di Sabrina Sergi
Quando Howard Phillips Lovecraft visitò New York per la prima volta nel 1922, le sue impressioni furono di un mistico stupore: “Vidi i contorni ciclopici di New York. Era uno spettacolo mistico nel sole dorato del tardo pomeriggio; […] La città e il cielo erano così simili che si poteva a malapena essere sicuri che ci fosse davvero una città, e che le fantastiche torri e pinnacoli immaginati non fossero solo delle illusioni”. Questa citazione è riportata da Adriano Monti Buzzetti Colella nel suo saggio “Dieci passi nel delirio (urbano) … più uno: appunti per una guida dei luoghi lovecraftiani di New York”, presente nell’antologia Yog-Sothothery. Oltre la soglia dell’immaginario, edita da Castelvecchi e curata da Salvatore Santangelo (acquista qui).
Colella ci guida attraverso una New York poco conosciuta, ombrosa e affascinante, ripercorrendo i luoghi frequentati da Lovecraft e quelli che hanno ispirato le lugubri atmosfere dei suoi racconti. Si va dalle architetture georgiane della St. Paul Chapel in Fulton Street, dove Lovecraft sposò Sonia H. Green, alle chiese in stile federale del XVIII secolo, come la Flatbush Dutch Reformed Church a Brooklyn, il cui aspetto decadente e l’antico cimitero retrostante hanno ispirato i racconti “Il segugio” e “L’orrore a Red Hook”. Tra i luoghi citati vi è anche Perry Street, a Greenwich Village, oggi famosa per la serie TV Sex and the City. In “L’incontro notturno”, Lovecraft rivela che la zona in cui risiede la vivace Carrie Bradshaw era un tempo un insediamento di nativi americani, teatro di antichi riti esoterici, vendette e assassinii. Oltre a fungere da guida tematica per veri appassionati, il saggio di Colella restituisce a Lovecraft un contesto cosmopolita, distante dai mostri tentacolati che abitano le viscere della terra.
L’antologia Yog-Sothothery offre anche un viaggio nei luoghi immaginari di Lovecraft, come le Montagne della Follia, analizzate nel saggio di Pietro Guarriello “Lovecraft e gli orrori del continente bianco”. Seppur immaginarie, queste montagne poggiano su un continente ben reale: l’Antartide. Guarriello esplora la genesi del racconto e le ricerche condotte da Lovecraft, rivelando che molti dettagli scientifici e informazioni sulle esplorazioni antartiche sono frutto di studi approfonditi. Questi elementi, quindi, non sono affatto frutto di fantasia.
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Nella nota introduttiva all’antologia, il curatore Salvatore Santangelo spiega che Yog-Sothothery prende il titolo dall’omonima divinità, nota come il Guardiano della Soglia, che vigila sul confine tra il mondo reale e quello degli incubi lovecraftiani. L’opera si propone di far varcare al lettore quella soglia, esplorando le origini degli orrori lovecraftiani, i luoghi in cui sono stati concepiti e il loro impatto sulla cultura contemporanea, contaminando cinema, serie TV e persino canzoni. Santangelo definisce questo fenomeno “Cthulhucene”, l’era di Cthulhu, in onore del famoso e terribile sacerdote tentacolato. Ad esempio, i Metallica hanno dedicato al solitario di Providence il brano “The Call of Ktulu”, mentre alcuni racconti di Stephen King richiamano le sue inquietanti atmosfere. Anche il cinema ha attinto all’immaginario lovecraftiano: echi si trovano ne “La Trilogia dell’Apocalisse” di John Carpenter, in cult come Alien e nel recente The Lighthouse, con Robert Pattinson e Willem Dafoe. Le serie TV non sono da meno: gli orrori di Stranger Things e la recente Cabinet of Curiosities di Guillermo Del Toro, che presenta due episodi ispirati a “Il modello di Pickman” e “I sogni nella casa stregata”, rientrano nell’orbita del Cthulhucene. Virginia Como, nel suo saggio “HPL nelle maglie del politicamente corretto”, analizza le incongruenze nella trasposizione televisiva, evidenziando come la trama sia stata adattata a messaggi edificanti, spesso distanti dalle idee originarie dello scrittore.
Michel Houellebecq, parlando di Lovecraft, ha scritto: “L’evoluzione del mondo moderno ha reso ancor più presenti, ancor più viventi, le fobie lovecraftiane”. Questo potrebbe spiegare la crescente influenza culturale dell’autore americano sull’immaginario contemporaneo. Una sorta di nemesi, considerando che durante la sua vita le opere di Lovecraft furono spesso rifiutate da riviste e editori, e le poche pubblicazioni ottenute furono retribuite poco o nulla. Morì in solitudine e in miseria, senza mai riuscire a vivere della sua scrittura. È dunque affascinante pensare che una delle sue frasi più celebri, tratta dal racconto “La città senza nome”, possa essere stata un’anticipazione del suo successo postumo: “Non è morto ciò che in eterno può attendere, e con il volgere di strani eoni, anche la morte può morire”.