Le operazioni di mantenimento della pace intraprese dall’ONU: nascita e sviluppo


Le operazioni di mantenimento della pace intraprese dall’ONU. I Caschi Blu: strumento di diplomazia preventiva o umanizzazione del diritto?


A cura di Chiara Grima

Operazioni di mantenimento della pace intraprese dall’Onu

Nel 1948, con la proclamazione dello Stato di Israele, ha avuto inizio il lungo conflitto tra arabi ed israeliani ed è proprio da tale conflitto che nacque anche uno degli strumenti più importanti in grado di prevenire i conflitti.
Infatti, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU adottò la RES.50 (Uniting for Peace), con la quale, con effetto prodromico rispetto alle moderne “operazioni per il mantenimento della pace”, fu concepita l’UNTSO (United Nations Truce Supervision Organization), la cui ratio era fornire supporto al Mediatore e alla Commissione di tregua per la Palestina. Il concetto e la regolamentazione delle operazioni di pace si è evoluto in più fasi e con l’UNTSO, concepita come azione meramente conciliativa, era stato fatto il primo passo. Non passò molto tempo prima che si ritenne nuovamente necessario un intervento dell’ONU per il mantenimento di una forma di concordia tra i popoli.
Era il 1956 e la crisi di Suez rischiava di far scoppiare una polveriera tra Egitto, Francia, Israele e Regno Unito. In tale contesto, con la RES.1001 del 1956, l’Assemblea Generale ha reso possibile l’esplicarsi della prima operazione di peacekeeping che, in una posizione di novità ed evoluzione rispetto al passato, oltre al mero compito di monitoraggio era caratterizzata da un fondamentale compito di mantenimento della pace.
Il contingente di tale operazione era costituito dai cosiddetti caschi blu, militari delle Forze internazionali di Pace dell’ONU, così chiamati per il peculiare colore dell’elmetto indossato.

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L’anzidetta risoluzione riprese e sviluppò la proposta dell’allora Presidente canadese Lester Pearson di creare una “Forza Di Emergenza” dell’ONU (UNEF I). Con le caratteristiche di internazionalità, indipendenza, carattere limitato dell’utilizzo della forza e rilevanza del consenso dello “Stato ospitante”, l’UNEF I si inserisce tra quelli che l’ex Segretario generale della Nazioni Unite, Dag Hammarskjöld, considerava atti a metà tra il capitolo VI ed il capitolo VII della Carta dell’ONU, oscillando quindi tra una forma di risoluzione pacifica delle controversie ed una misura implicante l’utilizzo della forza. Hammarskjöld definì i caschi blu uno strumento di “diplomazia preventiva”, neutrali, imparziali e privi di interferenze politiche.
L’assenza di uno specifico e puntuale punto di riferimento normativo permette a tali missioni dell’ONU di poter esplicare le proprie funzioni senza vincoli di natura definitoria. In aggiunta, essenziale per legittimare le operazioni di mantenimento della pace è stata la conferma effettuata dalla Corte Internazionale di Giustizia nel 1962[1]

Sempre collocandoci nei primi anni di attività delle operazioni di pace dell’Onu, un ulteriore snodo importante nell’ evoluzione di tale ambito del diritto internazionale è stata l’ONUC, la prima operazione su larga scala che risale al 1960 e che riguardò il conflitto in Congo. Per la prima volta, il personale militare coinvolto raggiunse le 20.000 unità.

In linea con quanto constatato dalla International Society for Military Law and the Law of War, (ISMLLW),[2] , il periodo compreso tra il 1987 ed il 19991 ha caratterizzato la seconda fase evolutiva delle operazioni di pace dell’ONU, caratterizzata da un ruolo più attivo del contingente militare in contesti di guerre regionali di lungo periodo. Un esempio ne sono le operazioni in Pakistan e Afghanistan. Al termine di tale periodo di transizione si è visto un incremento delle operazioni di pace che, nonostante vari fallimenti, hanno cercato di concentrarsi sui tentativi di protezione della popolazione civile tramite riorganizzazione dell’assetto militare e politico, supporto nel raggiungimento di accordi di pace e realizzazione di istituzioni democratiche.

Nel 1992 il Consiglio di Sicurezza, con la dichiarazione “un’Agenda per la pace”, ha indentificato vari componenti all’ interno della macro-aria delle operazioni di peacekeeping.

In questo ambito fu istituito l’United Nations Standby Arrangements System (UNSAS) il cui scopo era quello di ottenere un contingente militare che si occupasse di operazioni di peacekeeping e semplificasse gli accordi tra Stati. Nel 1995, il Segretario Generale dell’ONU Boutros-Ghali, presentò un “supplemento all’agenda per la pace”. Tale documento poneva in evidenza l’aumento dei conflitti interni, il cambiamento qualitativo dell’attività delle nazioni Unite nell’ ambito di utilizzo della forza ed un nuovo funzionamento di dette operazioni. In molti casi queste sorgevano in seguito al termine di un conflitto e con il compito di sedare problemi di natura civile, cercando di contribuire alla realizzazione di quanto pattuito tra le forze belligeranti. Se il periodo successivo alla fine della guerra fredda è stato caratterizzato dall’ emergere di numerose problematiche e criticità in seno al funzionamento delle operazioni di mantenimento della pace, questi anni sono stati altrettanto floridi di tentativi di evoluzione e perfezionamento della disciplina corrispondente. Nel 2000, il primo ministro Algerino presentò al Segretario Generale il “Brahimi Report”, nel quale vennero messe in evidenza le criticità in materia di operazioni di pace, adottando inoltre un serie di soluzioni per prevenire e combattere le stesse. Quanto contenuto nel report del 2000 è stato poi ripreso all’ interno dell’United Nations Peacekeeping Operations: Principles and Guidelines (DPKO) e con il tempo è diventato uno dei documenti principali di riferimento quando si parla di operazioni di pace perpetuate dall’ ONU. L’ anno successivo, nel 2001, fu sviluppato dalla Commissione internazionale sull’ intervento e la sovranità statale, il concetto della Responsability to Protect(R2P). La R2P fu adottata all’ unanimità durante la più grande riunione dei capi di Stato e di Governo della storia dell’ONU (UN World Summit, 2005) ed è contenuta nei paragrafi 138 e 139[3] del “World Summit Outcome Document”.

Non si tratta di un mero obbligo di intervento ma di una vera e propria forma di responsabilità. Oggi il concetto di R2P è fondamentale per la dottrina internazionale ma anche per la prassi applicativa delle competenze del Consiglio di Sicurezza e dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite anche in relazione alle operazioni di pace.

Un diritto “umanizzato”

Soprattutto secondo quanto emerge dalla prassi delle Nazioni Unite, le Operazioni di Pace sino a qui descritte possono essere regolate dal diritto internazionale umanitario (DIU). Nel 1999 infatti, il Segretario Generale ONU ha pubblicato una Circolare sull’ osservanza di tale diritto da parte dei caschi blu quando coinvolti come forze combattenti. Queste regole spesso hanno trovato una corrispondenza nei vari Status of Forces Agreement (SOFAs) tra l’Onu e gli Stati ospitanti le operazioni di pace. L’ applicazione del DIU prescinde dal fatto che le forze siano state schierate come membri di un’operazione di pace e ciò, nell’ ottica della distinzione tra jus in bello e jus ad bellum, separazione che ha portato alla consapevolezza che il diritto dei conflitti armati possa venire applicato agli Stati così come alle organizzazioni internazionali e ai gruppi armati coinvolti.

L’applicabilità del DIU deve essere determinata su un’analisi caso per caso. Lo jus in bello è nato sul campo della battaglia di Solferino allo scopo di tutelare coloro che non erano più in grado di prendere parte al conflitto, a prescindere dalla Nazione di appartenenza. Con il passare del tempo si è vista però una progressiva “umanizzazione “del diritto dei conflitti armati e ciò ha portato ad una maggiore attenzione ai diritti delle vittime civili e ad una prevalenza della denominazione di diritto internazionale umanitario, in una reciproca interferenza tra diritti umani e diritto di guerra.


Note

[1] Certain expenses of the United Nations (Article 17, paragraph 2, of the Charter), Advisory Opinion of 20 July 1962: I.C.J. Reports 1962, p.151
[2] International Society for Military Law and the Law of War, 1956.


Foto copertina: le operazioni di mantenimento della pace intraprese dall’ONU