Il patto USA-Ucraina sulle materie prime critiche


Il 30 aprile 2025, con la firma dell’accordo tra Usa e Ucraina per l’accesso alle risorse minerarie ucraine, si è aperto un nuovo capitolo nella competizione geopolitica globale. L’intesa, annunciata con enfasi tra i corridoi del Dipartimento del Tesoro americano, va ben oltre una semplice cooperazione economica: si tratta di un accordo strategico che sancisce una nuova modalità di intervento americano nell’Europa orientale, in un contesto in cui le materie prime stanno sostituendo le alleanze come baricentro della politica internazionale.


L’accordo come atto politico e strategico

La portata dell’accordo si coglie non tanto nel suo contenuto economico – comunque rilevante – quanto nel suo significato politico. Dopo mesi di tensioni, interruzioni diplomatiche e divergenze tra l’amministrazione Trump e la presidenza Zelens’kyj, gli Stati Uniti hanno ottenuto un accesso privilegiato alle risorse naturali ucraine, in cambio di un impegno economico[1] per la ricostruzione e un supporto militare condizionato[2]. L’accordo prevede diritti di prelazione per aziende americane, contratti di off-take e fondi congiunti per l’avvio delle attività estrattive, mantenendo formalmente la sovranità del sottosuolo in capo a Kiev, ma di fatto vincolando le scelte strategiche del Paese a una regia a stelle e strisce.

Una sovranità condizionata

Nel testo, Washington ha abbandonato l’iperbolica richiesta iniziale di 500 miliardi di dollari in risorse minerarie – cifra propagandata da Trump all’inizio del 2025 – in favore di una più realistica architettura finanziaria. Tuttavia, il messaggio è chiaro: il futuro economico dell’Ucraina post-bellica passerà per decisioni condivise con gli Stati Uniti[3]. Il patto rappresenta una tregua diplomatica mascherata da cooperazione industriale, una concessione di facciata da parte americana, che in realtà rafforza il proprio controllo su uno snodo energetico e tecnologico strategico[4].

Cosa c’è (davvero) nel sottosuolo ucraino?

L’Ucraina è spesso citata come potenziale miniera d’oro per l’Occidente. Secondo il World Economic Forum, il Paese dispone di circa 500.000 tonnellate di litio non sfruttato, pari al 3% delle riserve globali, e di oltre 3.000 siti minerari attivi prima del conflitto del 2022[5]. La ricchezza più concreta, però, non è costituita dalle “terre rare” – spesso confuse dai media e dai politici – ma da minerali critici come manganese, titanio, grafite e ferro. Le terre rare, intese come i 17 elementi del gruppo dei lantanoidi, sono sì presenti in Ucraina, ma in quantità non ancora comprovate da indagini geologiche moderne. Le stime risalgono all’epoca sovietica e non figurano tra i principali rapporti dell’U.S. Geological Survey[6].

L’errore semantico che diventa strategico

Le dichiarazioni di Donald Trump, secondo cui le terre rare ucraine sarebbero una merce di scambio per gli aiuti militari, hanno innescato un errore semantico che ha rapidamente trovato eco nei media internazionali. Il termine “terre rare” è stato usato come contenitore generico per ogni risorsa strategica: litio, cobalto, oro[7]. Tuttavia, dal punto di vista tecnico, queste materie hanno caratteristiche, mercati e catene del valore profondamente diversi. Confondere i piani, anche volutamente, consente di amplificare il valore percepito dell’accordo e, allo stesso tempo, di giustificare un’influenza crescente sugli asset minerari di un paese in guerra.

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La marginalizzazione dell’Europa

Colpisce, in tutto questo, l’assenza dell’Unione Europea. Nonostante un partenariato strategico firmato con Kiev nel 2021 e l’attuazione del Critical Raw Materials Act nel 2024, Bruxelles è rimasta spettatrice del nuovo asse tra Washington e Kiev. La scoperta del giacimento norvegese di Fen – il più grande d’Europa – potrebbe garantire il 10% della domanda continentale a partire dal 2030, ma i tempi geologici non corrispondono ai tempi della politica. In assenza di filiere di raffinazione indipendenti e di una politica industriale unitaria, l’Europa rischia di restare dipendente dagli Stati Uniti per le forniture strategiche, dopo aver subito per decenni l’egemonia cinese[8].

Nel quadro della nuova politica europea per la sicurezza dell’approvvigionamento di materie prime critiche, la Commissione europea ha selezionato 47 progetti definiti “strategici”, scelti tra oltre 170 candidature. Tali progetti coprono l’intera catena del valore – dall’estrazione alla raffinazione, fino al riciclo – e si concentrano su 14 delle 17 materie prime classificate come strategiche. Per velocizzarne l’attivazione, Bruxelles ha previsto iter autorizzativi più rapidi: 27 mesi per i progetti minerari e 15 per quelli legati alla trasformazione o al riciclo[9]. La distribuzione geografica riflette un equilibrio tra disponibilità di risorse naturali, competenze industriali e priorità politiche: Francia e Scandinavia contano il maggior numero di progetti, seguite da Europa dell’Est, Spagna, Italia, Portogallo, Germania, Belgio ed Estonia.

Una parte significativa di questi progetti – ben 30 su 47 – riguarda i cosiddetti battery minerals, essenziali per la produzione di batterie per veicoli elettrici e sistemi di accumulo energetico. Il litio rappresenta il cuore di questi investimenti, con 22 progetti, mentre nichel, cobalto, grafite e manganese seguono a distanza. Queste iniziative rispondono alle previsioni di Eurometaux, che ha stimato la necessità di almeno 10 nuove miniere, 15 impianti di trasformazione e altrettanti di riciclo entro il 2030. Di fatto, l’Europa si trova a dover colmare un ritardo industriale di almeno 15 anni, durante i quali nessuna nuova miniera è stata attivata nel continente.

Per sostenere la realizzazione dei progetti strategici, l’UE ha avviato un piano finanziario multilivello. Nel luglio 2024 è stato lanciato, insieme alla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS), un nuovo strumento da 100 milioni di euro a favore dell’esplorazione mineraria, cofinanziato da Horizon Europe. A livello nazionale, Paesi come Francia, Germania e Italia hanno istituito fondi sovrani per rafforzare la resilienza industriale nel campo delle materie prime. Le imprese coinvolte hanno già previsto investimenti complessivi per circa 22 miliardi di euro, con la prospettiva di ricevere supporto da istituzioni finanziarie europee come la BEI, attraverso strumenti di de-risking[10].

Un ulteriore pilastro della strategia europea consiste nel diversificare le fonti di approvvigionamento. In quest’ottica, anche progetti extra-UE potranno essere qualificati come “strategici” purché contribuiscano a ridurre la dipendenza da singoli fornitori (non oltre il 65% per ogni materia prima strategica). Le partnership già siglate dalla Commissione con 14 Paesi – tra cui Australia, Canada, Argentina, Cile e nazioni africane come Namibia e RDC – rientrano in questa visione. L’obiettivo è creare una rete globale di cooperazione responsabile, capace di garantire stabilità e accesso sicuro alle risorse[11].

Un caso emblematico in questo contesto è rappresentato dall’Ucraina, che ambisce a diventare un fornitore strategico per l’Occidente. Sebbene il Paese sia ricco di risorse come litio, grafite, manganese e titanio, la sua capacità di inserirsi stabilmente nelle filiere globali resta incerta. I rischi legati alla guerra, la fragilità delle infrastrutture e la mancanza di garanzie di sicurezza pongono interrogativi sugli investimenti a lungo termine. Tuttavia, l’accordo firmato nel 2025 tra Kiev e Washington – che prevede lo sfruttamento congiunto delle risorse naturali e la creazione di un fondo per la ricostruzione – mira a offrire un quadro più solido per attrarre capitali statunitensi[12].

Il “Fondo di investimento per la ricostruzione Stati Uniti-Ucraina” sarà centrale in questa strategia: supervisionato congiuntamente, finanzierà per almeno dieci anni progetti nei settori minerario, petrolifero e del gas, oltre che nelle infrastrutture e nella trasformazione industriale. Una clausola fondamentale prevede che nessun soggetto legato alla macchina da guerra russa possa trarne vantaggio. Anche se l’accordo esclude implicazioni dirette sul percorso di adesione dell’Ucraina all’UE, esso consolida un’alleanza economica e tecnologica che potrebbe contribuire in modo decisivo alla sicurezza energetica e industriale europea[13].

Tuttavia, come evidenziato nel report Draghi, la sola attenzione al lato dell’offerta potrebbe rivelarsi miope. È essenziale integrare questa strategia con una pianificazione chiara della domanda, soprattutto nei settori delle batterie, dell’industria automobilistica e della transizione energetica. Senza investimenti coerenti nei segmenti midstream – come la produzione di catodi, anodi e celle – il rischio è che l’Europa rimanga indietro nella corsa tecnologica, pur possedendo le risorse. Le lezioni imparate dalle “terre rare” devono guidare ora una politica industriale sistemica, capace di trasformare le sfide della transizione verde in una reale autonomia strategica.

La Cina sullo sfondo

Il grande convitato di pietra di questo accordo è la Cina. Il suo dominio nel settore delle terre rare – non solo nell’estrazione, ma soprattutto nella raffinazione e trasformazione in componenti ad alto valore aggiunto – è la vera posta in gioco della competizione internazionale. La Cina controlla oltre il 90% della produzione globale di magneti NdFeB, fondamentali per auto elettriche, turbine eoliche e sistemi militari. È in questo contesto che va letto l’accordo USA-Ucraina: una mossa per diversificare la catena di approvvigionamento e ridurre la dipendenza da Pechino, pur con le difficoltà infrastrutturali e temporali che ciò comporta.

Il futuro delle guerre: minerali, non missili

La nuova geopolitica non si gioca più solo sui campi di battaglia o nelle sale dei consigli di sicurezza, ma anche nelle gallerie delle miniere e nei laboratori chimici. Le guerre future – o meglio, i conflitti di influenza – saranno combattute su litio, grafite, gallio, titanio. Le “terre rare” sono il simbolo di questa trasformazione: non tanto per la loro scarsità, ma per il ruolo chiave nella transizione energetica e tecnologica. In un mondo frammentato, il controllo delle risorse è diventato un sostituto del controllo territoriale. L’accordo tra Stati Uniti e Ucraina è l’epitome di un nuovo paradigma geopolitico: una fusione tra diplomazia economica, guerra tecnologica e ridefinizione degli interessi nazionali. Mentre Mosca osserva e Bruxelles tentenna, Washington mette radici nelle fondamenta minerarie dell’Ucraina. Un patto che non parla solo di ricostruzione post-bellica, ma del nuovo ordine globale che si sta tracciando con scavi e trivelle, più che con trattati e alleanze. In questo contesto, l’Europa è chiamata a scegliere: continuare a inseguire o iniziare a scavare, anche metaforicamente, nella propria strategia industriale e geopolitica.


Note

[1] I. POLASTRO, «Cosa sono le terre rare che si trovano in Ucraina e perché Trump le vuole in cambio di aiuti», Geopop, 8/02/2025.
[2] A. PRINA CERAI, «USA-Ucraina: l’accordo su minerali e terre rare, spiegato in 8 grafici», ISPI, 2/05/2025.
[3] REDAZIONE ESTERI, «Ucraina. Terre rare, cosa prevede l’accordo tra Washington e Kiev», Avvenire, 2/05/2025.
[4] F. FUBINI, «Terre rare, le clausole segrete imposte da Trump a Zelensky: gli americani che si arricchiranno non saranno tassati», Corriere della sera, 10/05/2025.
[5] A. PRINA CERAI, «USA-Ucraina: l’accordo su minerali e terre rare, spiegato in 8 grafici», ISPI, 2/05/2025.
[6] A. NERI, «Perché le terre rare sono così preziose da valere la fine della guerra in Ucraina?», Energia Oltre, 7/03/2025.
[7] A. PRINA CERAI, «USA-Ucraina: l’accordo su minerali e terre rare, spiegato in 8 grafici», ISPI, 2/05/2025.
[8] A. PRINA CERAI, «USA-Ucraina: l’accordo su minerali e terre rare, spiegato in 8 grafici», ISPI, 2/05/2025.
[9] G. BLACKBUM, «Il Parlamento ucraino ratifica all’unanimità l’accordo sui minerali con gli Stati Uniti», Euronews, 8/05/2025.
[10] A. PRINA CERAI, «USA-Ucraina: l’accordo su minerali e terre rare, spiegato in 8 grafici», ISPI, 2/05/2025.
[11] A. NERI, «Perché le terre rare sono così preziose da valere la fine della guerra in Ucraina?», Energia Oltre, 7/03/2025.
[12] A. TURCO, «Non chiamatele terre rare: sull’Ucraina il giornalismo si gioca la propria credibilità», Economia Circolare, 6/03/2025.
[13] A. PRINA CERAI, «USA-Ucraina: l’accordo su minerali e terre rare, spiegato in 8 grafici», ISPI, 2/05/2025.


Foto copertina: Una mappa dei minerali critici in Ucraina / Fonte: Osservatorio sui conflitti e l’ambiente