La sconfitta militare dello Stato Islamico non sancisce la fine della minaccia jihadista che continua a nutrirsi della rete affinché l’ideologia salafista continui a diffondersi tra nuovi proseliti.
Il 2017 si chiude con la notizia della sconfitta definitiva dell’organizzazione jihadista salafita attiva in Siria e Iraq dal 2013. Il 6 dicembre 2017, Vladimir Putin – durante una visita alla base militare di Hmeimim– annuncia la vittoria sui terroristi e il ritiro delle truppe russe in Siria[1]; il 10 dicembre dello scorso anno,il primo ministro iracheno Haider al-Abadi dichiara festa nazionale per celebrare il “giorno della vittoria” dell’Iraq sullo Stato Islamico[2].
Mentre il 2017 si chiude con lo Stato Islamico sconfitto sul piano militare e territoriale, il 2018 si apre con un nuovo interrogativo: la minaccia di IS è svanita? Purtroppo il problema è ben lontano dall’essere risolto, e ancora più lontana è l’idea che la minaccia di IS in Occidente sia stata neutralizzata.
Lo Stato Islamico è stato sconfitto a livello militare e territoriale, ma non virtuale.
Un pezzo fondamentale della sanguinaria jihad globale che negli ultimi anni ha seminato terrore in occidente, è stata combattuta sul piano della comunicazione[3]. Ciò che contraddistingue lo Stato Islamico dagli altri gruppi terroristici – del passato e ad esso contemporanei – è la vasta operazione di propaganda strategicamente costruita dal network jihadista e supportata dall’utilizzo di diversi strumenti comunicativi. I video, i giochi, i magazine online e le brochure promozionali dimostrano che, quella di IS,è una comunicazione non convenzionale che si nutre della rete e che utilizza la rete per sopravvivere, eletta come piazza virtuale in cui militanti e simpatizzanti possono incontrarsi, sostenersi e organizzarsi all’azione. Il web ricrea virtualmente quell’interazione che, al tempo di Osāma bin Lāden, avveniva fisicamente tra i seguaci di al-Qāʿida nei territori da essa occupati.
Quella che viviamo oggi è una jihad 3.0, che si adatta ai cambiamenti e muta pelle difronte alle sconfitte. Secondo l’analisi di Colin P. Clarke[4], pubblicata su Foreign Affairs dal titolo “How ISIS is Transformin[5]”, lo Stato Islamico continuerà a utilizzare la rete e i social network con l’obiettivo di educare i proseliti e incitare ad attacchi terroristici spettacolari in Occidente. La spettacolarizzazione della violenza è un elemento necessario affinché l’atto terroristico abbia il riconoscimento simbolico desiderato: la platea della mise en scène del terrore è nella rete e nei tradizionali mezzi di comunicazione di massa, attraverso i quali il messaggio – strategicamente costruito per la promozione e il reclutamento di adepti – diventa virale.
La comunicazione, secondo P. Clarke, assumerà probabilmente un significato ancorpiù decisivo poiché il gruppo – sconfitto territorialmente e militarmente – non rinuncerà a esortare i seguaci di tutto il mondo a commettere atti di violenza in suo nome, fino a quando il progetto del califfato non sarà riorganizzato con forme e modalità lungi dall’essere definite.
Quella dello Stato Islamico oggi, è una narrativa completamente nuova: una propaganda che non fa più leva sul progetto nazionalista, ma induce all’azione attraverso qualsiasi mezzo disponibile. Questa nuova strategia è ampiamente diffusa attraverso il più recente magazine online di propaganda edito e diffuso da al-Ḥayāt Media Center, intitolato Rumiyah[6]. Già dal secondo numero della rivista[7], gli autori esortano all’ “intifada dei coltelli”, ossia l’invito a utilizzare armi bianche e facilmente reperibili per mettere in atto azioni terroristiche in nome dello Stato Islamico.
La difficoltà o incapacità,dimostrata dall’Occidente nel combattere la narrativa jihadista in rete ci espone al rischio che nuovi gruppi, sulla scia della propaganda ideologia dello Stato Islamico, si sentano in dovere di prendere le redini di quest’ultimo per chiamare nuovamente a raccolta i musulmani di tutto il mondo, affinché si realizzi l’obiettivo – mai mutato – di costituire il califfato musulmano, considerato l’epoca d’oro dell’islam.
Diventa dunque priorità l’appello di Colin P. Clarke ai governi occidentali, affinché dedichino molte più risorse nell’analisi della comunicazione strategica e nelle operazioni d’informazione volte a smussare l’impatto dei messaggi terroristici, per far sì che questa guerra sia sconfitta anche sul piano ideologico e non solo militare.
D’altronde, come sostenne Marshall McLuhan alla vigilia della morte di Aldo Moro: “Staccate la spina e non ci sarà più terrorismo”[8]
Note
[1] Notizia pubblicata su Sky TG24, in data 11 dicembre 2017, disponibile al link: http://tg24.sky.it/mondo/2017/12/11/putin-assad-russia-ritiro-siria.html
[2] Notizia pubblicata su AGI, in data 11 dicembre 2017 disponibile al link: https://www.agi.it/estero/iraq_vittoria_isis_parata-3223593/news/2017-12-11/
[3]M.Maggiori e P.Magri, a cura di, “Il marketing del terrore. Twitter e Jihad: la comunicazione dell’ISIS”, ISPI edizione su licenza a Mondadori, 2016, p. 8.
[4]Colin P. Clarke è politologo presso la RAND Corporation e presso l’International Center for Counter Terrorism in Aia.
5 Analisi pubblicata su Foreign Affairs, in data 25 settembre 2017, disponibile al link: https://www.foreignaffairs.com/articles/middle-east/2017-09-25/how-isis-transforming
[6] La rivista è pubblicata a sostituzioni delle ben più famose Dabiq, Dar al-Islam come riorganizzazione della propaganda dopo la perdita della città di Dabiq, strategica dal punto di vista ideologico e territoriale.
[7]Rumiyah, Issue 2, al-Ḥayāt Media Center, Raqqa 2016, p. 12.
[8]cfr. Marshall McLuhan, febbraio 1978 in un’intervista a Gino Fantauzzi per Il Tempo.
Copertina: jihadology.net
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