Come ampiamente preannunciato da tutti i sondaggi, i cristianodemocratici saranno chiamati a guidare il prossimo governo, e l’estrema destra, ormai normalizzata, sfonda quota 20% mentre i partiti della “coalizione semaforo” ottengono risultati disastrosi. Si apre adesso la fase di negoziato per formare il nuovo governo esecutivo.
Ci sono state poche sorprese alla chiusura delle urne in Germania ieri, domenica 24 febbraio 2025: l’estrema destra è in ascesa ma non entrerà a far parte del governo. I partiti che sostenevano Scholz hanno vissuto una vera e propria emorragia di voti (se si eccettuano i Verdi che sono riusciti a tamponare parzialmente le perdite), i rossobruni della Bündnis Sahra Wangenknecht (BSW) non riescono a superare la soglia di sbarramento del 5%, così come i Liberali che lasciano sul terreno 6 punti percentuali rispetto al 2021 rimanendo fuori dal Bundestag.
Si certifica la frammentazione della politica tedesca nonché l’indebolimento dei partiti tradizionali, in particolare CDU/CSU e SPD, sui quali il sistema democratico della Germania è stato imperniato per tutto il Secondo dopoguerra. I socialdemocratici di Olaf Scholz, Cancelliere uscente, raccolgono il loro peggior risultato dalla fondazione del partito (dal 25,7% del 2021 al 16,4% del 2025) e dovranno ripensare complessivamente la loro strategia e linea politica per il futuro, soprattutto se si considera che pare scontata una loro partecipazione in un governo di grande coalizione. In questo quadro, lo stesso ex cancelliere si è assunto le responsabilità per una cocente sconfitta che è il risultato dell’onda lunga proveniente dal collasso della “Coalizione Semaforo” e da un’esperienza di governo che è stata valutata eufemisticamente come deludente da parte dei tedeschi.
L’Unione passa dal 24,1% del 2021 al 28,5% di oggi, una vittoria non troppo dolce per Friederich Merz: la soglia psicologica del 30% è ancora distante, l’estrema destra cresce ovunque in Germania e nonostante la virata conservatrice impressa dal leader, la CDU non riesce a riconquistare l’elettorato. Le fasce più giovani della popolazione, poi, sono ben più suscettibili alla propaganda delle ali estreme (AfD e Linke), il che dovrebbe portare a interrogarsi sulla reale capacità del cordone sanitario di reggere sul lungo periodo.

Fonte: https://www.bundeswahlleiterin.de
Vera vincitrice delle elezioni è proprio la formazione di Alice Weidel che, infatti, si è detta pronta a intavolare le trattative per il varodel governo con Merz. In pochi anni l’AfD è riuscita ad aumentare il proprio consenso passando da circa il 10% del 2021 al 20% del 2025. Gli esponenti politici tedeschi moderati (sia di destra che di sinistra) devono necessariamente osservare con attenzione la geografia del consenso ottenuto dalla formazione di Alice Weidel. È ormai impossibile immaginare di derubricare l’avanzata di una forza politica a tutti gli effetti post-nazista, come il risultato di insoddisfazione o come un mero voto di protesta. L’elettorato dell’AfD riflette in parte una rivolta contro l’establishment, e, per quanto riguarda i Länder orientali, contro i risultati di una riunificazione che non ha tolto dal tavolo i pesanti disequilibri est-ovest. Allo stesso tempo, la cifra del 20% su base nazionale implica inevitabilmente che l’AfD sia ormai una forza trasversale, radicata nel panorama politico tedesco e che diventerà (rebus sic stantibus) sempre più accettabile per larga parte dell’elettorato. Pare complicato immaginare che il sistema politico-istituzionale tedesco possa continuare a tenere fuori dal dialogo un partito che è riuscito a raccogliere nella lista proporzionale dieci milioni di voti. Questo porta a interrogarsi sulle crepe che si svilupperanno inevitabilmente su quel Brandmauer che ha garantito fino ad oggi l’esclusione dai giochi istituzionali dell’AfD: il primo passaggio non avverrà, come in molti si aspettano, con l’apertura dei negoziati per il varo del nuovo governo, bensì al momento del rinnovo di quello che è l’ufficio di presidenza del Bundestag, dove fino a oggi nessun vicepresidente AfD è mai stato eletto.

Fonte: https://www.bundeswahlleiterin.de
Per quanto riguarda l’affluenza, queste elezioni hanno segnato un generale aumento della partecipazione attestandola all’82,5%, il dato più alto dagli anni ’90. L’appello al voto moderato sembra aver mobilitato una buona parte del corpo elettorale; non va dimenticato, infatti, che negli ultimi mesi sono state numerose e partecipatissime (soprattutto nelle città maggiori) le proteste contro l’avanzata dell’estrema destra. D’altro canto, però, i partiti moderati e di centro vedono ridursi il proprio peso sul totale dei voti espressi: se si sommano i risultati percentuali ottenuti da Unione, Socialdemocratici, Verdi e Liberali questi rappresentano il 60% del totale, mentre quattro anni fa erano il 75%. Si tratta di dati che dovranno far riflettere le dirigenze dei diversi partiti anche nella prospettiva della formazione del nuovo governo.
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Le prossime mosse
Friederich Merz ambisce a entrare nel pieno delle sue funzioni entro Pasqua e la strada sembra essere quella della Grande Coalizione con l’SPD che garantirebbe una maggioranza di 328 seggi. Al netto dei numeri, però, sarà interessante comprendere quali saranno le prime mosse del nuovo Cancelliere ed è probabile che il primo tema affrontato sarà quello dell’immigrazione. Sebbene tutte le forze politiche si siano dichiarate a favore di un irrigidimento della normativa, è vero altresì che nelle ultime settimane prima delle elezioni ha fatto molto scalpore la decisione del gruppo parlamentare cristianodemocratico di votare una mozione assieme all’AfD, che impegnava il governo in questo senso. Voto che ha sollevato la preoccupazione della società civile e delle forze politiche per una possibile convergenza su alcuni dossier quali quello dell’immigrazione. Sembra però ben più plausibile che la decisione di votare insieme una mozione dal valore (sia politico sia parlamentare) quasi nullo, abbia risposto non tanto alla volontà di perseguire un’alleanza organica con l’estrema destra, quanto alla necessità di mettere sotto pressione i futuri partner di coalizione. Sulla linea dura sull’immigrazione è possibile che ci possa essere un’identità di vedute con la Premier italiana Giorgia Meloni, la quale ha avuto negli ultimi due anni dei rapporti piuttosto freddi con Scholz.
Per quanto riguarda la politica europea, il leader cristianodemocratico ha fatto intendere la sua intenzione di rinverdire l’asse con Parigi che durante il cancellierato di Scholz era andata sfilacciandosi nonché, volgendo lo sguardo ad est, rinsaldando il partenariato con Varsavia. Merz si è detto a favore della necessità di una maggiore indipendenza strategica dagli Stati Uniti e probabilmente come cancelliere cercherà di ottenere una maggiore integrazione tra i 27 procedendo sulla strada della cooperazione rafforzata, o proponendo una riedizione del Next Generation Eu in campo della difesa.
Al netto delle intenzioni, sarà importante vedere i dati di fatto della nuova politica tedesca, e in particolare se il nuovo Cancelliere sarà in grado di tenere insieme una coalizione composta assieme ad un partito, la SPD, che è uscito ammaccato dalle elezioni e che non potrà mostrarsi eccessivamente appiattito sulla CDU. I socialdemocratici, infatti, dovrebbero aver inteso il messaggio proveniente dalle urne: non sono in grado di smuovere a loro favore l’elettorato progressista che, soprattutto nelle fasce più giovani della popolazione, preferisce affidarsi ai Verdi e alla sinistra (Linke).
Non è possibile al momento attuale fare previsioni sulla durata dei negoziati né della legislatura, quello che è certo è che il nuovo Cancelliere dovrà impegnare ogni suo sforzo verso un ampio percorso di riforme interne, e sembra intenzionato a rendere la Germania nuovamente il motore d’Europa. La conferma del tradizionale impegno europeista da parte di Berlino può essere d’aiuto nel creare quella sinergia, fondamentale, per affrontare l’attuale clima di tensione che si respira tra le due sponde dell’Atlantico. Resterà da valutare se le mosse del nuovo Cancelliere gioveranno all’intera Unione Europea o se rimarranno esclusi (per volontà propria o altrui) paesi considerati periferia.
Foto: grafico delle elezioni in Germania