Creata per proteggere il regime dello Shah Mohammed Reza Pahlavi, la Savak divenne nota rapidamente per i suoi metodi brutali e il controllo capillare del territorio nazionale. Considerata da molti come il braccio armato della monarchia, la sua caduta avvenne nel 1979 con l’ascesa di Khomeini al potere in Iran.
Origini e fondazione della Savak
L’Organizzazione delle Informazioni e della Sicurezza Nazionale, nota con l’acronimo SAVAK, venne istituita nel 1957 per volere dello Shah iraniano, il quale voleva tenere sotto controllo l’opposizione politica interna e, in particolar modo, le formazioni di sinistra distribuite tra le varie città del paese. Il generale Teymour Bakhtiar fu il primo direttore della polizia segreta e ottenne un notevole aiuto dagli Stati Uniti d’America nella sua creazione, così come viene confermato da un documento desecretato americano: “la CIA fornì allo Shah denaro, oltre all’addestramento, a tale scopo.”[1]
Le prime operazioni della Savak erano rivolte essenzialmente al controllo di eventuali sovversivi e alla protezione del governo contro possibili attacchi dei comunisti. Il generale Hassan Pakravan, per esempio, che aveva preso il posto di Bakhtiar, venne destituito dallo Shah Pahlavi per non essere riuscito a tenere sotto controllo le prime proteste nel paese e a prevenire l’attentato che portò alla morte del primo ministro Hassan Ali-Mansur. Il sovrano decise per queste ragioni di sostituirlo con il generale Nematollah Nassiri nel 1965.
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Il nuovo direttore della Savak era già noto per essere da sempre un fedele servitore e amico del monarca iraniano. Con il generale vi fu una riorganizzazione dei servizi di sicurezza, un ampliamento del personale e degli informatori che erano presenti su tutto il territorio nazionale. L’Intelligence, inoltre, aumentò il controllo nei confronti della stampa, della magistratura, delle università. Nulla doveva sfuggire ai suoi agenti e collaboratori. Persino gli ufficiali, i ministri e i membri della famiglia reale finirono sotto l’occhio vigile dei servizi. La Savak aumentò gli arresti nei confronti dei dissidenti politici e religiosi, ed iniziò una campagna di sorveglianza all’estero verso quegli studenti che si unirono alle proteste anti-monarchiche. Vi era davvero la percezione che gli agenti segreti fossero presenti ovunque. La paura tra gli iraniani raggiunse un livello tale che bisognava stare attenti anche ai vocaboli utilizzati. Il professore Esmail Mohades, infatti, afferma che “era proibito utilizzare sostantivi e verbi che, a discrezione della SAVAK, potessero risultare allusivi e evocativi.”[2] La pena per aver utilizzato una parola errata poteva procurare un biglietto di sola andata per il terribile carcere di Evin.
Tuttavia, il regime di terrore e sospetto messo in piedi dal generale Nassiri cominciò a presentare le prime falle non appena arrivarono forti critiche da parte di giornali esteri e di organizzazioni internazionali, quali Amnesty International e la Croce Rossa. Se la prima accusò il regime dello Shah di essere uno dei più oppressivi al mondo, la seconda ebbe l’opportunità di indagare più da vicino tramite i suoi ispettori inviati a Teheran. Nel 1977, infatti, la Croce Rossa entrò nelle carceri iraniane e i suoi funzionari “contarono 3.087 prigionieri politici, rispetto al picco di 3.700 detenuti di due anni prima. Circa un terzo dei detenuti, ovvero 900, riferirono di essere stati sottoposti a qualche forma di tortura o abuso durante la detenzione.”[3]
Lo Shah, viste anche le crescenti pressioni internazionali, iniziò a porre delle restrizioni alla sua polizia segreta, la quale dimostrò una certa insoddisfazione tramite il generale Parviz Sabeti. Secondo l’ufficiale, l’aver concesso alla Croce Rossa di poter visitare le prigioni provò la debolezza del monarca agli occhi dei suoi oppositori sia all’interno sia all’esterno dei confini nazionali. Dello stesso parere, secondo il professor Cooper, erano i rivoluzionari, i quali “percepirono che il cambiamento stava arrivando in Iran.”[4]
La fine della Savak
In Iran, nel frattempo, la situazione economica e sociale peggiorò di giorno in giorno. Le crescenti proteste nelle città iraniane misero a dura prova la stessa Savak. Lo Shah, nel tentativo di moderare le operazioni della polizia segreta, decise di nominare un nuovo direttore, il generale Nasser Moghaddam. Ma ogni cambiamento fu vano. La popolazione finì per ripudiare la figura del sovrano, specialmente dopo il rogo del cinema Rex nella città di Abadan in cui morirono centinaia di persone. La Savak fu immediatamente incolpata dell’incidente. La rabbia esplose in tutte le città, e nei mesi successivi, la violenza non fece che aumentare. Lo Shah perse il controllo e “il 16 gennaio 1979 lasciò il paese.”[5]
I rivoluzionari non persero tempo, organizzando immediatamente dei processi in cui condannarono a morte varie personalità legate alla monarchia, tra le quali i precedenti dirigenti della Savak. La polizia segreta cessò di esistere all’inizio del 1979, e la sua storia oscura rimarrà legata per sempre al regime della dinastia Pahlavi. Al suo posto emerse una nuova intelligence fedele, invece, all’ayatollah Khomeini, che si pose l’obiettivo di “identificare ed eliminare i nemici all’interno e all’esterno dei confini dell’Iran.”[6]
Note
[1] CIA, “CIA’s role in forming SAVAK”, Washington, 1980, CIA’S ROLE IN FORMING SAVAK [2] E. Mohades, “Una voce in capitolo: la storia del popolo dell’Iran”, Ortona, Edizioni Menabò, 2013, p. 86
[3] A. S. Cooper, “The fall of Heaven: the Pahlavis and the final days of imperial Iran”, New York, Picador, 2014, p. 237
[4] Ivi, p. 239
[5] M. Axworthy, “A history of Iran: Empire of the mind”, New York, Basic Books, 2016, p. 258
[6] United Against Nuclear Iran, “Iran’s malign intelligence activities”, 2023, Historical Background and Structure | UANI (unitedagainstnucleariran.com)
Foto copertina: