Israele e Stati Uniti temono il nucleare iraniano


Malgrado la tregua di Gaza, le fibrillazioni in Medio Oriente non sembrano destinate a cessare. Il programma nucleare iraniano, da anni al centro del dibattito internazionale, preoccupa Tel Aviv e Washington, entrambe decise a frenarne il potenziale sviluppo militare e a ridimensionare le ambizioni della Repubblica Islamica.  


 A cura di Michele Gioculano

Il cessate-il-fuoco nel confronto tra Israele e Hamas, insieme alla riconsegna degli ostaggi, hanno certamente contribuito ad una parziale diminuzione delle tensioni che percorrono il Medio Oriente. Tuttavia, le battute d’arresto subite dell’Iran, storico avversario di Tel Aviv e dei suoi partner, primi fra tutti gli Stati Uniti, non hanno ridimensionato bensì stimolato le ricerche in campo atomico, ideale volano propagandistico ma anche valido strumento di deterrenza. Sebbene Teheran abbia più volte dichiarato che continuerà, com’è suo diritto, a portare avanti il suo programma nucleare civile, il Direttore Generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, Raphael Grossi, ha recentemente denunciato un considerevole aumento delle quantità di uranio arricchito al 60%. Difatti, ad oggi, le scorte iraniane sarebbero poco inferiori a quelle necessarie per la costruzione di armi nucleari. Una prospettiva particolarmente preoccupante, tanto per lo Stato d’Israele quanto per gli Stati Uniti, in quanto andrebbe ad alterare i rapporti di forza e gli equilibri geopolitici di una regione quale il Medio Oriente, già sufficientemente scossa da tensioni e rivalità[1].

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Le ambizioni israeliane

Nel corso degli ultimi mesi, il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha più volte dichiarato di voler “chiudere i conti” con l’Iran, neutralizzandone, una volta per tutte, le capacità offensive, considerate una costante minaccia alla sicurezza di Tel Aviv. Benché sedici mesi di conflitto, tra Gaza e il Libano, abbiano dissanguato le milizie di Hamas ed Hezbollah e favorito la caduta del regime di Assad in Siria, intaccando pesantemente l’influenza iraniana nella regione, lo Stato Ebraico sembra determinato ad indebolire ulteriormente lo storico rivale attraverso un attacco diretto, simile a quello lanciato il 25 ottobre scorso. Obbiettivi dell’azione sarebbero le istallazioni nucleari della Repubblica Islamica, motori del programma atomico e ultima e più grande fonte di preoccupazione per Israele, attuale unico detentore di armi atomiche nella regione[2].
Secondo indiscrezioni apparse sulla stampa americana, dopo averne indebolito le principali forza di resistenza che con l’Iran condividono l’avversione ad Israele, Netanyahu aspirerebbe a provocare un regime change, minando il potenziale bellico avversario entro la prima metà di quest’anno. Un progetto che infiammerebbe nuovamente il Medio Oriente e che potrebbe innescare, oltre ad una ritorsione di Teheran, anche una più volte paventata accelerata del programma atomico militare. Tuttavia, secondo quanto riportato da The Guardian, la riuscita di una simile azione sarebbe subordinata alla concessione, da parte americana, di rifornimenti aerei ed informazioni di intelligence.
Un supporto che, alla luce dell’attuale postura di Washington, risulta alquanto improbabile[3].

Un nuovo accordo con gli Stati Uniti

Dal canto suo, il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump ha affermato di voler arginare l’espansionismo e l’intraprendenza iraniane, pur preferendo il raggiungimento di un’intesa, foriera una di un’eventuale fase di distensione, al ricorso ad un’opzione militare. Lo scorso 4 febbraio, in un memorandum, la Casa Bianca ha confermato la sua politica di “massima pressione”, già inaugurata nel corso del suo primo mandato di Trump e mirante a condurre la Repubblica Islamica al tavolo dei negoziati. Secondo diverse fonti, Washington, volendo capitalizzare l’attuale ridimensionamento iraniano, mirerebbe ad imporre vincoli draconiani in cambio della revoca delle sanzioni economiche e del ristabilimento di ordinarie relazioni diplomatiche tra i due Paesi. Tra le varie condizioni vi sarebbero: la riduzione dell’arricchimento dell’uranio a meno del 5%, il blocco della produzione di missili a medio e lungo raggio, la distruzione di tutti i missili da crociera attualmente detenuti e la supervisione americana sulle attività nucleari iraniane[4].
Se tali indiscrezioni fossero confermate, si tratterebbe di un pacchetto assai difficile da accettare, lesivo della dignità di un Paese come l’Iran, deciso ad imporsi a livello regionale e a garantire la sua sopravvivenza attraverso un adeguato dispositivo di deterrenza militare. La linea d’azione americana rafforzerebbe le fazioni più radicali e incrinerebbe ulteriormente la fiducia e la disponibilità di Teheran nei confronti dell’Occidente, già duramente colpita dal ritiro, nel 2018, dopo anni di mediazioni, degli Stati Uniti dal Joint Comprensive Plan of Action, l’Accordo sul nucleare iraniano. Se da un lato il Governo moderato-riformista del Presidente Pezeshkian sembra favorevole al raggiungimento di un nuovo accordo, idealmente coinvolgendo anche le Potenze europee, dall’altro i circoli più vicini all’Ayatollah Khamenei, restii a negoziare sotto pressione e da una posizione subalterna, paiono intenzionati a ignorare le iniziative della Casa Bianca[5].
Malgrado la guerra di Gaza abbia duramente intaccato la capacità d’azione dell’Iran oltre i suoi confini, soprattutto in termini di proiezione e di pressione, è improbabile che Teheran si pieghi facilmente alle dure richieste statunitensi, rinunciando ad un apparato militare che oggi rappresenta, quantomeno in potenza, un’assicurazione sulla vita del regime.
Visti i precari equilibri che caratterizzano la Repubblica Islamica, non è poi escluso che pretese eccessive potrebbero indurre il Governo a moltiplicare i suoi sforzi e ad accelerare una transizione del programma nucleare da civile a militare. Oltre ad Israele, anche la terza Potenza regionale del quadrante, l’Arabia Saudita, pare si stia adoperando per raggiungere un’intesa che scongiuri una corsa agli armamenti che risulterebbe deleteria per Riad alla luce del progressivo disimpegno statunitense. Pertanto, il raggiungimento di un nuovo accordo internazionale, che impedisca la nascita di una nuova Potenza atomica, in accordo al Trattato di non proliferazione, resta un obiettivo fondamentale per tutti gli Attori dell’area, onde garantire la stabilità e l’equilibrio delle forze in Medio Oriente[6].


Note

[1] IAEA chief says time running out to reach Iran nuclear deal, Reuters, https://www.reuters.com/business/energy/iaea-chief-sees-time-running-out-revive-iran-nuclear-deal-2025-02-14/
[2] L’Iran e l’altra guerra dietro l’angolo, Huffington Post, https://www.huffingtonpost.it/blog/2025/02/18/news/liran_e_laltra_guerra_dietro_langolo-18459567/
[3] Netanyahu seeks to draw Trump into future attack on Iranian nuclear sites, The Guardian, https://www.theguardian.com/world/2025/feb/17/benjamin-netanyahu-israel-donald-trump-us-iran-nuclear-programme
[4] Sources close to IRGC hint at a message sent by Pres. Trump to Iran, Iran Analitica, https://irananalitica.com/fonti-vicine-ai-pasdaran-sembrano-confermare-lesistenza-di-un-messaggio-trasmesso-da-trump-alliran/
[5] Nucleare Iraniano: a che punto siamo?, ISPI, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/nucleare-iraniano-a-che-punto-siamo-186527
[6] Accordo sul nucleare: Iran e Trump tra rischi e opportunità, Affari Internazionali, https://www.affarinternazionali.it/accordo-sul-nucleare-iran-e-trump-tra-rischi-e-opportunita/


Foto copertina: La centrale nucleare iraniana di Bushehr