Francesco, il Papa degli ultimi


Chi è stato e cosa ci lascia l’operato di Jorge Mario Bergoglio.


A cura di Valentina Franzese

Jorge Mario Bergoglio: guida di un pontificato pronto a cambiare gli equilibri della Santa Sede

Il 10 febbraio 2013 il pontefice allora in carica, Benedetto XVI, decise di porre fine al suo pontificato dimettendosi a sorpresa e concludendo il suo pontificato, costellato da scandali di pedofilia clericale e una serie di controversie e scontri all’interno della Curia romana. Nel noto discorso pubblico in cui annunciò le sue storiche dimissioni – le prime nella storia contemporanea[1] – trasmise ad un allora ignoto successore, il compito di procedere con l’elaborazione di un’irrisolta riforma della Curia. Nei giorni del conclave, molti dei cardinali elettori riuniti, pur appartenendo a sensibilità e visioni differenti, concordarono su un punto: la necessità di cambiare radicalmente le cose all’interno del Vaticano, dove si erano succeduti troppi scandali finanziari legati allo IOR e una sequenza consistente di incidenti comunicativi[2]. La scelta dei cardinali propese per l’allora arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio, che prese il nome di Francesco come omaggio all’omonimo frate di Assisi, rendendolo il primo Papa gesuita e latinoamericano della storia della Chiesa. L’elezione del primo pontefice non europeo e soprattutto di un paese dell’emisfero Sud, pur essendo auspicata e incoraggiata, sconvolse non poco gli equilibri vaticani perché nata con un mandato ben definito: «cambiare le cose, rompere con le consuetudini se queste, per esempio, prevalevano sulla legalità, la trasparenza, la correttezza dei comportamenti»[3]. Fin dall’inizio il cambio di passo rispetto al passato è sembrato evidente, come confermò Adolfo Pérez Esquivel: «Negli ultimi decenni i principali dirigenti della Chiesa erano tornati sui loro passi rispetto al cammino iniziato dal Concilio Vaticano II, disinnescando, se non addirittura perseguitando, le opzioni che consideravano la storia di liberazione dei popoli come parte della storia della salvezza, e che erano emerse in America Latina a partire da Medellín e Puebla […]. In una Chiesa in cui la svolta conservatrice, cominciata con Giovanni Paolo II e consolidatasi con Benedetto XVI, aveva cambiato il profilo di interi episcopati, sostituendo vescovi progressisti con altri ultra conservatori, e nella quale […] si evidenziava una forte crisi di credibilità a causa della gestione poco trasparente dei fondi del Vaticano e delle denunce di abusi e successiva copertura di sacerdoti accusati si aberranti atti di pedofilia. […] In un simile contesto, la designazione del cardinal Bergoglio è emersa come una novità: per la prima volta la Chiesa usciva dall’eurocentrismo per aprire la sua visione all’America Latina e agli altri continenti»[4]. Fin dall’inizio del suo pontificato – il 13 marzo 2013 – Bergoglio ha alimentato le speranze di cambiamento e “rivoluzione” all’interno della Chiesa, attraverso le sue dichiarazioni e con numerosi atti simbolici quali: la scelta di non vivere negli appartamenti pontifici ma di continuare soggiornare nella Residenza Santa Marta, che l’aveva ospitò da cardinale durante il conclave. Ma anche la decisione di recarsi due settimane dopo l’elezione, nel carcere minorile di Casal del Marmo per il rito della lavanda dei piedi del Giovedì Santo; o la volontà di compiere il primo viaggio apostolico nell’isola di Lampedusa l’8 luglio 2013, per gridare «contro la globalizzazione dell’indifferenza» e richiamare l’attenzione sulla difficile situazione dei migranti africani[5]. Connotandosi per uno stile iper-comunicativo e per il continuo – e tutt’altro casuale – aggiramento delle consuetudini, tale da spiazzare frequentemente i funzionari vaticani, Francesco ha preso ferme posizioni nel denunciare l’ingiustizia sociale e la mercificazione delle vite umane; ha manifestato chiare volontà di apertura della Chiesa agli omosessuali, in aperta contraddizione con tutti i suoi predecessori; si è pronunciato ripetutamente a favore dell’accoglienza dei migranti e, di fronte agli squilibri ambientali tali da mettere in pericolo il futuro dell’umanità, ha scritto la prima enciclica pontificia interamente dedicata all’ecologia – Laudato sì – affiancando l’attenzione per la povertà a quella per l’ambiente. Tutto ciò ha, pertanto, contribuito ad alimentare a livello internazionale l’immagine di Bergoglio come figura popolare e amata, che sta dalla parte degli ultimi e non ha paura di denunciare il “dio denaro” e il potere. Secondo l’economista Riccardo Moro, Bergoglio, parlando di povertà, insistendo sulla problematicità dell’ingiustizia sociale e lanciando alle Nazioni Unite nel 2015 la linea delle tre T (tierra, trabajo, techo) necessarie a rendere dignitosa la vita di tutti: «ha ridato slancio a una presenza sociale e politica che aveva caratterizzato i pontificati nella metà del Novecento»[6]. Con il passare degli anni, alla richiesta di mettere ordine nei comportamenti portati avanti dalla Santa Sede, di rendere più trasparenti i processi finanziari e di restituire dignità all’Istituzione, Bergoglio ha aggiunto un nuovo obiettivo: procedere alla riforma della Curia vaticana – intesa sia come luogo di potere tradizionale che come complessa macchina amministrativa – sostenendo, settore per settore, una serie di cambiamenti. Puntando a ridimensionare il potere della Curia, il pontefice ha incoraggiato la riforma e la semplificazione delle strutture e ha introdotto novità legislative, in modo da intervenire sui dossier più critici e per dare seguito alla sua personale idea di Chiesa – una Chiesa “ospedale da campo” e non più “dogana”, non più giudice inappellabile della morale –[7]. Agendo per realizzare un governo snello e più forte rispetto al passato, Bergoglio ha ridotto e rinominato i dicasteri; ha accorpato le competenze aumentando le responsabilità dei titolari, chiamati a fare riferimento al pontefice direttamente, senza il filtro del Segretario di Stato, sostanzialmente delegato alla guida della diplomazia vaticana. Una delle prime iniziative è stata la creazione di un organo di consiglio, formato da un gruppo di nove cardinali, con il compito di consigliare e coadiuvare Francesco nel governo della Chiesa e nello studio di un progetto di revisione della costituzione apostolica Pastor bonus sulla Curia romana[8]. Ma non solo, il progetto di riforma della Curia con Francesco è passato anche attraverso una ridistribuzione del potere nelle periferie. Un chiaro segnale geopolitico in tal senso, il pontefice lo trasmise con le sue prime creazioni cardinalizie, che hanno confermato la volontà, senza precedenti, di destinare la maggior parte delle porpore a sacerdoti delle Chiese del Sud del Mondo[9]. Ciò confermò la volontà di azzerare la vecchia classe dirigente per limiti d’età; nonché la volontà di sostituire le località tradizionalmente cardinalizie, con rappresentanti provenienti da Conferenze regionali scelte con una proiezione geopolitica molto più ampia. È dunque questa la vera “rivoluzione” di natura giuridica e geopolitica attuata da Bergoglio. Non solo un mutamento di nazioni ed estrazioni coinvolte, ma soprattutto di mentalità, in modo da attribuire maggioranza agli esponenti delle Chiese “di minoranza”, rimescolando le carte rispetto all’approccio conservatore dei predecessori[10]. I segnali di rottura e di mutamento rispetto al passato hanno coinvolto l’immagine pubblica della Chiesa in quanto Istituzione. Se nei decenni dei pontificati di Wojtyla e Ratzinger i documenti diffusi dai vari dicasteri venivano accolti come la pozione netta, definita e universale su un determinato argomento; con Bergoglio, invece, questo tipo di automatismo si è rotto fino a quasi scomparire del tutto, favorendo l’emersione pubblica di posizioni e sensibilità diverse tra i vescovi, annullando quell’idea di accentramento e controllo caratteristica dei pontificati precedenti. Ciò ha condotto all’annullamento dell’assolutismo dottrinale e ideologico – caratteristico soprattutto del pontificato di Giovanni Paolo II – portando alla luce la diversità di opinioni e di ragionamenti presenti nell’episcopato mondiale, alimentando  – senza timori di ripercussioni – la manifestazione variegata di posizioni e opzioni su diverse tematiche[11]

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Da dove trae origine l’approccio ecclesiastico di Bergoglio?

Una chiave di lettura essenziale per comprendere il dinamismo delle scelte e delle volontà manifestate da Bergoglio e da dove queste traggano origine, è la teologia del popolo, le cui riflessioni influenzate dal contesto ecclesiastico latinoamericano, hanno condizionato la forma mentis del pontefice recentemente scomparso. A differenza degli altri paesi latinoamericani, in Argentina, la teologia della liberazione ebbe un seguito minore, favorendo l’emersione di una sua corrente a tratti simile: la teologia del popolo. La corrente teologica trovò piena affermazione con il Documento di San Miguel (1969) in cui confluirono le indicazioni di Medellín; ne furono ispiratori Lucio Gera, Gerardo Farrell e il gesuita Juan Carlos Scannone, uno dei maestri di Bergoglio[12]. A differenza della teologia della liberazione, la teologia del popolo non utilizzò mai né la metodologia marxista dell’analisi della realtà, né altre categorie d’analisi derivanti dal marxismo, considerate aliene all’esperienza storica latinoamericana. La teologia del popolo privilegiò all’analisi socio – strutturale, tipica della teologia della liberazione, l’analisi storico culturale, promuovendo la rivalutazione della cultura e della religiosità del popolo, considerato come portatore di valori culturali[13]. In questo senso, sebbene condividesse con la teologia della liberazione il riconoscimento della logica oppressiva innescata dal colonialismo, se ne distanziava, focalizzandosi sulla razionalità e sugli interessi del popolo, considerato come un agente funzionale per l’emancipazione. In questo senso, era da incoraggiare la partecipazione attiva dei cattolici alla costruzione della società, includendo anche altre componenti rappresentative del mondo della cultura in modo da costruire un ponte verso i non credenti. Due su tutti, i macro temi legati alla teologia del popolo che hanno influenzato l’approccio alla società manifestato da papa Francesco, e che il pontefice ha fatto propri riprendendoli, direttamente o indirettamente, più volte in diverse encicliche e discorsi pubblici. Innanzitutto lo storico ideale bolivariano di “Patria Grande” ripreso e approfondito dai teologi del popolo, secondo cui era necessario promuovere e favorire l’emancipazione latinoamericana a livello internazionale, rendendo l’America Latina un soggetto economico e geopolitico autonomo. In particolare, secondo l’interpretazione offerta dai teologi del popolo, l’imperialismo non era più da intendersi come un fenomeno incarnato da un singolo Stato o da una singola potenza coloniale, ma era rappresentato dalla globalizzazione neoliberista tipica dei XXI secolo, la cui massima espressione è oggi incarnata dalle imprese multinazionali con i loro interessi sparsi in più paesi del Mondo. Ciò ha condotto alla cementificazione di una dinamica estremamente divisiva in cui, da un lato, le grandi corporations si ritrovano unite sotto la bandiera del potere economico; dall’altro il “popolo globalizzato” è costretto a subire le decisioni di un ristretto gruppo di potenti. Secondo i teologi del popolo, infatti, la globalizzazione ha finito con l’esacerbare le problematiche preesistenti, facendo crescere in maniera esasperata le diseguaglianze e la conseguente ingiustizia sociale, portando all’aumento esponenziale della povertà[14]. L’ideale storico della “Patria Grande” ha ispirato a lungo Francesco, sia nei suoi trent’anni da gesuita, sia nei suoi tredici anni di pontificato, andando ad influenzare la sua visione dell’economia. Nella sua prima enciclica da pontefice pubblicata nel novembre 2013 con il titolo Evangelii gaudium e interpretabile come una road map programmatica del suo pontificato, Bergoglio non mancò di stigmatizzare e criticare più volte l’attuale sistema economico. Scriveva Francesco: «Così come il comandamento “non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e dell’iniquità”. Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti di borsa»[15]. Ciò secondo il pontefice è attribuibile ad un sistema economico in cui «il feticismo del denaro»[16] è colpevole di alimentare un «sistema sociale ed economico ingiusto alla radice»[17], in cui «mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice»[18]. L’affermazione «Questa economia uccide», oltre a costituire una potente e netta denuncia nei confronti dell’economia contemporanea, implica anche un’accusa nei confronti dei “campioni” del capitalismo selvaggio, che – ci dice Nello Scavo – «avranno anche le mani pulite, ma le loro coscienze sono sporche del sangue dei poveri. Migranti, profughi, lavoratori sfruttati bambini in schiavitù: non è che una parte di un elenco sterminato di crimini contro l’umanità commessi con il falso pretesto della “ricaduta favorevole”»[19]. La teoria economia particolarmente in voga negli anni Ottanta durante l’era Reagan – Thatcher e la sua idea che l’arricchimento di pochi possa riprodurre dei benefici “a cascata” per tutti, viene ripresa dal pontefice nell’enciclica del 2013 in cui si legge: «Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati dei sistema economico imperante»[20]. Bergoglio tornerà a parlare della teoria economica della “ricaduta favorevole” poco dopo la pubblicazione dei Evanelii Gaudium, dialogando con il vaticanista de La Stampa, Andrea Tornielli. Secondo Francesco, per i fautori di questa dottrina economia «ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a         produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel Mondo», innescando un automatismo. Prosegue il pontefice: «C’era la promessa che quando il bicchiere fosse stato pieno sarebbe trasbordato e i poveri ne avrebbero beneficiato. Accade che, quando è colmo, il bicchiere magicamente s’ingrandisce, e così non esce mai niente per i poveri»[21]. Altro tema ripreso da Francesco e comune sia alla teologia del popolo che a quella della liberazione, riguarda “l’opzione preferenziale per i poveri”. Su questo tema Bergoglio tornerà in Evaneglii Gaudium, in cui dichiarò che «La solidarietà è una reazione spontanea di chi riconosce la funzione sociale della proprietà e la destinazione universale dei beni, come realtà anteriori alla proprietà privata»; ma in riferimento all’attuale strutturazione della società considerato un «male cristallizzato in strutture sociali ingiuste»[22], dirà: «Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole. Come conseguenza di questa situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza via di uscita»[23]. «Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa. […] Gli esclusi non sono “sfruttati”, ma rifiuti, “avanzi”»[24]. La causa di questa situazione è, secondo il pontefice, da attribuirsi alla «relazione che abbiamo stabilito con il denaro, poiché accettiamo pacificamente il suo predominio su di noi e sulle nostre società»[25]. È, in questo senso, più che mai necessario opporsi: alle «ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria» poiché attraverso esse «Si instaura una tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone, in modo unilaterale e implacabile, le sue leggi e le sue regole. Inoltre il debito e i suoi interessi allontanano i paesi dalle possibilità praticabile della loro economia e i cittadini dal loro reale potere d’acquisto. A tutto ciò si aggiunge una corruzione ramificata e un’evasione fiscale egoista, che hanno assunto dimensioni mondiali. La brama del potere e dell’avere, non conosce limiti. In questo sistema, che tende a fagocitare tutto al fine di accrescere i benefici, qualunque cosa che sia fragile, come l’ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato, trasformati in regola assoluta»[26]. Sarà poi con l’enciclica successiva, Laudato sì, datata giugno 2015, che il pontefice gesuita, puntualizzerà la sua visione dell’economia e della società nel suo complesso. Riprendendo il percorso tracciato in Evangelii Gaudium, scriverà: «La politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia. Oggi, pensando al bene comune, abbiamo bisogno in modo ineludibile che la politica e l’economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana. Il salvataggio a ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, rafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura»[27]. L’analogia con la teologia del popolo non è evidente soltanto riflettendo sulla visione dell’economia, del mercato e della società manifestata e condannata più volte da Bergoglio, ma coinvolge anche il suo rapporto con la Chiesa in quanto Istituzione. Secondo i teologi del popolo infatti, la Chiesa non deve essere intesa come una piramide impostata verticisticamente, costruita mediante la sovrapposizione stratificata delle sue varie componenti[28]. Conformemente a questa prospettiva, Bergoglio ha cercato di portare avanti una strategia in grado di portare all’interscambio tra piano verticale e orizzontale, in modo tale da spezzare e riequilibrare il verticalismo presente nella struttura ecclesiastica tradizionale – considerata statica, burocratica, ritualista e clericalista – creando un rapporto immediato con il popolo; facendosi popolo “stando in mezzo alla gente”, in modo da ribaltare i rapporti di potere, combattere l’individualismo esasperato e la competizione estrema, che minacciano i legami umani profondi, sia familiari che sociali[29].

Un’enciclica per fare la storia: la Laudato sì

In concomitanza con l’inaugurazione della COP 21 tenutasi a Parigi nel 2015, Papa Francesco pubblicò una storica enciclica dal titolo Laudato sì dedicata “alla cura della casa comune”, in cui sono presenti diverse riflessioni e considerazioni in materia di ambiente e sviluppo socio economico. Nell’enciclica – pubblicata prima che si svolgesse l’incontro in modo da produrre un impulso positivo sull’evento – il pontefice diede voce a diverse preoccupazioni in merito al “danno” che gli esseri umani stanno causando alla “sorella terra”. Il documento evidenziava come il degrado ambientale incida, in particolare, sulla vita dei più poveri. Contaminazioni, catastrofi naturali, malattie, guerre e migrazioni forzate sono alcune delle conseguenze più evidenti[30]. Le riflessioni proposte da Bergoglio – che utilizzò come riferimento il Cantico delle creature di San Francesco d’Assisi sono riassumibili in quattro macro punti di riferimento rintracciabili nel testo e interconnessi tra di loro.

Il primo riguarda l’inquinamento e l’ accumulo di milioni di tonnellate di rifiuti non biodegradabili e tossici che stanno riempiendo la Terra. Secondo il pontefice, tale condizione è attribuibile da un lato all’assenza di una cultura del riciclo, e dall’altro, al sistema industriale vigente che ha bloccato lo sviluppo di un modello di produzione circolare in grado di preservare le risorse naturali riutilizzando i rifiuti. Collegata al primo tema, è la riflessione in merito al cambiamento climatico, considerato un problema globale che danneggia in particolar modo i paesi in via di sviluppo. Ciò perché una parte consistente della popolazione vive e abita territori colpiti dal riscaldamento globale o oggetto della costruzione di grandi opere infrastrutturali, che minacciano la propria sopravvivenza estremamente legata all’agricoltura, alla pesca o alla silvicoltura proprio in quei territori. È, in questo senso, necessario far leva sul “diritto alla terra”: «Ogni contadino ha diritto naturale a possedere un appezzamento ragionevole di terra, dove possa stabilire la sua casa, lavorare per il sostentamento della sua famiglia e avere sicurezza per la propria esistenza. Tale diritto dev’essere garantito perché il suo esercizio non sia illusorio ma reale. Il che significa che, oltre al titolo di proprietà, il contadino deve contare su mezzi di formazione tecnica, prestiti, assicurazioni e accesso al mercato»[31]. A ciò si sommerà la necessità di: «facilitare forme di cooperazione o di organizzazione comunitaria che difendano gli interessi dei piccoli produttori e preservino gli ecosistemi locali dalla depredazione»[32]; prestare attenzione alle comunità aborigene con le loro tradizioni culturali che «Devono diventare i principali interlocutori, soprattutto nel momento in cui si procede con grandi progetti che interessano i loro spazi. Per loro, infatti, la terra non è un bene economico, ma un dono di Dio e degli antenati che in essa riposano, uno spazio sacro con il quale hanno il bisogno di interagire per alimentare la loro identità e i loro valori. Quando rimangono nei loro territori, sono quelli che meglio se ne prendono cura. Tuttavia, in diverse parti del mondo, sono oggetto di pressioni affinché abbandonino le loro terre e le lascino libere per progetti estrattivi, agricoli o di allevamento che non prestano attenzione al degrado della natura e della cultura»[33]. Questo tipo di riflessione ci porta verso il terzo macro tema affrontato, relativo alle relazioni commerciali vigenti, considerate “strutturalmente perverse” in quanto basate sull’arricchimento dei paesi più ricchi a discapito dei più poveri. Dato questo contesto e queste responsabilità, secondo Bergoglio, occorrerebbe differenziare la riduzione di gas serra emessi, coinvolgendo maggiormente i paesi più potenti e maggiormente inquinanti; sviluppare istituzioni e organismi internazionali, molto più efficaci e organizzati, in grado di applicare sanzioni se necessario. In questo senso, facendo chiaramente riferimento allo squilibro nelle relazioni tra Nord e Sud del Mondo, il pontefice scrisse: «L’iniquità […] obbliga a pensare ad un’etica delle relazioni internazionali. C’è infatti un vero “debito ecologico”, soprattutto tra il Nord e il Sud, connesso a squilibri commerciali con conseguenze in ambito ecologico, come pure all’uso sproporzionato delle risorse naturali compiuto storicamente da alcuni Paesi. Le esportazioni di alcune materie prime per soddisfare i mercati nel Nord industrializzato hanno prodotto danni locali, come l’inquinamento da mercurio nelle miniere d’oro o da diossido di zolfo in quelle di rame»[34]. Intrecciato a queste riflessioni, è il quarto macro tema affrontato in Laudato sì relativo all’attuale modello distributivo. Parallelamente a quanto detto in Evangelii Gaudium, infatti, Francesco identifica quello contemporaneo e dominante come un paradigma “consumista” volto a promuovere l’idea, del tutto illusoria, di una crescita infinita e caratterizzato dalla totale subordinazione della politica e dell’economia, al circuito finanziario internazionale[35]. In questo senso il pontefice scriveva: «Il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura»[36]. Tale situazione fa sì, secondo Bergoglio, che l’economia reale risulti affogata richiedendo un continuo afflusso finanziario, capace di produrre crisi economiche, deteriorare l’ambiente e alimentare la cultura dello scarto «che colpisce tanto gli esseri umani esclusi quanto le cose che si trasformano velocemente in spazzatura»[37].

Uno dei punti cardine della proposta di papa Francesco in Laudato sì riguarda la crisi globale della nostra contemporaneità. Secondo il pontefice argentino, infatti, la popolazione mondiale non è di fronte a due crisi separate e assestanti ma è chiamata ad affrontare un’unica crisi socio-ambientale in cui le problematiche ambientali e sociali si fondono. A fronte di questa crisi socio ambientale, sarà necessaria una “conversione ecologica” volta a riorientare l’umanità in modo da introdurre dei cambiamenti strutturali e a modificare il proprio stile di vita. Ciò perché l’ambiente naturale è da intendersi non come una proprietà o una fonte da cui estrarre risorse illimitatamente, ma come un bene collettivo, patrimonio e responsabilità della collettività, e come tale dovrà essere amministrato. Due saranno le direzioni verso cui protendere. Innanzitutto scommettere su un altro stile di vita, in modo da reindirizzare il percorso che stiamo prendendo come società. Il nostro stile di vita attuale, secondo il pontefice, è focalizzato un elemento cardine del sistema economico contemporaneo: il consumo compulsivo, che essendo totalmente privo di etica, fa sì che «le persone finiscono con l’essere travolte dal vortice degli acquisti e delle spese superflue»[38]. Indispensabile sarà lo sviluppo, “a tutto tondo”, di una nuova sfida educativa in materia ambientale. Essa, però, non dovrà rimanere relegata a semplici diagnosi tecniche in caso di disastri naturali, ma dovrà portare allo sviluppo di abitudini del tutto nuove, in grado di coinvolgere l’intera collettività, in modo da sviluppare una “cittadinanza ecologica”. Tra i diversi esempi e possibilità utili a sovvertire il paradigma consumista contemporaneo, il pontefice propone: «Se una persona, benché le proprie condizioni economiche le permettano di consumare e spendere di più, abitualmente si copre un po’ invece di accendere il riscaldamento, ciò suppone che abbia acquisito convinzioni e modi di sentire favorevoli alla cura dell’ambiente. È molto nobile assumere il compito di avere cura del creato con piccole azioni quotidiane, ed è meraviglioso che l’educazione sia capace di motivarle fino a dar forma ad uno stile di vita. L’educazione alla responsabilità ambientale può incoraggiare vari comportamenti che hanno un’incidenza diretta e importante nella cura per l’ambiente, come evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili, e così via. Tutto ciò fa parte di una creatività generosa e dignitosa, che mostra il meglio dell’essere umano. Riutilizzare qualcosa invece di disfarsene rapidamente, partendo da motivazioni profonde, può essere un atto di amore che esprime la nostra dignità»[39]. Provando ad individuare le radici di questa doppia crisi sociale e ambientale, Bergoglio ne riconosce l’origine in azioni e decisioni ad opera di “strutture di potere” supportate nella loro attività da persone specifiche che collaborano con tali strutture. Per questo motivo, l’enciclica mira a coinvolgere tanto i singoli individui quanto le autorità statali e il sistema politico internazionale nel suo complesso. In riferimento a ciò, il pontefice scrisse: «Degna di nota è la debolezza della reazione politica internazionale. La sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza si dimostra nel fallimento dei Vertici mondiali sull’ambiente. Ci sono troppi interessi particolari e molto facilmente l’interesse economico arriva a prevalere sul bene comune e a manipolare l’informazione per non vedere colpiti i suoi progetti. […] L’alleanza tra economia e tecnologia finisce per lasciare fuori tutto ciò che non fa parte dei loro interessi immediati. Così ci si potrebbe aspettare solamente alcuni proclami superficiali, azioni filantropiche isolate, […] mentre in realtà qualunque tentativo delle organizzazioni sociali di modificare le cose sarà visto come un disturbo provocato da sognatori romantici o come un ostacolo da eludere»[40].

Alla luce di quanto scritto da Bergoglio in Laudato sì, emerge chiaramente quanto l’enciclica non costituisca soltanto un riferimento morale o religioso, ma contenga al suo interno rilevanti considerazioni politiche – riguardanti la società e il sistema socioeconomico attuale – volte a ribadire che il pianeta Terra non rappresenti un bene unicamente a uso e consumo dell’uomo, suggellando il passaggio da una visione antropocentrica ad una egocentrica della realtà, con importanti implicazioni morali che coinvolgono tutto il mondo[41].


Note

[1] Ratzinger è stato il primo pontefice a rinunciare al soglio pontificio dopo Gregorio XII (nel 1415, 598 anni prima).
[2] F. Peloso, “Il Vaticano profondo frena il papa periferico”, in Limes, 11/07/2018, consultabile al link: https://www.limesonline.com/cartaceo/il-vaticano-profondo-frena-il-papa-periferico.
[3] Ibidem.
[4] N. Scavo, La lista di Bergoglio, Bologna, EMI, 2013, pp. 9-10.
[5] R. de Roux, “La Iglesia católica en América Latina a la hora del papa Francisco”, in Caravelle (1988-), N° 108, Croire aujourd’hui en Amérique Latine (Juin 2017), p. 43.
[6] A. Chiara, “Dietro le quinte il papa mediatico lavora per la storia”, in Limes, 9/07/2018, consultabile al link: https://www.limesonline.com/cartaceo/dietro-le-quinte-il-papa-mediatico-lavora-per-la-storia.
[7] F. Peloso, op. cit.
[8] P. Schiavazzi, “Così funziona il governo rivoluzionario di papa Francesco”, in Limes, 4/01/2017, consultabile al link: https://www.limesonline.com/cosi-funziona-il-governo-rivoluzionario-di-papa-francesco/96194.
[9] G. Cardinale, op. cit.
[10] P. Schiavazzi, op. cit.
[11] F. Peloso, op. cit.
[12] F. Mele, “Farsi popolo”, in Limes, 13/03/2014, consultabile al link: https://www.limesonline.com/cartaceo/farsi-popolo.
[13]N. Scavo, op. cit., pp. 118-119.
[14] F. Mele, op. cit.
[15] Evangelii Gaudium, 24 novembre 2013, citato in: N. Scavo, “I nemici di Francesco…”, cit., p. 18.

[16] Evangelii Gaudium, 24 novembre 2013, citato in J. C. Scannone, “El papa Francisco y la teología del pueblo”, in Razón y Fe, n° 1395, 2014, p. 55.
[17] Ivi, p. 59.
[18] Evangelii Gaudium, 24 novembre 2013, citato in: N. Scavo, “I nemici di Francesco…”, cit., p. 30.
[19] Ivi, p. 18.
[20] Ivi, p. 19.
[21] Ivi, p. 16.
[22] Evangelii gaudium, p. 59.
[23] Evangelii Gaudium, 24 novembre 2013, citato in: N. Scavo, “I nemici di Francesco…”, cit. p. 18.
[24] J. C. Scannone, “El papa Francisco y la teología del pueblo”, in Razón y Fe, n° 1395, 2014, p. 53.
[25] Ivi, p. 55.
[26] Evangelii Gaudium, 24 novembre 2013, citato in: N. Scavo, “I nemici di Francesco…”, cit., pp. 30-31.
[27] Laudato sì, 18 giugno 2015, citato in: Ivi, p. 35.
[28] G. La Bella, “L’America Latina e il laboratorio argentino”, in Riccardi A. (a cura di), Il cristianesimo al tempo di Papa Francesco, Bari, Laterza, 2018.
[29] F. Mele, op. cit.
[30] M. Malamud, “Pope Francis, climate change and the environmentalism of the poor”, in Revista de Relaciones internacionales, strategia y seguridad, n°2, giugno – dicembre 2016, pp. 54 e p. 61.
[31] Conferenza Episcopale Paraguayana, Lettera pastorale El campesino paraguayo y la tierra, 12 giugno 1983, 2, 4, d, citato in: Santo Padre Francesco, Lettera enciclica Laudato sì, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, giugno 2015, n° 94, p. 87.
[32] Ivi, n° 180, p. 163.
[33] Ivi, n° 146, p. 135.
[34] Ivi, n° 51, pp. 46-47.
[35] «La politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia», ivi, n°189, p. 169.
[36] Ibidem.
[37] Ivi, n°22, p. 22.
[38] Santo Padre Francesco, op. cit., n°203, p. 183.
[39] Ivi, n°211, p. 190.
[40] Ivi, n°54, pp. 50-51.
[41] M. Malamud, op. cit., p. 62.


Foto copertina: Papa Francesco apre la Porta Santa