La spaccatura che Trump sta creando con Kiev probabilmente verrà letta dal Cremlino come un ulteriore finestra di opportunità per la risoluzione del conflitto ma quali effetti avrà sulla Cina?
Linguaggio (troppo) franco
L’incontro tra il Presidente USA Donald Trump e il Presidente Ucraino Volodymyr Zelens’kyj a Washington era probabilmente tra i più attesi dall’insediamento del tycoon alla Casa Bianca. Le settimane che avevano preceduto l’incontro erano state caratterizzate da una tensione via via sempre crescente tra Kiev e Washington proprio a causa delle dichiarazioni di Trump nei confronti del Presidente ucraino, definito “dittatore” e “comico mediocre”, mentre i primi dialoghi su una possibile risoluzione del conflitto venivano condotti bilateralmente con Mosca in Arabia Saudita. L’Ucraina stessa e l’Unione Europe sono risultate le grandi escluse da questi primi passi per una risoluzione diplomatica del conflitto cercando di reagire con dichiarazioni e ulteriori incontri sul caso.
Allo stesso tempo anche Beijing ha guardato con interesse agli eventi rilasciando dichiarazioni a favore di una pace giusta ma elaborata con tutte le parti in causa, ribadendo ancora una volta la propria posizione per una risoluzione diplomatica e dichiarandosi pronta a facilitare il processo di pace attraverso le parole del Portavoce del proprio Ministero degli Esteri Guo Jiakun, durante una regolare conferenza stampa: «Guo Jiakun: We hope relevant parties will jointly play a constructive role and accumulate conditions for a political settlement and the realization of peace. […] Guo Jiakun: No matter how the international landscape evolves, China has always been working vigorously to facilitate talks for peace. Facts and the development of the situation have once again proven that the principles and propositions put forward by President Xi Jinping, including the four points about what must be done and the three observations, are objective, impartial, rational, and pragmatic. We will continue to follow these principles and play a constructive role in the political settlement of the crisis and the realization of peace. The “Friends of Peace” group, initiated by China and other members of the Global South, will continue to build consensus for promoting peace talks.»[1]
Ciò che è avvenuto nello Studio Ovale, in una delle scene più surreali della diplomazia “pubblica” per modi e toni utilizzati, oltre ad aver destato l’incredulità del mondo internazionale non può che essere stato letto da diversi attori come un importante messaggio tra le righe di una guerra che oramai giunta a tre anni è divenuta simbolo di una crisi sistemica evidentemente diffusa.
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Sun Tzu dice…
Ponendo un focus proprio sulla posizione di Beijing circa la guerra in Ucraina e per estensione nei confronti di Mosca, alcune ipotesi hanno visto nel rinnovato dialogo tra Mosca e Washington un tentativo da parte dell’amministrazione Trump di andare ad intaccare le oramai più che strette relazioni tra Beijing e il Cremlino. L’”amicizia senza limiti” tra questi due attori si è andata rinsaldando con il passare degli anni di guerra e a tal proposito è bene sottolineare che anche le amicizie più strette, in ambito internazionale, sono governate in primis da interessi più o meno espliciti.
La Russia ha grandemente giovato nell’ambito del suo sforzo bellico e anche economico di un alleato come la Cina, potendo continuare a vendere, seppur ad un prezzo ribassato, i propri preziosi idrocarburi, di cui la Cina è particolarmente assetata per alimentare il proprio sforzo economico ed industriale oltre a beneficiare di sospetti rifornimenti per le proprie forze armate tra cui i tanto discussi componenti “dual use”.
A sua volta Beijing ha ottenuto e sta ottenendo un vantaggio notevole da una Federazione Russa “distratta” dalla guerra in corso e, non è oramai un segreto, indebolita da quest’ultima. La Cina di Xi però, in pieno stile Sun Tzu non dimostra alcuna fretta o ostentazione in questo particolare e delicato ambito con la Russia, continuando mellifluamente a rinsaldare i rapporti con il suo ingombrante vicino. Del resto, la posizione strategica della Cina nelle sue stesse “acque territoriali” si sta complicando e con l’amministrazione Trump che senza troppo a lasciar intendere tornerà quanto prima a guardare alla regione dell’Indo-Pacifico, le vie che la Cina potrà percorrere si vanno assottigliando. Questo soprattutto se Beijing vorrà evitare uno scontro diretto con gli USA e i loro alleati (o quantomeno posticiparlo).
Le diverse fasi che la guerra in ucraina ha attraversato in tre lunghi anni di guerra, sono state sempre osservate con grande attenzione da Beijing, poiché gli sviluppi di quel lontano campo di battaglia risultano probabilmente molto interessanti per l’agenda di politica estera della Cina di Xi, e questo su più livelli di analisi. La questione di Taiwan, oramai analizzata da molti punti di vista, è sempre stata in un certo senso associata all’Ucraina e sebbene nel corso degli anni le tensioni tra l’isola e la Cina continentale sono aumentate sino a far temere un’escalation imminente a causa delle minacciose esercitazioni navali di Beijing, nulla di concreto si è ancora (fortunatamente) materializzato.
Dai campi di battaglia ucraini la Cina ha avuto anche la possibilità di analizzare alcune dinamiche politiche che intercorrono tra gli attori coinvolti. Non solo quello che è stato l’atteggiamento degli Stati Uniti di Biden, forse prevedibili per certi versi nei confronti di questa guerra ma anche quelle che sono state le diverse risposte di breve e lungo periodo di attori come l’Unione Europea e i suoi stati membri, unitamente a diversi altri attori. Non è da sottovalutare neanche l’intelligence, di cui molti stanno usufruendo, che viene raccolta direttamente dai campi di battaglia, inevitabilmente, del futuro e che cambierà ancora una volta il “modo di fare la guerra”.
La Cina di Xi ha osservato e continua ad osservare con grande attenzione tutto questo, attendendo pazientemente sul ciglio di questo fiume internazionale che come fu per la “fiumana del progresso” di Verga, sta ridefinendo gli equilibri mondiali in modo sempre più evidente.
Il caos è equo?
Ciò che è avvenuto allo Studio Ovale non è che la plateale punta di un iceberg ben più profondo. La spaccatura che Trump sta creando con Kiev probabilmente verrà letta dal Cremlino come un ulteriore finestra di opportunità per la risoluzione del conflitto ma quali effetti avrà questo su Beijing?
Come previamente accennato, la Cina di Xi sembrerebbe essersi posizionata, rispetto alla guerra tra Russia e Ucraina, in una posizione di vantaggio strategico per cui essa potrebbe ottenere un vantaggio a prescindere dal cadavere che passerà dal fiume ma questa posizione non può essere mantenuta ad oltranza. Il tempo di un face-off per Beijing probabilmente di avvicina e i fatti avvenuti allo Studio Ovale sono certamente un campanello di allarme per Xi. L’amministrazione Trump, come detto, vuole tornare a guardare alla sfida (per ora economica) con la Cina e molte pedine sono già posizionate sulla scacchiera. Le terre rare, di cui si è tornato prepotentemente a parlare per via dell’accordo offerto da Trump a Kiev sono una pedina importante di questa scacchiera. Ad oggi La Federazione Russa e la Cina detengono i più asti giacimenti di terre rare al mondo e questo è diventato un vantaggio strategico più volte sfruttato da Beijing nei confronti degli altri attori internazionali, soprattutto in tandem con l’alleato russo.
Se Trump dovesse riuscire a concludere accordi su queste preziose materie prime, che sia esso con Kiev o con Mosca, sarebbe un punto strategico importante contro Beijing. Allo stesso tempo, un disengagement USA dal teatro europeo in favore di quello Indo-Pacifico decreterebbe l’inizio della sfida con Washington. Ciò detto, Beijing è tutt’altro che impreparata ad un simile scenario, poiché alcune decisioni dell’amministrazione Trump potrebbero avere dei risvolti inaspettati. Un esempio sono i dazi al 25% che gli USA vogliono apporre all’Unione Europea, che potrebbero spingere non solo l’Unione ma anche alcuni singoli stati a tornare a guardare a Beijing come interessante interlocutore economico. A questo va aggiunto il fatto che la Federazione Russa, sebbene adesso si trovi probabilmente in una posizione di vantaggio tattico nei confronti dell’Ucraina, da un punto di vista internazionale potrebbe finire col trovarsi tra l’incudine e il martello e lo stretto legame con la Cina potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio che Beijing sa bene di poter controllare.
Il mondo internazionale sta evidentemente attraversando una fase di crisi sistemica molto acuta e che meriterebbe un’analisi a parte però è possibile leggere negli ultimi eventi quelle che sono delle sempre più prepotenti spinte verso un multipolarismo internazionale che storicamente risulta essere eterogeneo nelle sue dinamiche ove non caotico e spesso causa di crisi e conflitti. Probabilmente, guardando a qualche anno fa, la Cina avrebbe preferito che le spinte della crisi dell’Unipolarismo portassero ad un nuovo sistema bipolare, se non di nome quantomeno de facto, con Beijing e Washington quali nuovi protagonisti di un sistema stabile e maggiormente gestibile con “campi di battaglia” ben diversi quali quello economico-tecnologico piuttosto che politico-ideologico caratteristico della guerra fredda. Qualcuno ha definito il caos come “equo”, e forse potrebbe essere così; resta da chiedersi se questo potrà giovare alla Cina di Xi e se questa potrà arridere ai litigi dei protagonisti di una guerra che forse si appresta a finire?
Note
[1] Ministry of the Foreign Affairs, The People’s Republic of China, Foreign Ministry Spokesperson Guo Jiakun’s Regular Press Conference on February 18, 2025. In: https://www.fmprc.gov.cn/mfa_eng/xw/fyrbt/202502/t20250218_11558214.html
Foto copertina: L’incontro tra Trump e Zelens’kyj alla Casa Bianca