La situazione umanitaria nella regione settentrionale del Mozambico, in particolare nella provincia di Cabo Delgado, è gravemente peggiorata dall’inizio dell’anno a causa delle violenze e degli attacchi che hanno colpito la già indebolita popolazione locale.

La situazione umanitaria nella regione settentrionale del Mozambico, in particolare nella provincia di Cabo Delgado, è gravemente peggiorata dall’inizio dell’anno a causa delle violenze e degli attacchi che hanno colpito la già indebolita popolazione locale.
Quasi 200 episodi violenti sono stati registrati da gennaio a giugno 2020, il che ha causato lo spostamento improvviso di circa 250.000 persone che sono in fuga dalla regione, secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni.
La mancanza di acqua potabile e servizi igienici in un paese già distrutto a causa dei cicloni e delle fortissime piogge abbattutesi a fine 2019 ha causato l’esplosione di un’epidemia di colera che sta colpendo quasi 2000 persone.
Povertà, carestia, insicurezza alimentare stanno distruggendo un paese nel quale ha fatto il suo ingresso anche il COVID, con circa 2.900 casi confermati e più di 700.000 persone in estremo bisogno di assistenza umanitaria.[1]
Di colpo, il Mozambico è diventato uno dei tanti “sorvegliati speciali” dell’Africa sub-sahariana non solo per la crisi umanitaria che lo ha colpito, ma soprattutto per la paura che si stia trasformando in un avamposto dello Stato Islamico in una regione, quella dell’Africa Orientale, dove già Kenya e Tanzania stanno soffrendo per le incursioni e gli attacchi violenti di gruppi che si definiscono affiliati ad ISIS e Al-Shabaab.
Ma qual è l’origine della violenza nella regione di Cabo Delgado?
Tutto ha inizio nell’ottobre 2017, quando si scatenano una serie di episodi violenti nella zona; i commentatori attribuiscono lo scoppio degli attacchi all’influenza dei jihadisti kenioti e tanzaniani e più in generale ad un movimento islamico conservatore che ha trovato terreno fertile nella provincia poverissima e dimenticata di Cabo Delgado, nonostante la ricchezza di risorse naturali ben sfruttate da investitori esteri e delle quali poco ha beneficiato la popolazione locale.
Cabo Delgado si trova all’estremità orientale del Mozambico, al confine con la Tanzania. È abitata da 2.3 milioni di abitanti appartenenti prevalentemente all’etnia Makonde, Macau e Mwani. Questi ultimi rappresentano la minoranza musulmana, circa 150.000 persone, da sempre in lotta con l’etnia maggioritaria cristiana, i Makonde.
Secondo gli ultimi dati della Banca Mondiale, il Mozambico è classificato al settimo posto tra i paesi più poveri al mondo, con un PNL pro-capite di 1.200$. Nonostante il tasso di povertà si sia ridotto negli ultimi quindici anni, le province e località settentrionali non hanno visto alcun miglioramento sostanziale: con un tasso di analfabetismo al 60%, il 35% di bambini che non frequentano la scuola primaria, e un debolissimo 0,3% di studenti che giungono al livello post-secondario, la provincia registra un tasso di disoccupazione giovanile all’88%[2]. Paradossalmente, si tratta anche di una regione ricchissima di risorse naturali: giacimenti di rubini tra i più estesi al mondo, larghissima presenza di legname, e non meno importanti le riserve di gas naturale che hanno attratto numerosi investimenti stranieri da parte di compagnie quali Total, Exxon, Anadarko Petrloleum Corporation, che potrebbero arrivare a duplicare il PIL dell’intera nazionale nei prossimi anni.
Nonostante la pioggia di investimenti, la popolazione di Cabo Delgado non ha tratto benefici dall’incremento di interessi stranieri, e questo non ha fatto che fomentare il risentimento nei confronti dello Stato centrale.
La regione è poi interessata a diversi fenomeni criminali: il traffico di materie prime così come di droga e di esseri umani permea dalla Tanzania, in un quadro di insicurezza diffusa che mette a rischio la stabilità dell’intero paese.
La questione religiosa
La regione di Cabo Delgado è tradizionalmente legata al moderato Islam Sufista,[3] da secoli tollerante e ben inserito in un contesto sociale nel quale anche Cristianesimo e Animismo avevano un ruolo preponderante. A partire dagli anni ’70, però, una forma più conservatrice di Islam Sunnita fece ingresso in Mozambico insieme alle migliaia di studenti che rientravano dall’Arabia Saudita.
La corrente Sunnita rimase sempre una minoranza e si consolidò quasi come una reazione all’oppressione antireligiosa del governo post-indipendenza guidato dal FRELIMO, il Fronte di Liberazione del Mozambico.[4]
Scontri ed attacchi con la minoranza musulmana iniziarono ad essere riportati dagli anni ’80, mentre furono gli eventi accaduti alla fine degli anni ’90 a gettare le basi per le violenze di oggi.
In particolare, nel 1998, un gruppo di giovani leader musulmani provenienti dalle regioni settentrionali decise di abbandonare il Concilio Musulmano Sunnita Mozambicano e formare un nuovo gruppo militante: Ansar al Sunna, ovvero i Sostenitori della Tradizione, quest’ultima intesa come l’insieme dei codici di comportamento, delle consuetudini, dei costumi dell’Islam, e non a caso la Sunna costituisce la seconda fonte della Legge Islamica dopo il Corano.
Il gruppo, identificato anche con l’acronimo AAS e successivamente con ASWJ (Ahlu Sunna Waljama’a), si formò per via del sentimento di abbandono e discriminazione che i membri africani delle comunità musulmane percepivano da parte dell’élite arabo-mozambicana ed asiatica, e per segnare un netto distacco con il Concilio Sunnita ed il governo guidato dal FRELIMO.
L’AAS iniziò a diffondersi nella regione nord del paese e a radicalizzarsi: nel primo decennio degli anni 2000, il gruppo lavorava instancabilmente per reclutare e convertire giovani uomini, specie appartenenti all’etnia Mwani, convincendoli ad abbandonare le loro moschee e ad un unirsi alla predicazione conservatrice.
Molti membri vollero dissociarsi anche dallo Stato, dalle scuole, dai tribunali, istituendo una sorta di Società indipendente, sebbene all’epoca non venne identificato nessun leader ma soltanto una compagine di predicatori che ebbero contatti frequenti con gruppi jihadisti al di fuori dei confini Mozambicani.
Nel 2015 si sono verificati i primi episodi di scontro: giovani appartenenti all’AAS erano protagonisti di duri confronti al di fuori delle moschee locali nella regione di Cabo Delgado, e in alcuni casi sono entrati nelle moschee senza prima togliersi le scarpe, armati di coltelli, intimidendo gli imam locali.
La maggior parte dei membri dell’AAS erano giovani di etnia Mwani, nativi di Cabo Delgado, coinvolti in attività criminali o disoccupati.
Da questo momento in poi il gruppo iniziò a militarizzarsi, cambiando nome e diffondendo la sua presenza nella regione sotto il nome di Al Shabaab, per indicare la giovane età dei suoi membri, senza avere però alcun legame con la cellula terroristica somala.
L’inizio dell’insurrezione
A rafforzare l’integralismo dell’ASWJ arrivarono i seguaci del predicatore keniota Aboud Rogo, musulmano e ben radicato nella comunità di Mombasa. Rogo ha rappresentato il punto di ingresso nella regione non soltanto dell’estremismo islamico, ma anche dei legami con i gruppi terroristici attivi nel Medio Oriente e in Africa Orientale, da Al-Qaeda ad Al-Shabaab.
Ucciso a Mombasa nel 2012, le sue prediche hanno continuato a circolare anche su supporto multimediale, diffondendo il messaggio di jihad oltre i confini kenioti, in Tanzania prima e a Cabo Delgado poi.
I giovani miliziani dell’ASWJ sono stati trascinati in questo circolo di Islam conservatore, estremista, radicale, chiedendo dal primo istante la costituzione di uno stato musulmano a Cabo Delgado, e forse anche oltre, che aderisca all’insegnamento dell’Islam sunnita.
I primi attacchi sono iniziati nell’ottobre 2017 nella zona di Mocimboa da Praia; il gruppo era ancora in una fase di crescita e questi scontri iniziali si caratterizzano per l’aspetto rudimentale: i ribelli erano divisi in piccoli gruppi, armati di machete o coltelli, sebbene già sostenuti da gruppi criminali più numerosi provenienti dalla zona di Kibiti, in Tanzania.
Da questo momento in poi, l’ASWJ ha acquisito sempre più forza, a discapito delle forze militari governative, e dal 2019 ha iniziato a prendere controllo della regione: le Nazioni Unite alla fine di gennaio 2020 hanno stimato che circa 100.000 persone fossero già in fuga. In soli nove mesi, da maggio 2019 a gennaio 2020, i ribelli hanno espanso gli attacchi in 16 distretti della provincia di Cabo Delgado, mentre i legami con lo Stato Islamico iniziavano a rafforzarsi e ad emergere.
L’ISCAP (Stato Islamico della provincia dell’Africa Centrale) ha rivendicato una ventina di attacchi mortali tra 2019 ed inizio 2020, compreso quello di marzo, il più importante registrato sino ad ora: i miliziani dell’ASWJ hanno iniziato un triplice attacco il 23 di marzo nella città di Mocimboa da Praia (30.000 abitanti circa) sconfiggendo le forze di sicurezza governative e arrivando a prendere controllo della città. I ribelli hanno poi dato fuoco a numerosi edifici governativi, saccheggiando i depositi militari ed entrando così in possesso di una grande quantità di armi; successivamente, hanno distribuito cibo e denaro alla popolazione che li ha accolti con benevolenza vista la dichiarazione del gruppo di voler attaccare lo Stato, e non i civili.
Due giorni dopo, il 25 marzo, i ribelli sono arrivati a Quissanga, 100 km a sud, facendo cadere anche questa città nelle loro mani; immagini dei ribelli vittoriosi di fronte al quartier generale della polizia della città hanno presto iniziato a circolare, seguite da un video di propaganda nel quale un rappresentante militare dell’ASWJ dichiarava la volontà di instaurare la Sharia nella regione di Cabo Delgado, chiamando alle armi nuove reclute. Sullo sfondo del video sventolava la bandiera nera dello Stato Islamico, la bandiera per cui il gruppo dichiara di combattere.
Supporto esterno e possibili sviluppi
È stato chiaro sin dall’inizio degli attacchi che l’ASWJ ricevesse sostanziale supporto da gruppi jihadisti dalla Tanzania attraverso reti che si ramificano in Kenya, Somalia, Uganda, RDC e Sudan. Inizialmente però nessun gruppo specifico sembrava supportare i giovani ribelli, e sino al 2019 tra le fila del movimento apparivano soltanto combattenti stranieri che erano collegati alle reti di traffico internazionale.
Dal momento in cui il gruppo si è rafforzato, però, lo Stato Islamico è entrato in gioco e ha dato appoggio sostanziale all’ASWJ, sia economico che mediatico. Non ci sono prove tangibili dell’arrivo in Mozambico di miliziani provenienti dalle roccaforti dell’IS, ma ci sono segnali di un avvicinamento dell’IS all’Africa Orientale, con l’insediamento di un commando centrale in Somalia che ha supportato le operazioni in Mozambico.
Ad intensificare la paura di un ulteriore peggioramento delle condizioni di sicurezza dell’intera regione c’è la scarsa capacità delle forze governative mozambicane di controllare i ribelli: dopo qualche vittoria iniziale, infatti, l’ASWJ è riuscito a prendere controllo di numerosi distretti nella regione attaccando polizia, esercito, e addirittura forze straniere a supporto del governo. Report dal campo parlano di un esercito centrale fiaccato dai continui attacchi, in numero nettamente minore rispetto ai ribelli, dotato di poche armi e con un alto tasso di ammutinamento.
A fronte di tali sviluppi, le previsioni future per la regione non sono certamente rosee: in un quadro di pandemia globale, in un paese già fortemente indebolito da fenomeni naturali e dalla violenza incontrollata dei gruppi ribelli, l’ASWJ potrebbe riuscire a rafforzare il suo controllo nella regione di Cabo Delgado e ad espanderlo, facendo leva sul supporto dei gruppi in Tanzania e dello Stato Islamico. Come molti altri gruppi jihadisti in passato hanno fatto, anche qui potrebbe essere nominato un Emiro che, prendendo comando delle cellule minori, dichiari ufficialmente lealtà allo Stato Islamico, instaurandone un cruciale avamposto in Africa Orientale poco al di sotto della Somalia.
Nel corso di questo 2020 poi, l’ASWJ ha beneficiato del caos governativo scaturito dalla pandemia che con tutta probabilità colpirà duramente l’economia del paese; se la crisi dovesse colpire duramente anche i settori trainanti, quello estrattivo, quello dell’export, il Mozambico verrebbe investito da una potente inflazione, causando ancor più disoccupazione e povertà proprio in quelle province settentrionali dove i ribelli riescono a reclutare sempre più giovani disillusi, in difficoltà, trasformandole in facili prede da inserire tra le loro fila.
Note
[1] Fonte dei dati: OCHA, Mozambique, Cabo Delgado Humanitarian Snapshot, Luglio 2020
[2] Fonte dei dati: World Bank, Mozambique data sheet 2017
[3] Dall’Enciclopedia Treccani, Sufismo: “Nell’islam, dottrina e disciplina di perfezionamento spirituale. Si presenta come un insieme di metodi e dottrine che tendono all’approfondimento interiore dei dati religiosi, per preservare la comunità dal rischio di un irrigidimento della fede e di un letteralismo arido e legalistico.” https://www.agi.it/estero/sufi_chi_sono_egitto-3159959/news/2017-11-25/
[4] https://www.britannica.com/topic/Frelimo
Foto copertina: A woman holds her younger child while standing in a burned out area in the recently attacked village of Aldeia da Paz outside Macomia, on August 24, 2019. – On August 1, the inhabitants of Aldeia da Paz joined the long list of victims of a faceless Islamist group that has been sowing death and terror for nearly two years in the north of the country, which welcomes from September 4 the Pope. (Photo by MARCO LONGARI / AFP)
[trx_button type=”square” style=”default” size=”large” icon=”icon-file-pdf” align=”right” link=”https://www.opiniojuris.it/wp-content/uploads/2020/08/Una-nuova-jihad-in-Mozambico-Tania-Corazza.pdf” popup=”no” top=”inherit” bottom=”inherit” left=”inherit” right=”inherit” animation=”bounceIn”]Scarica Pdf[/trx_button]