Spagna: dove gli indipendentisti servono a formare la maggioranza di governo


In Spagna il ruolo degli indipendentisti catalani potrebbe cambiare: da criminali fautori di un referendum illegale nel 2017 a sostegno fondamentale per la formazione del nuovo governo Sanchez.


Il capitolo per la formazione di un nuovo governo in Spagna non è ancora finito. Dalla tornata elettorale di luglio, il paese sta per conoscere il suo nuovo governo, dopo mesi di contrattazioni che hanno visto impegnato Pedro Sanchez, futuro premier, nella formazione del governo. La soluzione del socialista pone il destino del nuovo governo nelle mani di Junts per Catalunya, il partito degli indipendentisti catalani, che alle urne ha ottenuto l’1,6% dei consensi. Il partito indipendentista è guidato da Carles Puigdemont, ex presidente della Catalogna, rifugiatosi in Belgio dopo il referendum ritenuto illegale del 2017, che vide la Catalogna votare per l’indipendenza. Oggi a quanto pare, i dissapori tra indipendentisti e stato centrale è stato messo a riposo, perché nel raggiungere un compromesso, Sanchez avrebbe fatto delle concessioni che molti giudicano “esagerate”. Nei fatti si tratta di una vera e propria amnistia: stop ai processi in atto e annullamento delle condanne già emesse nei confronti degli attivisti catalani. non si esclude che nella negoziazione possa essere incluso anche un futuro referendum sull’indipendenza catalana, che potrebbe avere luogo durante la nuova legislatura di Sanchez.

La tornata elettorale, una delle più complicate

Il 23 luglio 2023 la Spagna è stata chiamata al voto. C’era da eleggere i nuovi deputati e i nuovi senatori, e c’è stata subito grande attesa per la formazione del nuovo governo. L’affluenza è stata di oltre il 66% degli aventi diritto, ma il risultato non ha dato vittoria schiacciante a nessuno . Dalle urne è uscito un 33,1% per il Partido Popular di Alberto Núñez Feijóo; Pedro Sanchez e il suo PSOE ha ottenuto il 31,7%; la destra di Vox, guidata da Santiago Abascal Conde si è assestato al 12,4%; il 12,3% è andato a Yolanda Díaz Pérez della Coaliciòn SUMAR; infine il pomo della discordia, Junts por Catalunya di Miriam Nogueras ha preso l’1,6%, ma è stata comunque l’ago della bilancia. È apparso subito chiaro che nessuno dei due partiti più votati avesse una maggioranza tale da poter governare in solitaria. Si è reso necessario formare un governo di coalizione, e per fare ciò, Pedro Sanchez è dovuto ricorrere agli accordi e ai negoziati per trovare una quadra. Sono stati mesi duri per la Spagna, ben quattro mesi senza un governo. Ora però, pare che si sia raggiunto un accordo grazie ai catalani di Junts. In questi giorni il Congresso dei Deputati, in seduta plenaria lo voterà. Il partito socialista di Sanchez ha cercato di mettere in piedi una maggioranza di sinistra, inglobando SUMAR, i regionali Bildu e Bng ed Esquerra Repubblicana (ERC).

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La partecipazione dei catalani di ERC non è avvenuta senza condizioni: il futuro premier spagnolo ha dovuto fare delle concessioni come la gestione delle ferrovie locali alla Generalitat catalana e il condono di 20% del debito che la Catalogna detiene nei confronti di Madrid. Ma ciò che sta letteralmente spaccando l’opinione pubblica spagnola e infiammando il dibattito politico è l’amnistia . In sostanza, con tale accordo, gli indipendentisti catalani già condannati vedranno annullate le loro condanne, mentre chi è sotto indagine potrebbe passarla liscia. Sul piede di guerra la giustizia spagnola con giudici e addetti ai lavori; su tutti il Consiglio Generale del Potere Giudiziario, organo principale della giustizia in Spagna, che si è detto contrario all’amnistia. Certo, c’è da dire che storicamente il Consiglio esprime una maggioranza conservatrice, ma è anche vero che i dubbi dell’organo giudiziario provengono anche dal fatto che solo poco tempo fa uno dei giudici istruttori aveva aperto un’indagine contro Carles Puidgemont, riguardo l’affare Tsunami Democratic un’inchiesta che vede accusato il leader catalano per l’utilizzo di una piattaforma a scopo terroristico. Secondo tale accusa, la piattaforma sarebbe stata utilizzata per pianificare e organizzare alcuni attentati durante il 2019, per vendetta rispetto alle conseguenze del referendum del 2017.

Amnistia? Cosa ne pensa l’UE

La proposta di concedere amnistia ai catalani, in cambio dell’appoggio a Sanchez, sembra piacere solo alla nuova maggioranza, ma le preoccupazioni sono tante. Mentre la destra guidata da Vox La Falange e Democracia Nacional, nonché dall’associazione della “gioventù patriottica” Revuelta scende in piazza e minaccia di insorgere, bisogna segnalare anche la preoccupazione che tale amnistia suscita in ambito europeo. il primo a dirsi preoccupato è stato il Commissario Europeo alla Giustizia Didier Reynders, che ha inviato una richiesta al governo spagnolo di ricevere chiarimenti e conoscere i dettagli dell’accordo . Dalla Spagna tuttavia, rassicurano dicendo che la proposta di amnistia, è appunto, solo una proposta e che il parlamento non ne ha ancora discusso. Bisognerebbe poi comprendere cosa voglia dire questo per i catalani, e quanto, in futuro, questi, potrebbero costituire l’ago della bilancia. È importante capirlo perché nel caso gli indipendentisti fossero davvero in grado di fare il bello e il cattivo tempo, l’aleatorietà della proposta di amnistia non sarebbe così fattibile.

Investitura di Sanchez: le prospettive

Nel frattempo, Pedro Sanchez ha ricevuto la fiducia del parlamento giovedì 16 novembre. 179 voti favorevoli e 171 contrari. Una maggioranza risicata, ma c’era da aspettarselo. Pertanto Sanchez si appresta a governare la Spagna per la terza volta di fila dal 2018, ma con un governo di minoranza, che nella sua eterogeneità si dimostra piuttosto fragile . Il compito del rinnovato premier sarà quello di tenere insieme le fila di questa alleanza basata sui compromessi. Ma è interessante vedere anche che aria tira a Barcellona dove le istanze indipendentiste sono molto forti e spesso prescindono dal colore politico. D’altronde, le autorità catalane sono sul piede di guerra per una recente decisione della Corte Suprema spagnola che obbligherebbe l’utilizzo della lingua castigliana nelle scuole catalane per almeno il 25% delle lezioni. I catalani lo considerano un vero e proprio smacco. Per questo motivo, la presenza di Junts e di ERC all’interno del governo Sanchez servono ad accentuare il ruolo delle istanze di Barcellona, a fare la voce grossa e ad avere voce in capitolo riguardo le politiche spagnole. Alla luce di tutto ciò è lecito chiedersi quanto è disposto il governo ad investire in questa intesa. Le aree della sinistra che compongono la maggioranza potrebbero essere coese, magari guidate da intenti comuni, ma gli accordi con le autonomie e le realtà indipendentiste potrebbero far traballare la struttura al primo sussulto. Si, perché, come ci sono i catalani, ci sono anche i baschi, con i quali Sanchez ha dovuto stringere un altro patto. Ora che il governo ha ottenuto la fiducia, bisognerà valutarne la tenuta. L’amnistia è stata la condizione chiara posta da Junts per mettere i suoi 7 deputati sotto l’ala di Sanchez; è vero che il disegno di legge per accontentare i catalani non sarà di certo il primo pensiero del governo, ma il rischio concreto è che, con il sostegno degli indipendentisti, anche un premier “navigato” come Sanchez potrebbe essere tirato per il colletto dal gruppo di maggioranza di turno.


Foto copertina: Pedro Sanchez riceve applausi dopo il voto di investitura a Madrid il 16 novembre. Fotografo: Paul Hanna/Bloomberg