La complessa lettura delle motivazioni della Corte costituzionale nella sentenza numero 365 del 2007
A cura di Gianmarco Castaldi
Introduzione
Durante le ultime settimane, i principali giornali nazionali diffondono notizie importanti sull’attuale stato delle cose in materia di immigrazione dal continente africano, ma non solo – ci si riferisce in maniera più particolare alla fuga di persone dal Terzo mondo non come luogo meramente geografico, l’Africa per l’appunto, ma come luoghi politicamente, socialmente ed economicamente poveri – , verso l’Europa. Un fenomeno quindi che in via principale si direziona verso quello che in maniera diffusa, ma impropria, si definisce – secondo logiche ormai puramente occidentali e in qualche senso tendenti a un passato tutto novecentesco – Primo mondo2. La stampa, quindi, riportando anche gli atteggiamenti delle varie strutture governative o comunque di potere politico, sottolinea, forse in maniera anche inconscia, l’ormai non più contenibile flusso di persone che da contesti altri si muovono verso le tipiche speranze di benessere occidentali.
L’emigrazione costituisce in realtà solo una parte di una grande piena fatta non solo di umani ma anche di capitali, di merci, di criminalità mafiosa, di terrorismo materiale e virtuale. Quella che, ancora oggi, si chiama globalizzazione, e di cui sentiamo parlare con maggior vigore – almeno per quelli della mia generazione3 – dal 2001 con le contestazioni da parte dei cosiddetti gruppi no-global che parteciparono agli scontri a Genova durante il G8, riesce con velocità a far muovere tutto, tutti e qualsiasi cosa.
Dal terrorismo internazionale, che sempre nel 2001 ha aperto a una nuova trattazione del fenomeno terroristico di matrice islamica, alla diffusione più capillare delle cosche italiane ndranghetiste, camorristiche e mafiose in Medio Oriente e in Sud America, fino all’universo parallelo degli attacchi informatici e del traffico di influenze canalizzato nel mondo social; dall’ininterrotta e, almeno per il momento, interrompibile emorragia umana che dal Terzo mondo si dirige verso i luoghi idealtipici del benessere, alla reale possibilità di indossare un capo d’abbigliamento prodotto dall’altra parte del mondo, la globalizzazione ha generato e genera incessantemente gioie e dolori di un pianeta interconnesso, rapido e estremamente cagionevole.
Nel contesto finora descritto si articola oggi la mia personale lettura/analisi della sentenza della Corte costituzionale numero 365 del 20074, con la quale la Consulta dichiarò l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Sardegna numero 7 del 2006. In particolare si dichiarò illegittima la rubrica della legge citata, l’articolo 1, comma 1, l’articolo 2, comma 2, lettera a) e il comma 3, limitatamente alla parola “sovranità” che la Regione utilizzò per fondare il proprio discorso nella creazione di una particolare consulta regionale, incaricata di formulare un progetto di articoli del nuovo statuto di «autonomia e sovranità del popolo sardo»5. In buona sostanza, la Corte costituzionale ribadì l’inesistenza di una sovranità regionale nell’Ordinamento italiano e la supremazia della sovranità interna dello Stato : «la sovranità interna dello Stato conserva intatta la propria struttura essenziale, non scalfita dal pur significativo potenziamento di molteplici funzioni che la Costituzione attribuisce alle Regioni ed agli enti territoriali»6.
Valutando l’oggi, tenendo comunque in considerazione l’anno di pronuncia della sentenza – in cui il processo di globalizzazione era già avviato e ben strutturato – le domande sorgono spontanee: uno Stato odierno, potente, occidentale come l’Italia, che non riesce a controllare e a gestire il problema dello sforamento dei propri confini politici, al pari di Francia, Usa, Spagna e di buona parte degli Stati europei, quanto può ancora definirsi sovrano e soprattutto in che termini? E ancora, uno Stato ultrapotente come lo sono gli Stati Uniti o la Francia quanto possono dirsi sovrani pur vivendo, almeno in particolari fasi storiche ultime, continui attacchi terroristici? Quanto possono essere sovrani gli Stati europei che non riescono ad intercettare le intromissioni esterne frutto del lavoro di criminali informatici? Sono interrogativi che scaturiscono dall’analisi di un contesto odierno e internazionale ma che si riflette in modo inevitabile anche all’interno delle mura di casa.
La sentenza oggetto di questo commento, in relazione agli interrogativi posti, porta a riflettere anche sul rapporto italiano tra Stato e Regioni, su una cosiddetta sovranità diffusa interna, o alternativamente su di una sovranità assente, estrapolabile in prima sostanza dalla Costituzione del 1948, che all’articolo 1 si limita ad attribuire la sovranità al popolo italiano, e ancor più notabile dalla riforma del Titolo V della Carta costituzionale operata all’interno di un processo giuridico avvenuto tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del nuovo Millennio. E infatti, in un’altra sentenza, è proprio la Corte costituzionale a sottolineare che: «l’articolo 1 della Costituzione, nello stabilire, con formulazione netta e definitiva, che la sovranità appartiene al popolo, impedisce di ritenere che vi siano luoghi o sedi dell’organizzazione costituzionale nella quale essa si possa insediare esaurendovisi»7.
D’altra parte, la sentenza che qui si commenta chiarisce, come espresso sopra, che in realtà una certa sovranità statale interna continua a vigere nel nostro Paese; una nazione che quindi, come suggerisce la stessa Corte costituzionale, pur riconoscendo le autonomie locali, sovrappone un determinato potere sovranista dello Stato nei confronti di esse (cfr. punto 6 del Considerato in diritto della sentenza della Corte costituzionale n.365).
Il quadro ha sicuramente natura complessa.
La decisione della Corte costituzionale
Con la sentenza numero 365 del 2007, la Corte costituzionale dichiarò l’illegittimità costituzionale della legge numero 7 del 2006 della Regione Sardegna. Tale disposizione regionale mirava in qualche modo a costituire e a istituire un nuovo organo regionale sardo, denominato propriamente “Consulta”, impegnato a formulare, attraverso un progetto di articoli, un nuovo statuto «di autonomia e sovranità del popolo sardo»8, da presentare al Consiglio regionale che successivamente avrebbe dovuto «deliberare un disegno di legge costituzionale da sottoporre al Parlamento nazionale»9. Questo nuovo organo regionale tutto sardo avrebbe dovuto chiarire inoltre – come sottolineato dall’articolo 2 della legge numero 7 della Regione Sardegna – , sempre all’interno del nuovo statuto, i «principi e caratteri della identità regionale; ragioni fondanti dell’autonomia e sovranità; conseguenti obblighi di Stato e Regione in relazione a tali caratteri, individuando idonee forme per promuovere i diritti dei cittadini sardi a condizioni connesse con la specificità dell’isola […]. Lo stesso progetto è, infine, legittimato ad indicare ogni altro argomento ritenuto rilevante al fine di definire autonomia e elementi di sovranità regionale»10.
L’allora Presidente del Consiglio dei ministri, all’epoca dei fatti era Romano Prodi, sollevò questione di legittimità costituzionale sulla legge sarda, con ricorso notificato il 31 luglio 2006. La Consulta giudicò ammissibile il ricorso e valutò come sufficienti «per entrare nel merito del giudizio di costituzionalità»11 alcuni parametri espressi dal Capo del Governo e in particolare l’articolo 1, comma 2, 5 e 114, comma 2 della Costituzione e l’articolo 1 dello Statuto speciale della Regione Sardegna.
La difficile equazione generata dalla sentenza
Uno dei primi chiarimenti che la Corte costituzionale adoperò in merito alla questione riguardò la perimetrazione dell’oggetto della sentenza. Infatti, la prima attenzione operata dalla Consulta si concentrò sulla parte della disposizione regionale in cui veniva menzionata la sovranità del popolo sardo e, più in generale, la sovranità regionale. Su tale misura, l’intera letteratura da me consultata per la costruzione della mia nota a sentenza si è espressa in maniera favorevole alla decisione della Corte; allo stesso tempo, molti studiosi hanno presentato molte perplessità in merito alle motivazioni espresse dalla sentenza riguardo alla decisione nei confronti della legge numero 7 del 2006 dell’ente regionale sardo. Procediamo con ordine.
Con una base costruita da parametri costituzionali e statuari, i giudici mossero le proprie motivazioni in un’unica e principale direzione: l’enunciato della legge numero 7 del 2006 della Regione Sardegna andava a rimodulare l’antico equilibrio garantito dalla Costituzione in merito ai rapporti tra Stato ed Enti locali in favore di una completa rivisitazione del modello regionalistico italiano. In poche parole, la legge avrebbe potuto provocare un danno all’assetto regionale del Paese in favore di connotazioni più caratteristiche di impianti federalistici. E ancora, si legge nelle righe della sentenza, la norma avrebbe potuto condurre ad un «ordinamento profondamente differenziato da quello attuale e […] caratterizzato da istituti adeguati ad accentuati modelli di tipo federalistico, normalmente frutto di processi storici nei quali le entità territoriali […] mantengono forme ed istituti della loro preesistente condizione di sovranità»12.
Seguendo le articolazioni della sentenza si scorge una equazione un tantino labile per cui sovranità sta a federalismo come autonomia sta a regionalismo. Questo costrutto ha generato ovvie perplessità all’interno della dottrina. In particolar modo, aspre critiche muovono in una direzione che considera tale definizione come un’idea anacronistica della differenziazione tra regionalismo e federalismo. Più nel merito, ciò che oggi appare complicato è operare una netta separazione tra le differenze delle tipologie di Stati federali e regionali e, ancor più nello specifico, il processo di costruzione – che nelle motivazioni della Corte appare omogeneo e uniforme – degli Stati federali. Secondo alcuni studiosi, tra cui il professor Beniamino Caravita di Toritto13 – tra i primi a pronunciarsi sulla sentenza – e il professor Paolo Caretti, l’affermazione in esame riguarda solo in parte la nascita e la successiva evoluzione di Stati federali, in cui le entità federate mantengono forme e istituti che risentono della loro preesistente condizione di sovranità.
Tale affermazione può valere per gli Stati Uniti o per la Svizzera, o, con qualche forzatura storica, per la Germania e per la Spagna […]; non vale per i federalismi sudamericani (Messico, Brasile, Argentina), in cui la sovranità degli Stati e delle provincie non è mai stata la questione di fondo, e il federalismo è stato lo strumento per tenere insieme Paesi molto vasti nel momento in cui si arrivava all’indipendenza e per evitare che le élites locali potessero giocare la carta di un assetto quasi feudale; non vale egualmente per gli altri federalismi di tipo anglosassone, quali l’India e l’Australia, che nascono dalla decolonizzazione; il richiamo a precedenti fasi di sovranità ha un significato completamente diverso in alcune esperienze di federalismi africani (Nigeria, Etiopia, in cui le componenti dell’assetto federale sono di carattere tribale14.
Ciò che in maniera veloce risalta è l’introduzione da parte della Corte costituzionale di un dilemma teorico, tendente anche a posizionamenti ideologici, di diritto pubblico, evitabile nel contesto della sentenza. La decisione avrebbe potuto esclusivamente limitarsi a esternare quanto ad esempio enunciato dall’articolo 1161516, comma 1, della Costituzione, in cui, riferendosi alle Regioni a Statuto speciale mai considera l’introduzione di elementi di sovranità ma piuttosto vi si riferisce sottolineando la particolare condizione di autonomia prevista dall’assetto costituzionale. Al pari dell’articolo 116 Cost, e per gli stessi motivi, si possono richiamare gli articoli 5, 114 e 119 Cost.
L’ipotesi di una supremazia statale derivante dagli art. 114, 117 e 138 Cost.
La sentenza della Corte trovò quindi ampia conferma nelle parole della dottrina almeno per quello che riguardò la decisione finale. Di contro, le motivazioni adottate furono aspramente criticate da buona parte degli studiosi. La dichiarata illegittimità costituzionale della legge numero 7 del 2006 della Regione Sardegna fu fautrice di un ampio dibattito teorico-dottrinale su vari fronti: in particolar modo, le diverse posizioni si articolarono sui vari binomi – federalismo/regionalismo e sovranità/autonomia – generati appunto in seguito al ricorso in via principale del Presidente del Consiglio e successivamente alla sentenza numero 365 del 2007 della Corte costituzionale.
Seppur con le dovute cautele che impone la strutturazione di una tale affermazione teorica, analizzando una sostanziosa parte della letteratura in merito si scorge una posizione alternativa al completo disaccordo in merito alle motivazioni adottate dalla Corte nel giudizio sulla legge sarda. In particolare, l’impianto si sviluppa intorno a tre articoli della Costituzione italiana, il 114 comma 117, 117 comma 218 e 13819. In questi casi, pur non risultando la netta attribuzione della sovranità all’ente Stato e neppure all’ente Regione, si evidenziano particolari condizioni nel rapporto tra i due soggetti della Repubblica per cui potrebbe, in maniera più facile, parlarsi di una supremazia dello Stato piuttosto che di sovranità.
L’articolo 114, tenuto in considerazione come parametro dalla Corte costituzionale, in seguito alla modifica del Titolo V della Costituzione viene considerato come uno dei principali detentori del principio autonomista garantito dalla Carta. Tale enunciato, con la modifica operata, garantisce in buona sostanza l’effettivo pluralismo istituzionale paritario. In molti casi però è da sottolineare come la dottrina ha affermato che tutti i soggetti menzionati dell’articolo 114 «concorrono tutti ad articolare il complessivo ordinamento repubblicano, ma nella distinzione dei rispettivi ruoli»20.
Tale posizione, a mio riguardo condivisibile, si innesta sulla considerazione per cui è vero che l’unità della Repubblica si solidifica attraverso l’esercizio delle competenze di tutti gli enti menzionati dall’articolo 114; ma allo stesso tempo non si può non tener conto del fatto che «in tale assetto complessivo le competenze dello Stato e gli istituti che sempre allo Stato fanno capo occupano una posizione di supremazia, in quanto sono gli organi dello Stato quelli nei quali si esprime nel modo più compiuto la sovranità popolare»21.
Spostando l’asse sul secondo articolo di questa posizione che chiarisce e suppone una supremazia – e non sovranità – dello Stato, l’articolo 117 comma 2 è forse ancor più chiarificatore. Nella norma vengono elencate le competenze riservate in maniera esclusiva allo Stato; non si può non tener conto, analizzando tale elenco, che si tratta di poteri «che fanno riferimento ad un soggetto (e non ad altri) che si deve far carico di esigenze di carattere generale, unitario [ordine pubblico e sicurezza, norme generali sull’istruzione, determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, difesa e forze armate], e che per questo si vede assicurata una posizione di supremazia nei confronti di tutti gli altri soggetti istituzionali»22.
La posizione assunta si rifà in qualche modo alla dichiarazione della decisione della Corte che considera la sovranità interna dello Stato – mentre qui si tenta solo di chiarire una posizione di supremazia – come un qualcosa che risulta «non scalfita dal pur significativo potenziamento di molteplici funzioni che la Costituzione attribuisce alle Regioni ed agli enti territoriali»23.
Pur considerando il fatto che alle Regioni spetta la competenza sulle materie non elencate dal comma 2° dell’articolo 117 Cost., non si può non tener conto della posizione assumibile dallo Stato, in funzione di controllore, in determinati casi. A tal proposito è l’articolo 120, comma 2 Cost.24 a fare da chiarificatore: secondo tale norma, il Governo può operare al posto delle Regioni, si va in qualche modo a sostituire ad esse, in caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o in materie di sicurezza pubblica.
A completare questo costrutto teorico-ideologico, secondo cui lo Stato mantiene una posizione di supremazia rispetto agli altri enti e in particolar modo rispetto alle Regioni è l’articolo 138 della Costituzione. Per una considerevole parte degli studiosi, l’articolo 138 Cost. richiama in un certo senso a quel potere cosiddetto supremo, che scaturisce da decisioni supreme, e che appartiene in maniera esclusiva allo Stato. Nel caso italiano tale potere potrebbe identificarsi innanzitutto nell’esternazione e nell’esercizio da parte dello Stato del cosiddetto potere costituente avutosi tra il 1946 e il 1948; e in secondo luogo, potrebbe ricavarsi dalla penultima norma della Carta, che venne richiamata come parametro dal Presidente del Consiglio ma che non fu ritenuta poi ammissibile da parte della Corte nel mezzo della decisione, che attribuisce allo Stato, e solo ad esso, il potere e l’esercizio di modifica e revisione della Costituzione e delle leggi costituzionali25.
In definitiva, tentando di chiudere il paragrafo – e tentando ancor più di evitare assunzioni contraddittorie –, questo mio terzo punto si esprime in favore di una considerata posizione suprema dello Stato sia rispetto a tutti gli altri enti e sia, e più in particolare, nei riguardi delle Regioni. La personale dissertazione cerca di sottolineare i vari aspetti, interni agli articoli della Costituzione, che attribuiscono allo Stato una tale posizione. Seppur in disaccordo con parte delle motivazioni espresse dalla sentenza della Corte, in particolar modo il personale contrasto deriva dalla dichiarazione di sovranità dello Stato sulle Regioni26 – un punto considerabile improprio – , ritengo opportuno ribadire che solo lo Stato, nelle sue organicità, gode di poteri supremi nei confronti degli altri enti istituzionali; poteri che quindi garantiscono al soggetto statale la presa in carico esclusiva di abilità di carattere generale che garantiscono l’unità e l’indivisibilità della Repubblica italiana.
La storica e superata tripartizione dei modelli statali
La sentenza della Corte costituzionale, in merito alla questione di legittimità costituzionale sollevata dal Presidente del Consiglio, ha, di conseguenza, generato un serio dibattito intorno alle motivazioni adottate. In maniera particolare, buona parte degli studiosi hanno imperniato il proprio discorso su dissertazioni storico-giuridiche riguardanti le strutture teoriche citate. È sorto quindi un dibattito dottrinale sulle differenze tra regionalismo e federalismo, binomio che anticipa nelle righe della decisione della Consulta l’altro assunto teorico sovranità/autonomia, e sugli albori della pronunciata sovranità statale negli ambienti di fine Ottocento.
Storicamente e in maniera generale si distinguono tre tipologie di modelli di Stato: lo Stato accentrato, lo Stato regionale e lo Stato federale. Come è ovvio, oggi questa netta tripartizione, generata dal grado di decentramento delle funzioni politico-amministrative, risulta difficile da attuare a pieno. Questo perché l’evoluzione degli Stati, sia federali che regionali che accentrati si è concentrata nel tempo su più livelli e forme di decentramento non uniforme e omogeneo per tutti. Ciò che appunto è complesso è la netta separazione tra l’elenco delle peculiarità maggiormente visibili tra lo Stato regionale e lo Stato federale27.
La tripartizione che qui si propone quindi non tiene conto dell’assottigliamento ormai divenuto inevitabile tra i modelli di Stato che nel decentramento fondano la propria essenza (federale e regionale). Si tratta più propriamente di una differenziazione storica, di tipo ottocentesca, che all’interno della sua cultura distingueva: lo Stato accentrato o unitario «nel quale la sovranità è originaria e l’esercizio dei poteri sovrani incardinati a livello dell’organizzazione statale […]. Esso è caratterizzato dal decentramento di sole funzioni amministrative»28; lo Stato federale «una unione di Stati ciascuno dotato di sovranità originaria e caratterizzato dall’esercizio di poteri sovrani. La Federazione degli Stati che li unisce deriva da un accordo internazionale, e non da una Costituzione, poiché ciascuno Stato, essendo appunto sovrano, è libero di aderire o non aderire a quell’accordo»29. Lo Stato regionale, una formulazione con la quale si intende «quel modello organizzativo caratterizzato dalla sovranità preesistente dello Stato centrale, che è dunque il titolare di poteri originari, mentre la Costituzione attribuisce ad enti autonomi l’esercizio di alcuni di questi poteri. Lo Stato è dunque sovrano, mentre l’autonomia regionale è derivata dallo Stato»30.
È bene sottolineare che tali considerazioni, oggi, tendono a risultare di difficile composizione. Soprattutto se tali caratteristiche vengono utilizzate per differenziare lo Stato regionale e lo Stato federale. La questione della sovranità statale, dogma imperante durante l’Ottocento, nell’era contemporanea degli Stati costituzionali viene meno nel momento di estrapolare le peculiarità tra i differenti modelli. Si tende invece in maniera più generale a tener conto di diversi indicatori che fanno parte di una o dell’altra tipologia. Tra gli indicatori dello Stato federale, assenti negli Stati regionali, emergono: una Camera del Parlamento rappresentativa delle ripartizioni locali; la partecipazione degli Stati federati al processo di revisione costituzionale; organi di polizia degli Stati federati.
A questo punto però è lecito sottolineare come l’evoluzione delle nazioni sia stata diretta in qualche modo versi modelli contemporanei di ibridazione. «In linea generale le Costituzioni contemporanee hanno […] teso ad aumentare il grado di decentramento negli Stati accentrati o a basso livello di regionalismo e, al contrario, aumentato il livello di centralismo negli Stati di tipo federale»31. Alla base di questo ragionamento innovativo vi è l’esigenza di delegare in materia di decisioni importanti agli organi e agli enti più direttamente legati con i territori oppure, al contrario, per rafforzare l’unità politica e costituzionale nei casi di forte decentramento federalistico. Tale situazione ovviamente ha complicato il quadro generale sia perché è maggiormente difficile operare una netta distinzione sia perché la vecchia tripartizione appare ormai essere quasi del tutto annullata. Ciò che oggi invece emerge come una strada migliore da percorrere in caso di riconoscimento di forme e modelli di Stato differenti è la distinzione tra Stati a basso livello di decentramento e Stati ad elevato livello di decentramento.
Il caso italiano, il suo regionalismo contemporaneo e storico, percorre fasi particolari unite in qualche modo alla rottura con il passato politico di matrice fascista. Il regime di Mussolini considerò le Regioni italiane come mere entità geografiche, prive quindi di una qualsiasi attribuzione di potere o di autonomia. Questo quadro generale rispecchiava in un certo senso una continuità politico-amministrativa che derivava dallo Stato italiano unitario, di matrice risorgimentale. Con l’avvento del costituzionalismo, e con l’entrata in vigore della Carta del 1948, la tradizione centralistica dello Stato monarchico venne meno in favore di un modello regionalistico in cui le Regioni godevano di nuove forme di autonomia.
I confini dell’autonomia regionale erano però altamente restrittivi; si trattava quindi di un regionalismo a bassa intensità in quanto gli enti si muovevano all’interno di rigide disposizioni determinati dallo Stato centrale. «Gli atti della Regione – legislativi e amministrativi – erano sottoposti a controlli di legittimità ed anche – sia pure in ipotesi limitate – di merito, controlli che facevano perno sul “Commissario del Governo” […]»32.
Durante questo periodo, durato fino alla riforma costituzionale del 2001, l’autonomia regionale fu molto limitata dal potere dello Stato.
Furono tre le leggi costituzionali che ampliarono il decentramento statale italiano e incrementarono, non di poco, l’autonomia regionale. Il Titolo V della Costituzione venne quindi modificato a partire dal 1999 fino al 2001. In generale, il pacchetto di riforme, oltre ad attribuire maggiori poteri al Presidente della Giunta e al Consiglio regionale, mirò a conseguire un ricercato riconoscimento di una autonomia diffusa e plurale tra gli organi e gli enti della Repubblica33.
Conclusione
Tenendo bene a mente la legittima, e sotto molti punti di vista si potrebbe definire scontata, decisione dei giudici della Consulta, si è costruito il commento tenendo conto di due fattori principali: le motivazioni della Corte, l’evoluzione del concetto di sovranità statale negli Stati costituzionali odierni.
Pur con le dovute cautele, avrei preferito che la Corte mantenesse intatta l’idea di uno Stato supremo ma non sovrano – concetto ormai ampiamente superato in dottrina già all’epoca della decisione ed estrapolabile da un’attenta analisi degli articoli 114, 117, 120 e 138 Cost. – . Parimenti avrei preferito quindi una sentenza che dichiarasse l’illegittimità della legge sarda sulla base della completa inesistenza in Costituzione di una attribuzione di sovranità all’ente regionale. Sicuramente evitabile le motivazioni imperniate sul dittico teorico scaturito e improntato sulle non più marcatamente definibili differenze tra Stato federale e Stato regionale.
Note
1 B. Caravita, Letture di diritto costituzionale, Giappichelli Editore, Torino 2020, p. 20.
2 La crisi economica ormai perenne e reiterata, la situazione mondiale, la riaffermazione o comunque l’accrescimento di potenze mondiali altre e alternative, la guerra in Ucraina all’interno di una parte della conversazione giovanile contemporanea hanno acceso seri dubbi circa la definizione di ciò che chiamiamo “Primo mondo”. Il tutto è generato da pensieri che rilevano come la maggior parte della popolazione mondiale vive in condizioni politico-economiche diverse dalle nostre. Riflessioni sul fatto che ciò che da noi viene considerato un reato, la pena di morte, dall’altra parte del mondo – in Cina ad esempio, un Paese che rappresenta una superpotenza mondiale, e negli Usa, l’emblema del cosiddetto “Primo mondo” – è una pratica che fa parte del sistema. Di conseguenza, la misurazione tale per cui il “Primo mondo” è un’area specifica del pianeta, non soltanto geografica ma anche e soprattutto politico-economica – Australia e Usa sono distanti migliaia di chilometri dall’Europa rispetto a tutto il Maghreb ma, con l’Europa, costituiscono tale considerazione – , in cui il sistema politico è un impianto liberaldemocratico, fondato su un’economica di mercato di stampo capitalistico, non regge più le sfide lanciate proprio in direzione di queste peculiarità che ne annunciano una rivisitazione sia in termini geografici, sia, appunto, in termini politici, economici e sociali.
3 Nati nella prima metà degli anni Novanta.
4 Redattore De Siervo.
5 Rubrica della legge della Regione Sardegna numero 7 del 2006.
6 Punto n.6 del Considerato in diritto della sentenza della Corte costituzionale n. 365/2007.
7 Corte cost., sentenza n. 106/2002.
8 Rubrica della legge della Regione Sardegna numero 7 del 2006.
9 Punto n.1 del Considerato in diritto della sentenza della Corte costituzionale n.365 del 2007.
10 Ibidem.
11 Punto n.4 del Considerato in diritto della sentenza della Corte costituzionale n.365 del 2007.
12 Punto n.6 del Considerato in diritto della sentenza della Corte costituzionale n.365 del 2007.
13 Il professor è scomparso il 25 novembre 2021.
14 B. Caravita, Il tabù della sovranità e gli istituti tipici di ordinamenti statuali di tipo federale in radice incompatibili con il grado di autonomia regionale attualmente assicurato nel nostro ordinamento costituzionale, in “Federalismi, rivista di diritto pubblico italiano comunitario e comparato”, a. V, n.22, novembre 2007, p. 6.
15 “Il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino Alto-Adige/Südtirol e la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale”.
16 È importante notare come la Costituzione italiana introduce il termine “sovranità” in rarissimi casi e comunque mai la attribuisce alle Regioni e agli Enti locali ma neanche allo Stato in termini di sovranità interna: nell’articolo 1 la sovranità è attribuita al popolo; nell’articolo 7 e nell’articolo 11 ci si riferisce invece alla sovranità dello Stato in materia esclusivamente di rapporti internazionali.
17 “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Provincie, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”.
18 “Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:
a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea;
b) immigrazione;
c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;
d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;
e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; perequazione delle risorse finanziarie;
f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;
g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;
h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;
i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;
l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;
m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;
n) norme generali sull’istruzione;
o) previdenza sociale;
p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane;
q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;
r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale; opere dell’ingegno;
s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
19 Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.
Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.
Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.
20 P. Caretti, La sovranità regionale come illusorio succedaneo di una “specialità” perduta: in margine alla sentenza della Corte costituzionale n. 365/2007, in “Le Regioni, Bimestrale di analisi giuridica e istituzionale”, a. XXXVI, n. 1, Febbraio 2008, pp. 219-226.
21 Ibidem.
22 Ibidem.
23 Punto n.6 del Considerato in diritto della sentenza della Corte costituzionale n. 365/2007.
24 “Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali”.
25 P. Passaglia, La Corte, la sovranità e le insidie del nominalismo, in “Giurisprudenza costituzionale”, a. LII, n. 6, dicembre 2007, pp. 4052-4062.
26 Punto n.6 del Considerato in diritto della sentenza della Corte costituzionale n.365/2007.
27 A. Pisaneschi, Diritto costituzionale – Quarta edizione, Giappichelli Editore, Torino 2020, p. 397.
28 A. Pisaneschi, op. cit., p. 398.
29 Ibidem.
30 Ibidem.
31 A. Pisaneschi, op. cit., p. 399.
32 A. Pisaneschi, op. cit., p. 405.
33 Art. 114 comma 2 Cost.
Bibliografia consultata
Articoli
- B. Caravita, Il tabù della sovranità e gli istituti tipici di ordinamenti statuali di tipo federale in radice incompatibili con il grado di autonomia regionale attualmente assicurato nel nostro ordinamento costituzionale, in “Federalismi, rivista di diritto pubblico italiano comunitario e comparato”, a. V, n.22, novembre 2007.
- A. Anzon Demming, Sovranità, processi federalistici, autonomia regionale. In margine alla sentenza n. 365 del 2007 della Corte costituzionale, in “Giurisprudenza costituzionale”, a. LII, n. 6, dicembre 2007, pp. 4999-5017.
- A. Mangia, Il federalismo della “descrizione” e il federalismo della “prescrizione”, in “Giurisprudenza costituzionale”, a. LII, n. 6, dicembre 2007, pp. 4045-4052.
- P. Passaglia, La Corte, la sovranità e le insidie del nominalismo, in “Giurisprudenza costituzionale”, a. LII, n. 6, dicembre 2007, pp. 4052-4062.
- O. Chessa, La resurrezione della sovranità statale nella sentenza n.365 del 2007, in “Le Regioni – Bimestrale di analisi giuridica e istituzionale”, a. XXXVI, n. 1, febbraio 2008, pp. 227-0.
- P. Caretti, La sovranità regionale come illusorio succedaneo di una “specialità” perduta: in margine alla sentenza della Corte costituzionale n.365/2007, in “Le Regioni – Bimestrale di analisi giuridica e istituzionale, a. XXXVI, n. 1, febbraio 2008, pp. 219-226.
- D. Belvedere, Esiste una sovranità delle Regioni (e dello Stato)?, in “Nuove autonomie – Rivista quadrimestrale di diritto pubblico”, a. XVII, n. 1, Aprile 2008, pp. 135-143.
Testi
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B. Caravita, Letture di diritto costituzionale, Giappichelli Editore, Torino 2020.
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A. Pisaneschi, Diritto costituzionale – Quarta edizione, Giappichelli Editore, Torino 2020.
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AA.VV., La Costituzione italiana – commento articolo per articolo Vol.1 e Vol.2, Il Mulino, Bologna 2021.
Foto copertina: Tutti sovrani, in realtà nessun sovrano