Genocidio o crimine contro l’umanità?

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Un confronto tra i due crimini internazionali dalla loro nascita ad oggi.


Il genocidio ed i crimini contro l’umanità sono due delle quattro fattispecie di crimini internazionali per i quali la Corte penale internazionale ha giurisdizione. In questa sede si opererà un’analisi più dettagliata di entrambi i crimini operando una distinzione tra i due sia con riferimento alla loro evoluzione storica, sia con riferimento alla loro definizione attuale e agli elementi costitutivi che li caratterizzano.

Introduzione

Ad un’analisi più approfondita del crimine di genocidio e del crimine contro l’umanità, è necessario anteporre una premessa riguardante la natura di entrambi i crimini.
L’art. 5 dello Statuto di Roma istitutivo della Corte penale internazionale, elenca i crimini di natura internazionale per i quali la Corte è competente. Questi, caratterizzati per l’eccezionale gravità, si suddividono in:

  1. Crimine di genocidio;
  2. Crimini contro l’umanità;
  3. Crimini di guerra;
  4. Crimine di aggressione.

In ragione della loro eccessiva gravità, per la repressione di questi crimini vige il principio della responsabilità duale in virtù del quale dalla commissione di un crimine internazionale deriva una doppia responsabilità: una statale per la commissione di un illecito internazionale ed una individuale penale per il perpetratore del crimine.
Seppur lo scopo del presente lavoro non sia l’analisi dettagliata delle singole fattispecie criminose, si ritiene comunque utile fornire una definizione dei due crimini oggetto d’analisi. Nella loro formulazione attuale, i suddetti crimini internazionali possono essere definiti come segue:

  1. Ai sensi dell’art. 6 dello Statuto di Roma, per crimine di genocidio si intende uno dei seguenti atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso:
    1. Uccisione dei membri del gruppo;
    2. Gravi lesioni all’integrità fisica o psichica di persone appartenenti al gruppo;
    3. Sottoposizione deliberata di persone appartenenti al gruppo a condizioni di vita tali da comportare la distruzione fisica, totale o parziale del gruppo stesso;
    4. Imposizione di misure volte ad impedire le nascite all’interno del gruppo;
    5. Trasferimento forzato di bambini appartenenti al gruppo ad un gruppo diverso.
  2. Ai sensi dell’art. 7 dello Statuto di Roma, per crimine contro l’umanità si intende uno dei seguenti atti se commesso nell’ambito di un esteso o sistematico attacco contro popolazioni civili e con la consapevolezza dell’attacco:
    1. Omicidio;
    2. Sterminio;
    3. Riduzione in schiavitù;
    4. Deportazione o trasferimento forzato della popolazione;
    5. Imprigionamento o altre gravi forme di privazione della libertà personale in violazione di norme fondamentali di diritto internazionale;
    6. Tortura;
    7. Stupro, schiavitù sessuale, prostituzione forzata, gravidanza forzata, sterilizzazione forzata e altre forme di violenza sessuale di analoga gravità;
    8. Persecuzione contro un gruppo o una collettività dotati di propria identità, inspirata da ragioni di ordine politico, razziale, nazionale, etnico, culturale, religioso o di genere sessuale o da altre ragioni universalmente riconosciute come non permesse dal diritto internazionale;
    9. Sparizione forzata delle persone;
    10. Apartheid;
    11. Altri atti inumani di analogo carattere diretti a provocare intenzionalmente grandi sofferenze o gravi danni all’integrità fisica o alla salute fisica o mentale.

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Il crimine di genocidio: dalle prime formulazioni di Lemkin alla Convenzione del 1948

Il diritto internazionale deve a Raphael Lemkin il merito di avere reso conoscibile il fenomeno della distruzione dei gruppi nazionali ed etnici individuandolo come figura unitaria di crimine e conferendo ad esso un nome specifico[1]. La prima comparsa del termine genocidio, infatti, risale al 1944 nel saggio Axis Rule in Occupied Europe e si riferisce alle politiche nazionalsocialiste messe in atto dal regime tedesco nei confronti del gruppo religioso degli ebrei e del gruppo etnico degli zingari presenti nel territorio della Germania e nei territori da essa occupati.
Solamente due anni dopo, nel 1946, l’Autore pubblica il primo saggio sul tema, intitolato “Genocide”, grazie al quale il giurista polacco di fatto “battezza” il crimine con il nome “genocidio”. Nel gennaio del 1947 lo stesso Lemkin pubblica un secondo saggio sul tema, intitolato “Genocide as a crime under International Law” dove ribadisce le ragioni per le quali il crimine di genocidio debba ritenersi un crimine internazionale, condizione che legittima l’applicazione del principio della giurisdizione universale[2].
Grazie ai primi lavori del giurista polacco sul tema, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con risoluzione n. 96 (I) dell’11 dicembre 1946, fornisce una prima definizione del crimine e riconosce al genocidio la natura di crimine internazionale. Secondo la definizione contenuta nella suddetta risoluzione, il genocidio è definito come una negazione del diritto all’esistenza dei gruppi umani, così come l’omicidio costituisce la negazione del diritto alla vita dei singoli esseri umani[3].
La risoluzione ha avuto, inoltre, il merito di avviare i lavori preparatori della Convenzione, tutt’ora in vigore, adottata a settembre del 1948. Il 9 dicembre 1948, infatti, il progetto di Convenzione composto da 19 articoli è stato approvato nel corso della 178° e 179° seduta plenaria dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a Parigi e adottato tramite Risoluzione 260 (III) del 1948[4].

L’attuale definizione del crimine di genocidio

Oltre all’art. 6 dello Statuto di Roma citato nell’introduzione, attualmente la definizione del crimine è contenuta all’art. II della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948.
La disposizione definisce il genocidio come una delle condotte sopra elencate commesse con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso in quanto tale. Da ciò apprendiamo come il crimine sia composto da due elementi coesistenti: l’elemento oggettivo o actus reus e l’elemento soggettivo o dolus specialis. In altre parole, affinché possa configurarsi il crimine di genocidio è necessario che una delle condotte costituenti actus reus (uccisione di membri del gruppo; lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; sottoposizione deliberata del gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro), venga commessa con l’intento specifico (dolus specialis) di distruggere un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso in quanto tale.
Da una definizione così composta a livello giudiziale ne consegue che la Corte che si accinge a rilevare la presenza di condotte genocidarie, debba accertare non solo l’avvenuta realizzazione della condotta ma anche che il perpetratore del crimine l’abbia realizzata perseguendo l’intento specifico di distruggere un determinato gruppo vittima.
Come verrà ribadito più avanti, una prima importante differenza rispetto al crimine contro l’umanità, è che tra gli elementi costitutivi del genocidio non si annovera la sistematicità dell’attacco contro il gruppo vittima.

I crimini contro l’umanità: il contributo di Lauterpacht

Così come a Lemkin, anche a Lauterpacht si deve il merito di avere indirizzato l’evoluzione del diritto internazionale durante il corso del XX secolo. I concetti di genocidio e di crimini contro l’umanità, intesi così come li avevano concepiti rispettivamente Lemkin e Lauterpacht, infatti, hanno portato ad una progressiva messa in discussione dell’immunità individuale dei responsabili di gravi violazioni dei diritti umani.
In particolare, a Lauterpacht nel 1945, in occasione dei processi ai leaders tedeschi a Norimberga, si deve il merito di aver suggerito l’utilizzo del termine “crimine contro l’umanità”. Secondo il giurista, infatti, il termine risultava particolarmente adatto per trasmettere concettualmente non soltanto la gravità estrema delle condotte criminose, ma anche la necessità di imputare una responsabilità individuale per i perpetratori di crimini di questa portata, ponendosi, insieme a Lemkin, tra i pochi in dottrina a sostenere che le norme di diritto internazionale bellico si indirizzassero anche ai singoli individui oltre che agli Stati.

Crimine contro l’umanità: definizione attuale

Contrariamente al genocidio che è stato codificato in un trattato internazionale, la definizione dei crimini contro l’umanità si è evoluta grazie al diritto internazionale consuetudinario. In particolare, a seguito della Seconda Guerra Mondiale, il concetto di crimine contro l’umanità ha via via preso forma grazie alla giurisprudenza dell’ICTY, dell’ICTR e della Corte penale internazionale.
In questa sede si riprenderà la discussione sulla definizione contenuta nell’art. 7 dello Statuto di Roma istitutivo della Corte penale internazionale e già citata nella parte introduttiva. Dalla definizione si evince che un crimine contro l’umanità è commesso quando:

  • L’accusato ha compiuto uno degli atti proibiti ex 7;
  • L’atto proibito è parte di un attacco;
  • L’attacco è diffuso o sistematico;
  • L’attacco è diretto contro una popolazione civile;
  • È ravvisabile un nesso tra l’atto proibito e l’attacco diffuso e sistematico.

Contrariamente alle altre definizioni di crimine contro l’umanità contenute negli statuti dell’ICTY e dell’ICTR, la definizione appena discussa non richiede l’elemento della discriminazione nella perpetrazione dell’attacco. Pertanto, a differenziare i crimini contro l’umanità da “ordinari” crimini domestici è in effetti l’elemento contestuale che richiede che la commissione dell’atto proibito sia parte di un attacco sistematico o diffuso diretto contro una popolazione civile. Per determinare se e quando l’attacco è diretto contro una popolazione civile si possono valutare alcuni parametri dei quali si riporta un elenco esemplificativo: i mezzi e metodi di guerra utilizzati durante l’attacco, il numero di vittime, lo status delle vittime, la natura dei crimini commessi durante il corso dell’attacco.
In conclusione, per quanto i due crimini abbiano avuto delle evoluzioni storiche differenti e si siano delineati con caratteristiche diverse, entrambi necessitano di un elevato standard probatorio in sede giudiziale che provi effettivamente la presenza dell’intento di distruggere un gruppo vittima in quanto tale nel caso del genocidio, e la presenza di un attacco sistematico o diffuso contro una popolazione civile nel caso del crimine contro l’umanità.


Note

[1] D.C. Leotta, Il Genocidio nel diritto penale internazionale. Dagli scritti di Raphael Lemkin allo Statuto di Roma, Torino, 2013, p. 47.
[2] Stillone A., L’accertamento giudiziale del genocidio, Cap. I, pp. 7-21. Disponibile al seguente link:https://thesis.unipd.it/handle/20.500.12608/10156
[3] Cfr. UNGA The crime of Genocide, 11 December 1946, UN Doc. A/RES/96(I).
[4] Resolution n. 260 (III) 1948. L’atto si divide in tre parti votate separatamente: Adoption of the Convention on the Prevention and Punishment of the crime of genocide, and text of the Convention [UN Doc. A/RES/260(III)A]; Study by the International Law Commission of the question of an international criminal jurisdiction [UN Doc. A/RES/260(III)B]; Application with respect to dependent territories of the Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide [UN Doc. A/RES/260(III)C].


Foto copertina: David Olère, Il cibo dei morti per i vivi – Autoritratto (s.d.; tela, 102 x 76 cm; Oświęcim, Museo statale di Auschwitz-Birkenau)