Un’icona di progresso e modernità prima della Rivoluzione di Khomeini e, successivamente, simbolo di speranza per le nuove generazioni cresciute sotto il regime teocratico. L’ultima Shahbanou spera di poter tornare nella sua patria e vedere la sua famiglia riprendere il trono imperiale. Nonostante l’esilio e ulteriori avversità, oggi rimane una delle voci più critiche nei confronti dell’attuale Repubblica Islamica.
Da Parigi a Teheran: l’ascesa di Farah Diba
Nata in una famiglia benestante a Teheran il 14 ottobre 1938, la giovane Farah Diba frequentò il Liceo Razi, una scuola secolare presente nella capitale iraniana. In seguito, decise di studiare presso la Scuola Speciale d’Architettura di Parigi per portare avanti quella che era la sua passione. Durante il suo soggiorno nella capitale francese, Farah partecipò ad un ricevimento presso l’ambasciata iraniana dove conobbe lo Shah Mohammad Reza Pahlavi. Fu amore a prima vista, e i due futuri sovrani si sposarono il 21 dicembre 1959. La gioia più grande arrivò dieci mesi più tardi con la nascita del tanto desiderato erede. Lo storico Andrew Cooper afferma che non solo la futura regina scoppiò in lacrime di gioia, ma anche gli iraniani celebrarono con loro: “il popolo danzava nelle strade quando appresero la notizia.”[1] Il futuro sovrano dell’Iran venne chiamato Reza.
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Dall’incoronazione alla Rivoluzione: il destino di Farah Diba
Il 26 ottobre 1967 presso il magnifico palazzo reale del Golestan a Teheran, venne celebrata l’incoronazione alla presenza di illustri ospiti. L’evento destò grande stupore quando Farah fu incoronata come Shahbanou d’Iran, e scelta come reggente “in caso di morte dello Shah, nell’attesa che l’erede al trono raggiungesse la maggiore età.”[2]
Negli anni seguenti, la nuova Shahbanou promosse l’apertura di innumerevoli organizzazione sociali e culturali, scuole ed ospedali. Lavorò intensamente per assicurarsi il ritorno di vari artefatti iraniani dispersi nel resto del mondo. Anche per questo motivo fece inaugurare musei “per ospitare i bronzi, i tappeti, le ceramiche e altri oggetti antichi recuperati.”[3] Nel corso dei suoi viaggi internazionali, partecipò a numerose conferenze internazionali negli USA, in Senegal e in Cina. In Iran, invece, sostenne attivamente eventi volti a celebrare l’arte e la cultura iraniana, tra i quali il Festival delle Arti di Shiraz. L’imperatrice sostenne anche l’alfabetizzazione dei giovani iraniani, e lo fece “creando biblioteche per i bambini nelle città e nelle campagne.”[4] Partecipò, inoltre, all’inaugurazione del Museo di Arte Contemporanea di Teheran nel 1977. Tuttavia, il museo dovette chiudere appena due anni dopo con l’ascesa di Khomeini al potere. Lo Shah perse il totale controllo del Paese in breve tempo. Le accuse di violazione dei diritti umani da parte dell’opposizione marxista e religiosa non fecero altro che erodere la sua immagine fuori e dentro l’Iran. Le proteste esplosero verso la fine del 1978 e si intensificarono nel mese di dicembre. Michael Axworthy, nel suo libro “A history of Iran: Empire of the mind”, afferma che l’11 dicembre “più di un milione e mezzo di persone manifestarono nelle strade di Teheran.”[5] Il tempo della dinastia Pahlavi era giunto al termine e, per questo motivo, lo Shah abbandonò per sempre l’Iran insieme a tutta la famiglia imperiale. E mentre i Pahlavi scelsero l’esilio, l’ayatollah Khomeini, maggior oppositore dello Shah, tornò a Teheran il 1° febbraio 1979. Ebbe così inizio una nuova stagione politica. La monarchia era conclusa nel peggiore dei modi. “In Iran si voltava pagina.”[6]
L’esilio e la resilienza: la nuova vita di Farah Diba
L’esilio a cui la Shahbanou dell’Iran fu costretta non è stato facile all’inizio. La morte prematura del marito lo Shah Mohammad Reza nel 1980, la costrinse ad occuparsi della crescita dei suoi figli, già provati dopo la fuga tempestiva dalla loro patria. Specialmente questo episodio non fu mai accettato dagli altri due figli dell’imperatrice, la principessa Leila e il principe Ali Reza, morti entrambi a cause di una depressione nel 2008 e nel 2010. “Nonostante queste sue tragedie personali, Farah Diba è ancora attiva.”[7] La Shahbanou non si è persa d’animo e continua a lottare e a partecipare a numerose conferenze internazionali per difendere non solo l’eredità dei Pahlavi, ma anche per sensibilizzare il mondo sulle condizioni in cui versa il suo popolo. Oggi è sicuramente una delle voci più critiche nei confronti della Repubblica Islamica iraniana e per molti dei suoi compatrioti rimane un simbolo di speranza e ispirazione. Proprio a loro l’imperatrice rivolge un appello che è stato riportato dal giornalista Francesco De Leo nel suo libro “L’ultimo Scià d’Iran”: “Quel che dico sempre è di avere speranza e di non perderla. Questo è molto importante nonostante la dura repressione. La luce vincerà le tenebre e l’Iran rinascerà dalle sue ceneri. (…) la libertà arriverà.”[8]
Note
[1] A. S. Cooper, “The fall of Heaven: the Pahlavis and the final days of imperial Iran”, New York, Picador, 2014, pp. 95-96
[2] “The Imperial Coronation of Mohammad Reza Shah Pahlavi and Shahbanou Farah Pahlavi”, Coronation – Queen Farah Pahlavi
[3] B. Colacello, “Farah Pahlavi”, Interview Magazine, 8 gennaio 2014, Farah Pahlavi – Interview Magazine
[4] “Queen Farah Pahlavi”, Her Imperial Majesty Queen Farah Pahlavi of Iran.
[5] M. Axworthy, “A history of Iran: Empire of the mind”, New York, Basic Books, 2016, p. 258
[6] E. Mohades, “Una voce in capitolo: la storia del popolo dell’Iran”, Ortona, Edizioni Menabò, 2013, p. 151
[7] “Iranian women you should know: Farah Pahlavi”, Iranwire, 18 agosto 2015, Iranian Women you Should Know: Farah Pahlavi (iranwire.com)
[8] F. De Leo, “L’ultimo Scià d’Iran”, Milano, Guerini e Associati, 2019, p. 175
Foto copertina: ritratto ufficiale di Farah Diba