La Corte d’Appello di Catania, sez. lav., con la sentenza n. 478/2020, ha dichiarato l’estinzione, per cessata materia del contendere, di un contenzioso instaurato in opposizione a cartelle di pagamento relative a carichi previdenziali sotto le mille euro.
A cura di Giorgio Seminara
Il caso
Con sentenza del 23.11.2018, il Tribunale di Siracusa dichiarava inammissibile l’opposizione proposta dal contribuente avverso i ruoli inerenti 15 cartelle esattoriali, intimanti il pagamento di contributi IVS ( Invalidità, Vecchiaia e Superstiti) e somme aggiuntive riferiti agli anni 2000/2009, dato atto che le cartelle risultavano tutte regolarmente notificate e che l’opposizione non era stata proposta nei termini di legge.
Appellava la suddetta sentenza il ricorrente, con atto depositato il 14.5.2019, rilevando che col ricorso introduttivo era stata da egli eccepita anche la prescrizione maturata successivamente alle notifiche delle cartelle, eccezione la quale integra motivo di opposizione all’esecuzione, non soggetto ad alcun termine di decadenza.
Costituendosi in giudizio, Riscossione Sicilia S.p.a. eccepiva l’inammissibilità dell’appello per difetto di interesse, in quanto tutte le cartelle oggetto di causa rientravano nella previsione normativa dell’art. 4 d.l. 119/2018, sicché erano state ope legis annullate già alla data del 31.12.2018 ed erano state altresì oggetto di sgravio da parte del concessionario.
La decisione del Collegio
La Corte d’Appello, con la sentenza n. 478/2020, ha dichiarato cessata la materia del contendere, rientrando i carichi opposti nella previsione dell’art. 4, comma 1, del decreto legge n. 119 del 23 ottobre 2018, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 dicembre 2018 n. 136; inoltre, ha compensato tra tutte le parti le spese del grado di giudizio.
Nella decisione in commento, il collegio giudicante ha ritenuto “assorbente” il rilievo dello ius superveniens, rappresentato dall’art. 4, comma 1, decreto legge n. 119 del 23 ottobre 2018, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, l. 17 dicembre 2018, n. 136, il quale ha statuito: “I debiti di importo residuo, alla data di entrata in vigore del presente decreto, fino a mille euro, comprensivo di capitale, interessi per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni, risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2010, ancorché riferiti alle cartelle per le quali e già intervenuta la richiesta di cui all’articolo 3, sono automaticamente annullati. L’annullamento è effettuato alla data del 31 dicembre 2018 …”.
Nella specie, ciascuno dei singoli carichi iscritti a ruolo non eccedevano il limite di valore fissato dalla norma e gli stessi erano stati affidati all’agente della riscossione entro i termini previsti dalla disposizione richiamata. La Corte, quindi, ha ritenuto che rispetto a questi carichi operasse immediatamente, ipso iure, lo stralcio del debito disciplinato dalla norma. Da tanto discende, secondo il Collegio, che “l’annullamento automatico” si pone come fatto impeditivo ex lege all’ulteriore corso del processo.
Osservazioni conclusive sull’annullamento automatico e sulla compensazione delle spese
Come si è più sopra ricordato, lo stralcio del debito opera immediatamente ipso iure, espressamente sancendo la legge l’automaticità dell’annullamento, pur nelle more – e indipendentemente – della successiva adozione (entro il termine ordinatorio del 31 dicembre 2018) del pertinente, consequenziale provvedimento di sgravio-annullamento da parte dell’agente della riscossione, come contemplato nella seconda parte dell’art. 1, comma 1, del decreto legge cit. (cfr., in termini, Cass. 15474/19, tra le numerose altre).
In detto contesto, la mancata adozione del provvedimento di sgravio non assume alcun rilievo nel giudizio previdenziale: si tratta di atto meramente dichiarativo e assolutamente dovuto, in quanto previsto dalla disposizione “per consentire il regolare svolgimento dei necessari adempimenti tecnici e contabili” nell’ambito dei rapporti tra l’agente della riscossione e gli enti impositori.
Nella vicenda esaminata, la Corte d’Appello ha giustificato così, quale conseguenza dell’annullamento ex lege del debito iscritto a ruolo, la cessazione della materia del contendere (con conseguente venir meno dell’efficacia della sentenza impugnata: cfr. Cass. S.U. n. 8980 del 2018), compensando le spese di lite del grado.
Invero, per costante esegesi giurisprudenziale, la declaratoria della cessazione della materia del contendere presuppone non solo che, nel corso del processo, sia sopraggiunto un evento incidente sulla situazione sostanziale preesistente in qualche modo idoneo a soddisfare l’interesse finale dell’attore, ma anche che entrambe le parti concordino tanto sull’esistenza dell’evento quanto sul sopravvenuto reciproco disinteresse alla pronuncia del giudice (cfr. ex multis, Cass. 1950/2003; Cass. 11931/2006; Cass. 16150/2010 così massimata: “La cessazione della materia del contendere presuppone che le parti si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano al giudice conclusioni conformi in tal senso. In mancanza di tale accordo, assunto come idoneo a determinare la cessazione della materia del contendere da una sola parte, deve essere valutata dal giudice, il quale, qualora ritenga che tale fatto abbia determinato il soddisfacimento del diritto azionato, e quindi il difetto di interesse ad agire, lo dichiara, regolando le spese giudiziali alla luce del sostanziale riconoscimento di una soccombenza; qualora, invece, ritenga che il fatto in questione abbia determinato il riconoscimento dell’esistenza del diritto azionato, pronuncia sul merito dell’azione, dichiarandone l’infondatezza, e statuisce sulle spese secondo le regole generali”).
Quid iuris se tale disinteresse reciproco alla sentenza non è stato manifestato, avendo le parti appellate dichiarato di avere comunque interesse alla condanna alle spese processuali?
In tal caso, ad avviso di chi scrive, l’appello andrebbe esaminato al fine dell’applicazione delle regole della soccombenza virtuale per il regime delle spese (v. Cassazione civ., sez. VI, ordinanza 09/10/2019, n. 25238). Infatti, secondo la costante giurisprudenza della Suprema Corte di legittimità (v. Cassazione nn. 1156/63; 1711/75; 4889/81 e 653/82), al giudizio che dichiara la cessazione della materia del contendere spetta anche il regolamento delle spese processuali e la relativa pronuncia va fondata sulla valutazione della probabilità normali di accoglimento della domanda (c.d. principio della soccombenza virtuale).
Foto copertina: Immagine web. Leggioggi.it
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