Il viaggio non finisce…


50 anni fa ci lasciava John Ronald Reuel Tolkien, soldato, professore, scrittore e creatore di mondi, le cui opere sono oramai leggenda. Dialoghi con Salvatore Santangelo


“Tutto ciò che dobbiamo decidere è cosa fare col tempo che ci viene dato.”
J.R.R. Tolkien, Il Signore degli anelli

Creatore di mondi

Una frase celebre, quella di cui sopra, tratta dalla trilogia di libri de Il Signore degli Anelli, un’opera che a oggi non ha certo bisogno di grandi presentazioni. Frutto dell’immaginifica penna del professor John Ronald Reuel Tolkien, fu scritta tra il 1937 e il 1949 e pubblicata poi nella prima metà degli anni Cinquanta. Certamente, Tolkien ha saputo spendere il tempo che gli è stato concesso in una vita piena e non priva di avventure: appassionato sin dalla giovane età alla letteratura classica, diplomato a Oxford e poi soldato nelle fangose e tetre trincee della Prima guerra mondiale. Dopo il congedo divenne professore proprio a Oxford e insegnò anche in altri atenei, sempre legato al mondo della letteratura inglese e dei classici. Un mix di eventi che in un modo o nell’altro segnarono Tolkien, sino a spingerlo a divenire, nel “tempo libero” il creatore di mondi che oggi conosciamo. Nella Terra di Mezzo da lui immaginata, si svolgono gran parte delle avventure che ci ha lasciato, tutte legate da un filo conduttore e rese coerenti da una rigorosa narrazione quasi storiografica, per dovizia di particolari e cronologie degli eventi, che incarnano tutta l’anima accademica del professor Tolkien. Per molti quest’ultimo è considerabile a tutti gli effetti il padre del genere narrativo fantasy e nonostante siano passati 50 anni dalla sua dipartita, le sue opere sono più vive e fiorenti che mai, grazie anche all’aiuto che le diverse sfumature della cultura pop hanno saputo dare ai suoi mondi, ampliandone l’”audience” e rendendole ancor più fruibili per diversi tipi di pubblico. Proprio sulle sue opere e sulla figura di Tolkien molti sono gli studi che sono stati fatti, sia in ambito accademico che non, numerose le interpretazioni dei messaggi e delle allegorie presenti nei suoi scritti e non sono mancate anche strumentalizzazioni per i motivi più disparati. A tal proposito abbiamo voluto, nella ricorrenza dei 50 anni dalla dipartita di Tolkien, parlare di lui con un esperto, Salvatore Santangelo, giornalista professionista e docente universitario. Analista di politica internazionale e studioso delle nuove dimensioni dei conflitti, ha approfondito lo studio della sfera mitica dell’attualità, occupandosi di “geosofia”: l’esplorazione “dei mondi che si trovano nella mente degli uomini” (John K. Wright – Berkeley 1947). Tra le sue pubblicazioni: Gerussia (2016), Babel (2018), Geopandemia (2020) e Fronte dell’Est (2022). È inoltre tra gli autori del Dizionario del Mondo Fantastico (Rusconi) e del Dizionario del Mondo di Tolkien (Bompiani). È stato tra i curatori delle mostre Draghi (Milano, 2000), Anime di Materia (Roma, 2013) e oggi del progetto multimediale Il Potere degli Anelli, dedicato proprio a Tolkien; progetto che diventerà presto un volume per Castelvecchi.

L’intervista

Chi era Tolkien, prima dei libri e prima della celebrità?
Tolkien è rimasto sempre fedele a se stesso e quindi al proprio senso di estraneità: un sudafricano in Gran Bretagna, un cattolico tra protestanti, un antimoderno nel Paese della Rivoluzione industriale.

Tolkien stesso rifiutò le teorie secondo cui il Signore degli Anelli mostra più di qualche metafora in comune con gli accadimenti della Prima guerra mondiale, crede sia un bisogno dei lettori, dell’epoca e contemporanei, di ricondurre fatti fantastici e narrati con tanta dovizia di particolari ad accadimenti storici o lo stesso Tolkien, anche involontariamente, non ha potuto ignorare gli orrori e le dinamiche vissute anche nella creazione di un “mondo nuovo”?
Forse, appunto Tolkien non era pienamente coscientemente e consapevole di questa influenza, ma come in altri autori weird (penso a Lovecraft o a Herbert) gli eventi storici e personali che hanno segnato le loro vite si siano chiaramente riflessi nelle loro opere.
In particolare, il tema della guerra, che oggi torna di grandissima attualità, è stato trattato secondo le diverse sensibilità di autori come Jünger e Remarque ed è certamente un filtro per leggere la matrice creativa di Tolkien.

Dal “sogno di Osman” alle leggende norrene passando dal cristianesimo, ci parlerebbe di alcune delle metafore e riferimenti più significativi nelle opere di Tolkien?
Il questo scrigno troviamo tutti gli archetipi e i miti che seguendo la grande lezione di Campbell accompagnano Il Viaggio dell’Eroe: in primis la Quest, poi l’esigenza di risolvere il mistero legato alla sorgente del coraggio e dello spirito di sacrificio, infine il senso della Missione e della Fratellanza.

Le opere di Tolkien nel corso degli anni sono state strumentalizzate e asservite agli scopi di correnti e movimenti politici, questo è stato particolarmente vero in Italia, lei cosa ne pensa? La volontà dell’autore è stata trascesa in sua definitiva assenza?
Ogni opera d’arte è un atto politico. Come anche il modo in cui – a prescindere dalla volontà dell’autore – viene recepita. L’arte, in questo senso, è importante sia per chi la produce che per chi si confronta.

Lo Hobbit, Il Signore degli anelli, l’imponente Silmarillion ecc. ecc. sono opere che nonostante la loro “età” sono più vive che mai, grazie alle trasposizioni cinematografiche di Peter Jackson, ai videogames, ai giochi di ruolo, ai cartoon e ai fumetti, in parole povere, grazie alla cultura pop. Crede che le opere di Tolkien siano state il primo passo di una “contaminazione” di temi maturi e politici all’interno della cultura pop che a oggi è estremamente fiorente e che contestualmente ne permette la sopravvivenza o per meglio dire la “lunga vita”?

Secondo la lezione di Hillman e Ortega Y Gasset l’uomo, grazie alla lettura, si è ritrovato solo e nella solitudine ha scoperto la propria individualità e, con essa, la propria unicità: ha imparato a dialogare con se stesso, con il proprio io, dissociandosi dal gruppo.
Con i nuovi media, al contrario, ridiventa membro di un gruppo e di una collettività. È il processo di retribalizzazione.
Il cinema – per quanto il senso che appare preminentemente coinvolto sia, a una prima analisi, la vista – ha in realtà sul suo pubblico il medesimo effetto del poeta-rapsoda delle società orali, con una stessa analoga e incredibile capacità di evocazione. Così, mentre la prima scoperta dell’opera di J.R.R. Tolkien è stata una rivelazione principalmente individuale, dove la meraviglia sta nel ripetersi migliaia, anzi milioni di volte della stessa individuale scoperta, l’effetto della trasposizione cinematografica diviene un’esperienza collettiva – ma allo stesso tempo assolutamente coinvolgente da un punto di vista personale – grazie alla totalità di sensazioni trasmesse dall’esperienza stessa; basti riflettere sull’importanza della musica nel sottolineare il ritmo dell’azione e stimolare la visualizzazione.
Al riguardo, si pensi all’enorme sforzo di visualizzazione fatto da Tolkien nel dare forma alle sue storie.

Il mondo “reale” in cui ha vissuto Tolkien è a oggi molto cambiato, insieme alle sue dinamiche umane e politiche, cosa crede possa ancora lasciarci quella lontana terra fantastica, con la sua marcata dicotomia tra il bene e il male e così diversa dai crudi e disillusi “nuovi mondi” del genere fantasy.
In questo senso Tolkien appartiene a un tempo più semplice e lineare. Anzi l’autore introduce tanti elementi nella sua opera senza riuscire a risolverli fino in fondo, in primis il tema del Potere. Altri hanno portato il rapporto con questi mondi a un livello più complesso, penso ai già citati Lovecraft e Herbert oppure a Dick o a Moorcock con il suo Ciclo del Campione Eterno.
Ma tutto ciò sarebbe impensabile senza il grande esperimento (in gran parte riuscito) di Tolkien e alla sua più grande lezione: l’amore per il Creato.


Foto copertina: John Ronald Reuel Tolkien