potere, l’insigne giurista ed esperto conoscitore del deep state italiano conduce il lettore nei gangli vitali delle decisioni politiche.


A cura di Raimondo Fabbri

Il libro intervista Le strutture del Potere (Editori Laterza, p.198, euro 15,00 acquista qui) che Sabino Cassese ha realizzato con la brillante cronista politica, Alessandra Sardoni, ha il pregio, immediatamente percepibile, di voler tracciare un bilancio e condurre il lettore nel deep state italiano attraverso la testimonianza diretta di un protagonista di quelle strutture, la cui importanza non viene pienamente avvertita, che l’insigne giurista ha avuto modo di frequentare per oltre sessanta anni, trovandosi dietro le quinte del potere visibile, esercitando la funzione di suggeritore per i policy maker, coloro che in forza del loro ruolo hanno l’onere e l’onore di prendere le decisioni. Un’opera che si colloca, anche se in maniera divulgativa e non esaustiva rispetto ad altri lavori sull’argomento, condotti da Giuseppe Maranini prima e da Guido Melis e Alessandro Natalini poi, nello studio della storia del potere in Italia. Con agilità e grazie alle sollecitazioni puntuali di Alessandra Sardoni, i quattro assi attraverso cui si snoda l’intervista rappresentano un tentativo di riassumere alcune posizioni e idee che Cassese aveva avuto modo già di proporre in alcuni suoi saggi sulle nostre istituzioni, sul presidente del Consiglio, la Corte costituzionale e la Magistratura, cui anche questo ultimo libro dedica alcuni passaggi significativi. Naturalmente questo colloquio rappresenta anche il tentativo di storicizzare il potere, attraverso l’esperienza diretta e quindi rendendo ancor più appassionanti gli aneddoti e i ricordi riportati con precisione da Cassese. In tal senso l’intervistato restituisce con dovizia di particolari e dotte citazioni il ruolo che hanno avuto, ed ancora hanno, i “tecnici” nel nostro Paese. In questo senso, come aveva colto opportunamente anche Lorenzo Castellani in L’ingranaggio del potere, le democrazie liberali affermatesi nel secondo dopoguerra, sono divenute sistemi sempre più complessi in cui lo spazio della tecnocrazia, fondato sul principio della competenza, è andato vieppiù aumentando. Cassese a tal proposito si concentra nella prima parte sul potere di influenza che l’élite del secondo dopoguerra ha avuto nella sfera pubblica italiana. Gli anni della programmazione, delle imprese pubbliche, dello Stato dirigista, sono ricordati con entusiasmo da Cassese, giovane consulente all’ENI di Enrico Mattei, uomo senz’altro spregiudicato ma al servizio del bene comune e non dei propri interessi personali, che ha avuto modo di partecipare ad alcuni cenacoli intellettuali e a innovativi progetti che molto hanno prodotto in termini di idee per i decisori politici dell’epoca. Ricordando le figure di Antonio Giolitti, Giorgio Ruffolo, l’ex giudice della Corte costituzionale ha ricostruito anni intensi per quegli intellettuali che ebbero un potere di influenza enorme, come nel caso della nazionalizzazione elettrica. Snodi fondamentali della storia italiana, in cui il management scientifico, ovvero il ripensamento e la riorganizzazione dell’amministrazione prendeva piede anche nel nostro Paese sulla scia di quanto avveniva già da alcuni anni negli USA. Un altro capitolo molto interessante dell’intervista riguarda il periodo delle privatizzazioni e della soppressione delle Partecipazioni Statali. Da testimone diretto Cassese ricorda come quel passaggio non fu indolore, confermando peraltro le pressioni che condussero a quella stagione di riforme che incisero profondamente sia sulle strutture del potere, dato che le aziende di stato rappresentavano una leva formidabile per i partiti politici, in primis la DC, che sulla nostra economia mista, idea che sino agli ultimi decenni del secolo scorso, aveva avuto un’irradiazione ed un’espansione mondiale. Seppur non giudicando totalmente positiva quell’esperienza, avendo accentuato alcuni degli aspetti più esecrabili della partitocrazia, Cassese conferma quanto incisero i vincoli europei nella decisione di dismettere un apparato molto costoso per lo Stato. Un periodo storico che coincise peraltro con la fine dei partiti politici, o per utilizzare le parole dell’autore, con la fine dei partiti ideologici, ovvero quelli che indicavano un futuro lasciando il posto ad una fase di navigazione incerta. Naturalmente non mancano i riferimenti a Tangentopoli, che in qualche modo contribuì alla fine dei partiti e del partito che aveva dominato la scena politica italiana, alla discesa in campo di Berlusconi, al bipolarismo in salsa italiana; eventi che stabiliscono un altro snodo fondamentale nella storia del potere in Italia. Nel caso specifico l’autore non lesina le critiche nei confronti dei giudici, divenuti progressivamente parte del circuito mediatico, investiti di una missione di controllo delle virtù. Allo stesso modo la magistratura, rispetto a prerogative costituzionalmente garantite come l’indipendenza e l’autonomia, ha preferito sostituire, a sproposito, l’autogoverno, che essenzialmente si traduce nell’insindacabilità degli atti o delle omissioni dei giudici. I decisori politici appaiono sempre di più influenzati da strutture come il CSM, dalla Ragioneria Generale dello Stato o da figure come quella del Segretario Generale del Quirinale. In un simile contesto il rapporto fra politica e burocrazia ha subito negli anni Novanta del XX secolo un ribaltamento a favore di quest’ultima, con il risultato di avere, per esempio, dei capi di gabinetto sempre più potenti. Sull’argomento, peraltro, un altro volume uscito di recente, Io sono il potere. Confessioni di un capo gabinetto, evidenziava il peso sempre maggiore acquisito da queste figure amministrative che, in forza di organizzazioni tendenti a divenire più grandi e complesse, costituite perlopiù da Consiglieri di Stato e Magistrati della Corte dei conti, sono finite col trasformarsi in vere e proprie “direzioni ombra”. Per quanto riguarda poi l’annoso tema della stabilità dei Governi e l’effettivo potere del presidente del Consiglio dei ministri, Cassese precisa che se vi è n problema per il Governo, quello non consiste nel poco potere ma nella durata, che in Italia ha toccato dei ritmi straordinari rispetto alla naturale alternanza dei governi in altri paesi democratici. Ecco perché il ruolo di Presidente della Repubblica ha acquisito maggiore centralità, vista la durata della carica rispetto a quella delle maggioranze politiche. Sotto questo aspetto una battuta di Cassese a proposito del potere sacerdotale del Quirinale incarnato dal presidente Mattarella, descrive perfettamente compiti e funzioni del Colle nel rapporto con il potere esecutivo. Anche alcune incursioni nell’attualità riguardanti la proiezione internazionale del governo Meloni, propongono chiavi interpretative interessanti, specialmente rispetto al Piano Mattei ed al riallineamento dell’Italia rispetto agli Stati Uniti d’America. Una lettura assolutamente consigliata per tutti coloro che, ricoprendo incarichi pubblici, sono inclini a cercare la visibilità o peggio ancora, come avviene ultimamente per le leadership politiche, ad inseguire il consenso popolare; in questo caso appare opportuna la distinzione anglosassone del policy maker rispetto a quella del politician. Entrambe indicano il politico, ma nella versione di Cassese rimangono scolpite le parole, che suonano come un monito, di John Fitzgerald Kennedy ovvero che «il disprezzo della popolarità è la virtù massima dell’uomo (o della donna, aggiungiamo noi) di Stato».


Foto: copertina “Le strutture del potere” di Sabino Cassese