Tra guerra civile, ingerenze esterne e una crisi umanitaria senza precedenti, il Sudan è intrappolato in un conflitto che minaccia di destabilizzare l’intera regione. Mentre le potenze regionali si contendono il controllo del paese, milioni di civili lottano per sopravvivere.
A cura di Martina Migliorisi
Tra violenza e indifferenza
Da quasi due anni, precisamente da Aprile 2023, il Sudan è teatro di una guerra devastante combattuta tra le Forze Armate Sudanesi (SAF), guidate da Abdel Fattah al-Burhan e le Forze di Supporto Rapido (RSF), guidate da Mohammed Hamdan Dagalo, conosciuto come Hemedti. Circa 25 milioni di persone, più di metà della popolazione, ha urgente bisogno di aiuti umanitari, 6.8 milioni sono gli sfollati interni e 2 milioni gli abitanti sfuggiti dal paese. Nonostante i richiami dell’ONU e di varie ONG per spedire aiuti umanitari e provare a fermare la violenza, la risposta della comunità internazionale è stata pressoché assente. Interferenze esterne e interessi regionali deteriorano la già gravissima situazione in Sudan, dove carestia e violenza sono una costante quotidiana per la popolazione. Le RSF sono accusate di essere responsabili di genocidio in Darfur,e il 5 marzo il Sudan ha presentato una denuncia per genocidio alla Corte internazionale di giustizia (CIG) contro gli Emirati Arabi Uniti per il loro sostengo alle RSF.
Oggi, la battaglia in corso a Khartoum segna una fase cruciale del conflitto, con l’esercito sudanese (SAF) nella capitale quasi due anni dopo essere stato espulso dalla città nell’arile 2023. Se le SAF riusciranno nello sforzo di riconquistare Khartoum, sarà una vittoria significativa sulle Forze di Supporto Rapido (RSF). Questa possibilità avrebbe riscontri importanti anche sugli attori esterni coinvolti nel conflitto, e potrebbe aumentare l’impegno regionale nella guerra e portare a una spartizione informale del paese.
Le radici storiche del conflitto
Il conflitto in Sudan ha radici profonde. Nel periodo post-coloniale il paese è stato governato per trent’anni dal dittatore Omar al-Bashir, salito al potere dopo un colpo di stato. Durante il suo regime, al-Bashir ha vissuto una guerra civile, la secessione del Sudan del Sud e il conflitto in Darfur, successivamente riconosciuto dalla Corte Penale Internazionale come genocidio contro le popolazioni non arabe, tra cui i Fur, gli Zaghawa e i Masalit. L’oppressiva dittatura di al-Bashir è terminata nel 2019, con un colpo di stato da parte delle Forze Armate Sudanesi (SAF) assieme alle Forze di Supporto Rapido (RSF). Dopo la caduta del dittatore il Sudan ha inizialmente vissuto con un breve governo guidato da Abdalla Hamdok, seguito da un altro colpo di stato da parte delle SAF e delle RSF, e un successivo ma breve ritorno di Hamdok che lasciò definitivamente la carica nel Gennaio 2022. Da quel momento, Burhan e Hemedti sono saliti al potere in Sudan, con Burhan come leader del paese. Disordine e disaccordi tra i due leader in continuo aumento sono precipitati fino ad arrivare a esplosioni nella capitale Khartum per le quali SAF e RSF si incolparono a vicenda, e la violenza tra le due fazioni sfociò nella guerra civile per cui ancora oggi non sembrano esserci spiragli di luce.[1]
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Gli attori esterni e i loro interessi
La guerra civile in Sudan non è solo una questione interna. Nonostante lo sforzo internazionale per fermare il conflitto sia quasi nullo, diversi stati stanno giocando un ruolo attivo nella guerra, anche alimentandola. Il Sudan, con la sua posizione strategica che connette Africa e Asia Occidentale, le sue risorse naturali e l’accesso al Mar Rosso, ha tristemente trasformato il conflitto in una crisi regionale, dove diversi stati perseguono i propri interessi. I due attori principali che hanno un ruolo nella guerra sono l’Arabia Saudita, e, soprattutto, gli Emirati Arabi Uniti. Riyad supporta le SAF, mentre Abu Dhabi collabora con le RSF. Sebbene Arabia Saudita e Emirati siano apparentemente alleati, la loro relazione è sempre stata contrassegnata da una competizione per una maggiore influenza nella regione. In questo contesto, i due stati hanno esteso la loro competizione in Africa, e in particolare in Sudan. Inizialmente, gli interessi di Riyad e Abu Dhabi in Sudan coincidevano, con entrambi i governi che investivano nel paese. Ma successivamente, gli obbiettivi di Mohammed bin Salman (MBS) e Mohammed bin Zayed (MBZ) presero due strade diverse, sia in Sudan che in Yemen, dove va avanti una guerra civile dal 2014. Infatti in Yemen, l’Arabia Saudita supporta il governo del presidente Abed Rabbo Mansour Hadi (riconosciuto internazionalmente), mentre gli Emirati il Consiglio di Transizione del Sud.[2] In Sudan invece, MBS si è schierato con Burhan assieme ad Egitto e, più recentemente, Iran, Russia e Turchia mentre MBZ appoggia Hemedti assieme al generale libico Haftar e al gruppo Wagner.
Come questo articolo ha già scritto precedentemente, gli Emirati Arabi sono l’attore esterno più importante nel conflitto in Sudan. Nonostante Abu Dhabi neghi l’evidenza, il paese finanzia e arma le forze delle RSF[3], che senza il supporto diretto di MBZ non sarebbero riuscite a proseguire la guerra con la stessa intensità. Nel mentre che le RSF uccidono quotidianamente la popolazione sudanese, in Darfur in particolare dove sono nuovamente accusati di genocidio, gli Emirati Arabi spediscono armi al gruppo armato, violando un embargo sulle armi dell’ONU e spacciandole per aiuti umanitari.[4] Armi spedite attraverso corridoi in Libia, Chad, Repubblica Centro Africana, Sudan del Sud e Uganda, anche grazie all’aiuto di Haftar e della Wagner. Inoltre, operazioni logistiche e affari finanziari delle RSF si svolgono negli Emirati, e soldati feriti sono trasportati in ospedali ad Abu Dhabi. Hemedti ha anche viaggiato verso paesi africani a bordo di aerei emiratini di compagnie vicine a MBZ.[5] In cambio, le RSF trafficano oro dal Sudan agli Emirati e facilitano i piani di Abu Dhabi di costruire porti lungo la costa del Mar Rosso in Sudan.[6] Date le riserve petrolifere di Abu Dhabi, la sua importanza strategica, l’ostilità con l’Iran e il ruolo nella mediazione della guerra a Gaza, il sostegno emiratino per le RSF e la complicità con i crimini commessi in Sudan, il governo emiratino rimane sostanzialmente impunito dall’occidente.[7]
Il Sudan è il quarto paese africano per produzione d’oro, e uno dei maggiori produttori al mondo. Hemedti, il capo delle RSF, già prima dello scoppio della guerra civile controllava numerose miniere nel paese, diventando così uno degli uomini più ricchi del paese. Come cresceva il suo ruolo nelle miniere d’oro, così cresceva l’interesse e dunque la relazione di Abu Dhabi con il capo delle RSF, che iniziò a mandare soldati del gruppo in Libia e Yemen per sostenere gli interessi di MBZ.[8] Gli Emirati beneficiano ampiamente di questa situazione, ricevendo oro sudanese e poi riciclandolo nel mercato internazionale, con un traffico che nel 2022 è stato stimato a oltre 2 miliardi di dollari.[9] Come gli Emirati, anche la Wagner aiuta militarmente le RSF in cambio d’oro, ed il gruppo è attivo in Sudan dal 2017 quando supportava l’ex dittatore al-Bashir.[10] Infine, il traffico d’oro esiste anche in aree controllate dai militari della SAF, che dall’inizio del conflitto trasportano illegalmente oro all’Egitto.
Mentre gli Emirati sono impegnati ad armare le RSF in cambio dell’oro, l’Arabia Saudita finanzia le SAF e punta a sua volta ad avere maggiore influenza nella regione. Inoltre, Riyad ha un ruolo importante come mediatore nel conflitto; MBS ha sponsorizzato vari incontri per un cessate il fuoco in Sudan, tra cui iniziative di pace con la partecipazione degli USA a Gedda, che non hanno però portato ad uno stop alla violenza.[11] Anche l’Egitto supporta le SAF e ha vari interessi nel farlo, tra cui; proteggere il suo confine meridionale con il Sudan, mantenere influenza nella regione, assicurarsi stabilità e sicurezza idrica del Nilo e vincere la disputa con l’Etiopia sulla Grande Diga del Rinascimento Etiope, cruciale per Il Cairo. Nonostante al-Sisi continui a supportare le SAF, questo significa per l’Egitto trovarsi circondato da conflitti lungo tre dei suoi confini.[12]
Lo stesso vale per la Turchia, che finanzia le SAF per espandere la sua influenza in Africa e nel Mar Rosso, così come Russia e Iran.
Un punto di svolta nel conflitto?
Dopo quasi due anni di guerra, Khartoum è tornata al centro della lotta per il controllo del Sudan, e le SAF, che all’inizio della guerra erano state costrette a ritirarsi, hanno recentemente lanciato una massiccia offensiva per riprendere la città. Le SAF sono ora supportate anche da altri gruppi militari, e hanno iniziato a costruire un’alleanza militare composita e complessa, includendo ex ribelli del Darfur, milizie islamiche, gruppi tribali locali e combattenti Tigray dall’Etiopia. Supportate da bombardamenti aerei e da nuove milizie alleate, sono riuscite a riconquistare aree strategiche, tra cui il complesso dell’esercito e alcune sezioni cruciali di Omdurman e Bahri. Tuttavia, il controllo di Khartoum resta incerto: mentre le SAF avanzano, le RSF si riorganizzano, adottando tattiche di guerriglia e fortificando le zone ancora sotto il loro dominio.
La battaglia non è solo militare: il suo esito avrà ripercussioni politiche enormi. Se Burhan riuscirà a consolidare il controllo su Khartoum, potrebbe rivendicare una vittoria simbolica e strategica, rafforzando la sua legittimità agli occhi della comunità internazionale. Ma una vittoria militare non significherà necessariamente la fine della guerra: le RSF potrebbero spostare il conflitto in altre regioni, intensificando la violenza nel Darfur e nel Kordofan.
Il Sudan rischia così di entrare in una nuova fase di guerra asimmetrica, con sacche di resistenza e attacchi improvvisi che potrebbero prolungare il conflitto per anni.[13]
Il Sudan sembra avviarsi verso un destino incerto: una divisione de facto tra le due fazioni principali. Le SAF controllano gran parte del nord e dell’est del paese, mentre le RSF mantengono posizioni nel Darfur e nel Kordofan. Un elemento chiave di questa possibile divisione è il tentativo delle RSF di consolidare la propria legittimità politica. Recentemente, Hemedti ha cercato alleanze con attori regionali e ha persino promosso la creazione di un governo parallelo, con il supporto del Kenya. Questa mossa non è solo simbolica: indica un possibile tentativo di costruire una struttura statale alternativa, capace di sfidare il dominio delle SAF a livello internazionale. Allo stesso tempo, l’aumento dell’influenza delle milizie locali complica ulteriormente il quadro. Nel Darfur, gruppi armati che un tempo combattevano contro il governo centrale stanno ora collaborando con le SAF per contrastare le RSF. Tuttavia, questi stessi gruppi potrebbero rivoltarsi contro Burhan se non vedranno riconosciute le loro richieste politiche e territoriali.
L’assenza di un’autorità centrale forte rischia di creare un Sudan diviso in enclave, governate da signori della guerra con alleanze mutevoli. In questo contesto, la guerra potrebbe non concludersi con una chiara vittoria di una delle due parti, ma piuttosto trasformarsi in un conflitto prolungato e sempre più frammentato, con il coinvolgimento di attori esterni che continuano a perseguire i propri interessi.[14]
Il costo umano della guerra
Dietro gli sviluppi militari, le interferenze esterne e gli interessi regionali si cela la sofferenza del popolo sudanese, vittima di una delle più gravi crisi umanitarie a livello globale. Più della metà della popolazione, composta da 45 milioni di persone, ha urgente bisogno di assistenza umanitaria, e il paese è colpito della più grande crisi alimentare al mondo. In particolare, a rischio è la regione occidentale del Darfur, già segnata da un genocidio e di nuovo luogo di violenze quotidiane. Entrambe le parti si rendono responsabili di crimini di guerra: nei territori controllati dalle RSF si registrano violenze indiscriminate contro i civili, violenze sessuali, incendi di villaggi e uccisioni di massa, mentre le SAF aggravano il massacro bombardando villaggi e provocando ulteriori vittime civili. Secondo Human Rights Watch, le RSF in Sudan sono colpevoli di genocidio e crimini contro l’umanità nel Darfur.[15]
L’enorme crisi alimentare nel paese è la conseguenza diretta di una tattica di entrambi i gruppi armati, che utilizzano la fame come vera e propria arma di guerra, un’arma semplice, non costosa, ma devastante per la popolazione. Le RSF saccheggiano i villaggi in cui arrivano e deprivano gli abitanti di cibo e acqua, e le persone che soffrono sono soprattutto abitanti del Darfur di entia Fur, Zaghawa e Masalit. Allo stesso tempo le SAF si assicurano che le aree da loro controllate abbiano a disposizione le risorse necessarie, ma bloccano aiuti umanitari diretti nelle aree controllate da Hemedti. Infatti, Burhan crede che, senza cibo, i componenti delle RSF si rivoltino contro Hemedti, e per questo stesso motivo, le SAF hanno utilizzato il loro ruolo all’ONU come governo riconosciuto per impedire l’invio di aiuti in certe aree del paese.[16]
Nel silenzio della comunità internazionale
Nonostante l’altissimo numero di morti e di civili a rischio gli sforzi internazionali per fermare concretamente il conflitto e l’attenzione mediatica sono stati finora molto scarsi. Sia Emirati che Arabia Saudita non sono riusciti a proporre soluzioni per il conflitto: i colloqui di pace a Gedda non hanno portato a un accordo, Riyad non vuole la partecipazione degli Emirati e Abu Dhabi non vuole che MBS influenzi l’accordo o si prenda il merito per una possibile risoluzione del conflitto. I prospetti di pace sono fragili e lontani, e a meno che la comunità internazionale non prenda dei passi completi e non denunci i crimini commessi da entrambe le parti e le interferenze estere il Sudan rischia di rimanere intrappolato in un conflitto violento e che sembra senza fine. Anche l’accusa che il Sudan ha rivolto agli Emirati Arabi Uniti non sembra avere molte possibilità di procedere, ma riflette ancora una volta gli sforzi per portare l’attenzione internazionale su un conflitto dimenticato. Senza un impegno concreto e coordinato, il Sudan rischia di diventare un conflitto cronico, con ripercussioni devastanti non solo per il paese e la sua popolazione, ma per l’intera regione del Corno d’Africa.
Note
[1] Civil War in Sudan, Council of Foreign Relations, 21 Marzo 2025
[2] Talal Mohammad, How Sudan became a Saudi-UAE Proxy War, Foreign Policy, 12 luglio 2023
[3] Security Council Report, Sudan: Closed Consultations, 28 aprile 2024
[4] By Declan Walsh and Christoph Koettl, How a U.S. Ally Uses Aid as a Cover in War, The New York Times, 21 Settembre 2024
[5] Husam Mahjoub, It’s an open secret: the UAE is fuelling Sudan’s war –andthere’ll be no peace until we call it out, The Guardian, 24 Marzo 2024
[6] La guerra civile in Sudan, IAI, 28 giugno 2024
[7] John Prendersgast, Anthony Lake, The UAE’s Secret War in Sudan, Foreign Affairs, 31 luglio 2024
[8] John Prendersgast, Dirty Money Is Destroying Sudan, Foreign Affairs, 27 febbraio 2024
[9] John Prendersgast, Anthony Lake, The UAE’s Secret War in Sudan, Foreign Affairs, 31 luglio 2024
[10] Catrina Doxsee, How Does the Conflict in Sudan Affect Russia and the Wagner Group?, CSIS 20 aprile 2023
[11] Talal Mohammad, How Sudan became a Saudi-UAE Proxy War, Foreign Policy, 12 luglio 2023
[12] La guerra civile in Sudan, IAI, 28 giugno 2024
[13] Battle for Khartoum Marks a Crossroads in Sudan’s Civil War, International Crisis Group, 21 febbraio 2025
[14] Ibid.
[15] Sudan: Ethnic Cleansing in West Darfur Thousands Killed, Half Million Remain Displaced, Human Rights Watch, 9 maggio 2024
[16] Alex de Waal, Sudan’s Manmade Famine, Foreign Affairs, 17 giugno 2024
Foto copertina: South Sudanese returnees and Sudanese refugees entering South Sudan through the Joda crossing point in November 2023.
©UNHCR/Ala Kheir