La Germania al voto


A poche ore dalla chiusura dei seggi per il rinnovo del Bundestag in Germania, una delle elezioni più combattute della recente storia tedesca, cerchiamo di fare un quadro di quale sarà la sfida che il nuovo governo si troverà di fronte.


Il collasso della coalizione che sorreggeva il governo del cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz, già ministro nei governi guidati da Angela Merkel, ha aperto la strada alle elezioni anticipate di domenica 23 febbraio 2025. Chiunque si troverà a raccogliere il testimone da Scholz, avrà l’arduo compito di affrontare una situazione economica profondamente indebolita in un quadro internazionale che sembra aver ormai archiviato quelle congiunture favorevoli che avevano permesso all’economia tedesca di svilupparsi a ritmi sostenuti fino a renderla la “locomotiva d’Europa”.

Equilibri politici

Osservando (con cautela) ai sondaggi disponibili alla chiusura della campagna elettorale, le urne dovrebbero consegnare la maggioranza relativa ai cristianodemocratici (CDU/CSU) di Friederich Merz. Seconda forza, con circa il 20%, sarà con ogni probabilità il partito guidato da Alice Weidel, Alternative für Deutschland, di estrema destra e che negli ultimi mesi è stato sospinto dai social nonché dagli interventi a suo favore provenienti da oltreatlantico, in particolare da parte di Elon Musk e del vicepresidente degli USA JD Vance.

Sembra sostanziarsi per la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale un avvicinamento, da taluni considerato pericoloso, della destra estrema ai gangli vitali del potere tedesco. Ipotesi, questa, che è avvalorata anche dal comportamento proprio dei cristianodemocratici che hanno dato l’impressione di aver fatto crollare quel Brandmauer, il cordone sanitario, che isolava l’estrema destra nell’agone politico. Il 29 gennaio scorso, infatti, estrema destra e conservatori (con l’apporto dei liberali, ex partner della coalizione di Scholz) hanno votato insieme una mozione presentata dalla CDU che chiedeva un irrigidimento delle politiche in materia di sicurezza e migrazione nel Paese. Un voto che ha provocato una vibrante reazione sia nell’opinione pubblica che negli altri partiti (SPD, Verdi e Linke), nonché una forte critica anche dell’ex cancelliera Merkel in un intervento irrituale, considerando che dalla sua uscita di scena nel 2021 ha concesso ben pochi commenti alla situazione politica contemporanea.
È chiaro che Merz abbia lavorato negli ultimi tempi per imprimere al suo partito una forte virata verso destra e, nonostante le rassicurazioni sulla tenuta del cordone sanitario, sembra evidente che per l’aspirante neocancelliere la cooperazione tra CDU/CSU e AfD non sia più un tabù. Pare molto poco plausibile che i post nazisti dell’AfD possano entrare organicamente all’interno della compagine di governo; è ben più ipotizzabile per la prossima legislatura, data la frammentazione che si rischia di verificare nel Bundestag, che ci possa essere una cooperazione sui dossier specifici quali l’immigrazione e la sicurezza. Merz sembra lavorare per tentare di recuperare quella parte di elettorato che è fluito dai cristianodemocratici verso l’AfD, tendando così di accreditarsi come unico soggetto in grado di dare risposte concrete al fenomeno migratorio sul quale l’estrema destra ha fatto la sua fortuna.
È certo che siamo in un terreno profondamente distante da quello in cui operava Angela Merkel. Resta però da vedere quale sarà il livello di cooperazione con l’AfD e se una tale virata possa portare vantaggi concreti ai cristianodemocratici. Il rischio sembra essere quello di spingere l’elettorato moderato nelle braccia dei partiti più rigidamente anti-estrema destra o verso l’AfD stessa, grazie alla legittimazione da parte dei conservatori delle sue politiche.

La formazione del nuovo governo sarà complicata, impegnerà Merz per diversi mesi a venire e dipenderà da quali saranno i risultati elettorali delle formazioni minori: il superamento della soglia del 5% da parte di diversi partiti, rischia di rendere inevitabile la costituzione di una coalizione ampia che aggreghi più di due formazioni con, in prospettiva, pericoli non indifferenti per la stabilità dell’esecutivo. Liberali, la Linke e il movimento populista di sinistra di Sahra Wagenknecht sono tutti candidati a rimanere fuori dal Bundestag, mentre pare certo che Socialdemocratici e Verdi dovrebbero riuscire a totalizzare attorno al 15%, diventando così dirimenti nella formazione del nuovo governo.

L’ineluttabilità di un governo di larga (se non larghissima) coalizione ha avuto risultati evidenti anche sulla conduzione della campagna elettorale: la consapevolezza che a partire dal 24 febbraio 2025 sarà necessario negoziare per varare il nuovo esecutivo, ha smussato la virulenza della campagna elettorale, in particolare da parte dei partiti moderati.

Indipendentemente dai risultati, la Germania (e l’Unione Europea) necessita di un governo stabile e in grado di affrontare le difficoltà che l’economia tedesca sta vivendo negli ultimi mesi. Difficoltà frutto della convergenza di fattori esterni e della incapacità di riformare un sistema economico che si è inceppato.

Un’economia in panne

Un mix di debolezze interne ed esterne ha creato le condizioni per una situazione di recessione che fino a pochi anni fa sembrava impensabile per la Germania. Il primo arduo compito del nuovo governo, che di tutta evidenza non verrà varato per diversi mesi, sarà quello di individuare la ricetta più giusta per sferzare un sistema economico in affanno, se non addirittura fermo, che paga lo scotto di anni di immobilismo da parte della politica.
Il modello di sviluppo tedesco si è basato su alcuni pilastri che negli ultimi anni sono andati progressivamente sgretolandosi, mettendo in evidenza problematiche strutturali sulle quali è ormai inevitabile un intervento massiccio. L’economia tedesca, infatti, nel passato si è sviluppata costantemente e a ritmi consistenti grazie ad alcuni fattori fondamentali: la presenza di un’economia globale votata al libero commercio, che ha permesso al made in Germany di espandersi nel globo (in particolare USA, Cina e UE), e l’afflusso massiccio di gas dalla Russia, che ha garantito forniture energetiche a basso costo. Nel percorso di transizione all’elettrico di uno dei settori di punta della produzione tedesca, l’Automotive, le case automobilistiche della Germania hanno vissuto sempre più la concorrenza dei prodotti cinesi che sono affluiti in Europa massicciamente e a costi più bassi. Nello stesso tempo, in un quadro di rallentamento del mercato interno cinese, la produzione industriale tedesca non è riuscita ad essere assorbita a ritmi soddisfacenti.
Sebbene non sia possibile affrontare in poche righe il tema della crisi economica tedesca, si possono individuare alcuni elementi endogeni che ci danno la misura dei problemi che il nuovo esecutivo si troverà ad affrontare, e che si possono così riassumere: il mai sanato divario est-ovest, la mancanza di competitività e il sistema infrastrutturale vetusto. Cui si aggiunge un problema non indifferente quale quello del freno del debito che impedisce agli esecutivi di agire efficacemente anche attraverso lo strumento del deficit per cercare di contrastare le congiunture sfavorevoli.
A trentacinque anni dalla fine della divisione est – ovest e della riunificazione, sussistono ancora pesanti disequilibri tra i Länder della vecchia Repubblica Democratica Tedesca (DDR) con il resto della Germania. Nell’ex DDR gli stipendi sono più bassi, l’economia fatica a tenere il passo e i tedeschi che vi abitano si sentono in parte abbandonati se non esclusi nella loro stessa patria. In molti guardano al processo di riunificazione del 1990 come una campagna di conquista da parte della Repubblica Federale Tedesca (BRD) e non una ricostituzione dell’unità del Paese su basi eguali. Di questi disequilibri ne hanno approfittato le ali estreme del panorama politico sia a destra, con la AfD che raccoglie consensi record in quelle zone, sia a sinistra, con il movimento di Sarah Wagenknecht staccatosi dalla Linke. Di questa disillusione ne hanno pagato lo scotto i partiti tradizionali (CDU – Cristianodemocratici e SPD – Socialdemocratici) che hanno da sempre guidato i governi tedeschi (alternativamente o in coalizione tra loro) e che non sono riusciti a fidelizzare l’elettorato dell’ex DDR.
I problemi che l’economia della Germania sta vivendo sono da imputarsi anche in parte all’incapacità dei governi di prendersi carico nel passato più recente di un serio percorso di riforme che garantissero all’economia di essere competitiva, e alla mancanza di investimenti di lungo periodo sul sistema infrastrutturale tedesco che al momento risulta in grave crisi. Lasciando da parte la sovraesposizione alla dipendenza dal gas russo, costruita con testarda costanza negli ultimi anni, i governi che si sono succeduti hanno mancato l’appuntamento con le riforme necessarie per garantire all’economia di essere competitiva e resiliente sul lungo periodo: la digitalizzazione arranca, la burocrazia appesantisce le imprese, il lavoro costa troppo. Tutto questo ha portato inevitabilmente i tedeschi a domandarsi quale sia stato realmente il lascito della Cancelliera più longeva della storia del XXI secolo: Angela Merkel. In poco più di tre anni si è passati dall’affettuoso appellativo Mutti, “mamma”, al conio di un nuovo verbo merkeln, molto meno lusinghiero e, che prendendo come spunto lo stile di governo della Cancelliera, lo ha reso sinonimo di procrastinazione e mancanza di decisione. Sembra essersi fatta strada nella mente degli elettori tedeschi l’idea che, nonostante le impressioni, il periodo di governo di Angela Merkel sia stato caratterizzato da un’ordinaria amministrazione lunga quindici anni.

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Sarà necessario interrogarsi, anche nella prospettiva della formazione di un governo di coalizione, sulla reale o presunta utilità del Schuldenbremse, strumento di freno al debito, inserito durante il secondo governo Merkel, che limita la possibilità per gli esecutivi di fare ricorso al deficit in maniera eccessiva. Al netto di quanto si possa ritenere virtuoso il controllo della spesa pubblica, la rigidità eccessiva che segue questa regola ha avuto conseguenze importanti sulla capacità del governo di compiere investimenti pubblici di portata significativa, il che ha avuto un riflesso sull’ormai evidente inadeguatezza del tessuto infrastrutturale tedesco. Pare poco plausibile, però, che possa essere messa in discussione l’esistenza stessa del freno al debito: se i sondaggi verranno confermati, infatti, la CDU/CSU che dovrebbe ottenere la cancelleria si è detta a favore del mantenimento di questa rigidità e anzi vorrebbe esportarla a livello di regole europee. I partiti di centrosinistra, dal canto loro, si sono detti disponibili ad una revisione complessiva della norma.

Non sarà poi più possibile per qualsiasi governo ignorare il tema della difesa. La Germania, infatti, per ragioni storiche, non ha riservato alla Bundeswehr, le forze armate, particolare attenzione: la proiezione della potenza tedesca all’estero si è basata sull’espansione economica. La costante presenza dell’ombrello securitario degli Stati Uniti ha permesso ai governi di poter dirottare risorse ingenti verso altre voci di spesa: basti pensare che il sistema di welfare tedesco è tra i più generosi. L’illusione di poter essere una potenza pacifica, equidistante perché votata all’economia, sebbene pienamente inserita nel sistema occidentale, si è infranta sugli scogli della realtà internazionale: non soltanto la presidenza Trump con le richieste di un maggiore investimento in difesa, ma anche sul risveglio improvviso rappresentato dall’aggressione russa all’Ucraina. A febbraio 2022 per la prima volta questa consapevolezza è diventata palese attraverso le parole del Cancelliere, che ha parlato di Zeitenwende, cambiamento epocale, palesando la necessità di un investimento massiccio nella difesa. La negligenza dimostrata negli ultimi due decenni dai governi tedeschi in materia di investimenti in difesa (così come in infrastrutture), difficilmente potrà essere sanata in poco tempo; la speranza è che nel quadro di crisi interna e internazionale nel quale si vive ormai da diversi anni, le forze politiche tedesche siano in grado di affiancare ad una certa rigidità concettuale una fase progettuale di lungo periodo che si possa tradurre anche in un vantaggio per l’intero Continente.


Foto copertina: La Germania al voto