Il modello della Unione Europea e dei negoziati sul clima.
Nella governance globale, il “multilateralismo efficace”[1] continua a fronteggiare molte sfide. La cooperazione internazionale è sempre più difficile da ottenere, complici l’analisi costi-benefici e il free riding degli attori politici razionali. Perciò, attori statali e trans-governativi tenderanno ad assumere sempre più rilevanza nella istituzionalizzazione di norme e decisioni vincolanti per la collettività riguardo la risoluzione di problemi pubblici globali, diventando norm entrepreneurs nella governance globale.
Scopo di questa tesina è di esplorare le modalità attraverso le quali gli attori possono diventare norm entrepreneurs nella governance globale, soffermandosi in particolare sul caso dell’Unione Europea e sul suo ruolo ai negoziati sul clima.
Drivers della norm entrepreneurship
La mancanza di un efficace sistema di governance globale implica conseguentemente l’assenza di coordinamento internazionale “per produrre o implementare regole vincolanti per la collettività o per produrre beni pubblici globali”[2]. Pertanto, si rende necessaria nella governance globale una “entrepreneurial authority per stabilire criteri, coordinare azioni e sviluppare norme”[3] in modo da istituire un controllo vincolante globale.
Nell’arena internazionale, gli attori possono diventare norm entrepreneurs agendo su tre ambiti: 1) l’istituzionalizzazione normativa, 2) il coordinamento a livello internazionale e 3) un processo di apprendimento politico costante.
Innanzitutto, potenziali norm entrepreneurs dovrebbero adottare una long term vision attraverso un rebalancing dei propri interessi a breve e lungo termine. Per questo motivo, attori statali tenderanno a evitare di assumere questo ruolo perché la loro “ombra del futuro” è strettamente legata al ciclo elettorale oppure a determinate constituencies domestiche, e perciò, stando alle parole di Colgan {2020}, “gli Stati rifiutano di accettare coinvolgimenti significativi o di rompere le promesse”.
Perciò enti sovranazionali e organizzazioni internazionali e regionali, la cui legittimazione è spesso slegata da pressioni domestiche e l’effettività si misura in base agli output raggiunti, hanno maggiori probabilità di adottare una visione a lungo termine.
L’istituzionalizzazione normativa deve avvenire stabilendo i criteri di appropriatezza normativa e adattandoli al proprio ordinamento politico.
Norm entrepreneurs statali o sovranazionali possono agire in sinergia con le comunità epistemiche, definiti da Cross[4] come networks di esperti del settore che non hanno un’agenda politica e forniscono una conoscenza scientifica slegata da interessi particolaristici.
Si evince che “i processi interni di decisione (delle comunità epistemiche) e le norme professionali che governano questi processi sono così importanti da determinare il successo o il fallimento di un potenziale accordo internazionale” {Cross, 2018}.
Espandere il loro mandato e potere e aumentarne i finanziamenti implica una espansione strategica dell’expertise tecnica (approccio bottom-up) ed una maggiore incisività ai summit internazionali.
Una volta istituzionalizzate le norme, i norm entrepreneurs dovrebbero intraprendere un processo di socializzazione attraverso la proposta di modelli vincenti e inclusivi e la creazione di networks di coordinamento e iniziative bilaterali con gli altri attori.
Nello specifico, secondo la teoria costruttivista, la socializzazione di una norma e il suo riconoscimento in ambito internazionale implica un fenomeno di “normative suasion” per cui gli altri attori in campo saranno influenzati e persuasi a adattare il proprio ordinamento politico alla nuova norma internazionale, incentivando il cambiamento.
Ogni potenziale norm entrepreneur nella governance globale deve adottare un approccio di rethinking costante del proprio operato nell’arena internazionale, teso a individuare nuovi modelli normativi più funzionali, inclusivi e predittivi. Ad esempio, l’adozione di un modello di sviluppo sostenibile implica la marginalizzazione di interi settori dell’economia mondiale dipendenti dallo sfruttamento dei combustibili fossili, e conseguentemente industrie, lavoratori e Stati potrebbero essere disincentivati al cambiamento. È necessario dunque adottare modelli alternativi e inclusivi attraverso un processo di “divestment and diversification”[5] degli interessi più vulnerabili, assumendo che “tematiche di importanza nazionale come la perdita e il danno possono stimolare il dibattito e l’azione a livello internazionale e vice versa”[6].
L’Unione Europa aspira dal 1990 a creare un regime climatico internazionale vincolante. Tuttavia, è riuscita a conquistare il ruolo di norm entrepreneur sul tema solo a partire dall’Accordo di Parigi del 2015. Ad oggi l’Unione Europea ha reso lo sviluppo sostenibile “visibile ai livelli nazionali, locali e regionali di governance”[7] e, attraverso la proposta dell’EU Green Deal, vanta l’obiettivo ambizioso di rendere l’Europa climaticamente neutrale entro il 2050.
Secondo Cross {2020}, il modello dell’UE che ha visto negli anni 1990-2014 una crescita inversamente proporzionale dell’economia (+43%) e delle emissioni di CO2 (-27%) è risultato vincente sia a livello interno, aumentando la coesione tra i membri, sia a livello esterno, conquistando la convergenza d’interessi del Global South al summit di Parigi. L’Unione ha contribuito alla istituzionalizzazione di un modello economico di sviluppo sostenibile incentivando e finanziando la creazione e l’espansione di comunità epistemiche sul riscaldamento globale, le quali “non solo creano specifiche politiche di governo, ma modellano anche la governance ambientale” {Cross, 2018}.
A livello internazionale, l’Unione Europea ha istituito nel 2003 il “Green Diplomacy Network” e una serie di partnerships strategiche con paesi terzi, tesi a promuovere la cooperazione attiva e durevole in ambito climatico e ad aumentare la coherence e la consistency dell’Unione. Recentemente, la proposta UE di un requisito essenziale alla norma europea dello sviluppo sostenibile, una “carbon tax” sulle importazioni di carbone da parte di paesi terzi, incentiverebbe, secondo la teoria costruttivista, una “norm cascade” a livello interno in quanto “darebbe ai governi membri dell’UE un introito da investire nelle energie rinnovabili e nella conservazione” {Cross, 2018} e a livello esterno, sugli attori coinvolti nelle partnership strategiche, incentivandoli a “implementare o programmare operazioni di carbon-pricing per non essere colpiti dalla tassa” {Colgan, 2020}.
Infine, sulla base delle lessons learned del summit di Copenaghen nel 2009, l’UE ha avviato un processo di apprendimento politico teso a rivedere la sua strategia diplomatica. I nuovi obbiettivi posti, quali l’individuazione delle sfide locali, la preparazione in anticipo dei summit e un maggiore focus sulle esigenze normative dei paesi terzi {Cross, 2018} hanno permesso all’Unione Europea di garantirsi il successo del summit di Parigi del 2015 e la sua successiva affermazione come leader mondiale in tema climatico. Il nuovo modello della Commissione Europea per una “transizione giusta” ingloba anche gli interessi dei “climate takers (cioè quei settori che sono più impattati dal cambiamento climatico)” {Mabey, Gallagher & Born, 2013}, quali ad esempio gli investitori, i quali hanno una crescente preoccupazione per gli “stranded assets” o attività non recuperabili a causa del riscaldamento globale {Colgan, 2020}.
La mancanza di un efficace sistema di governance globale porta ad una sottoproduzione di norme vincolanti e beni pubblici. A causa del diretto impatto sulla collettività globale, gli attori razionali possono diventare norm entrepreneurs per regolamentare un controllo vincolante internazionale. L’autorità imprenditoriale si acquisisce adottando una mission a lungo termine, con un messaggio vincente e complementare alle richieste degli altri attori internazionali. Una volta istituzionalizzato il cambiamento normativo, esso verrà socializzato all’interno dei fora diplomatici internazionali e attraverso partnerships strategiche per promuovere la cooperazione, come nel caso dell’Unione Europea e delle alleanze verdi internazionali. Infine, risulta fondamentale un processo di apprendimento politico costante che tenda ad essere inclusivo e funzionale, coadiuvato da un’azione preventiva di eventuali impatti negativi su categorie vulnerabili. In questo modo, l’Unione Europea è riuscita ad affermarsi come norm entrepreneur ai negoziati sul clima.
In conclusione, emerge la capacità dei norm entrepreneurs di plasmare l’architettura della governance globale e di contribuire al suo sviluppo.
In un’ottica costruttivista, il processo di cambiamento normativo guidato da potenziali norm entrepreneurs, socializzato e internazionalizzato nell’arena internazionale, permette in ultima istanza un cambiamento ideale, plasmando i valori stessi della comunità internazionale. Prendendo l’Unione Europea come esempio, ad oggi “la Commissione Europea interpreta lo sviluppo sostenibile come un obiettivo di qualità ambientale, e ha cercato di stabilire questa norma nell’Unione Europea” {Ingebritsen, 2002} e nell’arena internazionale, promuovendo capillarmente un cambiamento normativo e ideale verso la tutela dell’ambiente e una economia globale green.
Note
[1] Mirachian L. (2013) ‘L’Onu e noi, noi e l’Onu la lettera che avrei voluto scrivere’, Limes, 7(2) [online]. Disponibile da: https://www.limesonline.com/cartaceo/lonu-e-noi-noi-e-lonu-la-lettera-che-avrei-voluto-scrivere?prv=true
[2] Krasner S. D., Risse T. (2014), ‘External Actors, State-Building, and Service Provision in Areas of Limited Statehood: Introduction’, Governance, 27(4), pp. 545-567
[3] Colgan J.D. (2020), ‘Governments haven’t managed to reduce greenhouse gases. Here’s who’s taking charge in the next phase.’, The Washington Post, 17 febbraio 2020
[4] M.K.D. (2018), ‘Partners at Paris? climate negotiations and transatlantic relations’, Journal of European Integration [online], 40(5), pp. 571-586. Disponibile da: https://doi.org/10.1080/07036337.2018.1487962
[5] Colgan J.D., Green J.F. & Hale T. (2018), ‘The climate is changing. Here’s how politics will also change’, The Washington Post, 8 ottobre 2018
[6] Mabey N., Gallagher L., Born C.(2013), Understanding Climate Diplomacy: Building Diplomatic Capacity and Systems to Avoid Dangerous Climate Change, Report, E3G, pp. 35-67. Disponibile da: www.jstor.org/stable/resrep17706.7
[7] Ingebritsen C. (2002), ‘Norm Entrepreneurs. Scandinavia’s Role in World Politics’, Cooperation and Conflict: Journal of the Nordic International Studies Association, 37(1), pp. 11-23
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