Lo sport paralimpico oltre le barriere e i pregiudizi


“The only sensible way to live in this world is without rules”: la storia di Raffaele Marmorale, atleta italiano di Para Powerlifting


A cura di Stefano Scarinzi e Barbara Minicozzi

Sebbene siano passati quasi cento anni dall’organizzazione delle prime competizioni internazionali per persone con disabilità – nel 1924, a Parigi, per volere del Comité International des Sports des Sourds[1] si tennero i Giochi silenziosi per gli atleti sordi –, ancora oggi, come riferito da Raffaele Marmorale[2], “il nostro sport è considerato un semplice divertimento, un passatempo, non un’attività professionistica a tutti gli effetti per cui ci alleniamo spesso due volte al giorno”.
Una visione rafforzata dai recenti Giochi olimpici e paralimpici di Tokyo[3], le cui narrazioni hanno trovato uno spazio dissimile sui mezzi di comunicazione, malgrado, citando nuovamente Marmorale, “tale differenza stia iniziando ad assottigliarsi rispetto al passato”. In Italia, al termine della Paralimpiade, c’è stata una forte polemica riguardante la disparità dei compensi ricevuti dai medagliati normodotati e da quelli disabili, con i primi che hanno guadagnato più del doppio in confronto ai colleghi[4].
Di fatto, nonostante le 69 medaglie (14 d’oro, 29 d’argento e 26 di bronzo) conquistate in Giappone e il nono posto nella classifica generale[5], il mondo paralimpico italiano continua a restare sottotraccia, pur essendosi tenuti proprio a Roma (nel 1960) i primi Giochi paralimpici della storia.
Fu per volontà del medico italiano Antonio Maglio, consulente dell’INAIL[6], che i Giochi di Stoke Mandeville, ideati nel 1948 per le persone disabili dal neurologo tedesco naturalizzato britannico Ludwig Guttman[7], si svolsero a Roma subito dopo l’Olimpiade. In quella che a posteriori (nel 1984) fu riconosciuta dal Comitato Olimpico Internazionale (CIO) come la prima edizione dei Giochi paralimpici estivi, vennero accolti circa 400 atleti paraplegici, provenienti da 23 nazioni, che si confrontarono in 8 sport diversi per un totale di 57 gare.
Il 1976 è stato un anno cruciale per il movimento paralimpico, in quanto si stabilì che potessero prendere parte ai Giochi anche gli atleti con disabilità diverse dalla paraplegia. Inoltre, dal 21 al 28 febbraio a Örnsköldsvik, in Svezia, si tennero le prime Paralimpiadi invernali. Infine, nel 1988 il CIO decise ufficialmente di far disputare le Paralimpiadi nelle medesime città delle Olimpiadi.
Dal 1960 al 2021 si è notevolmente incrementato il numero di Paesi (dai 23 di Roma 1960 ai 135 di Tokyo 2020[8]) e atleti partecipanti (dai 400 di Roma agli oltre 4.000 di Tokyo), coinvolti in 22 sport e in 540 eventi, per i quali viene utilizzato un complesso sistema di categorizzazione delle disabilità che assicuri un’equa competizione[9].
In rappresentanza dell’Italia, a Tokyo, c’erano 113 atleti, capitanati dai portabandiera Beatrice “Bebe” Vio (schermitrice) e Federico Morlacchi (nuotatore) e impegnati in 16 discipline, tra cui la pesistica[10], riconosciuta dal Comitato Italiano Paralimpico[11] nel 2011 ed esordiente alla Paralimpiade di Rio 2016[12].
L’unico atleta della FIPE[13] in gara a Tokyo è stato il ventiduenne Donato Telesca – due volte campione del mondo juniores e detentore del record europeo nella categoria fino a 80 kg –, che ha chiuso con un’onorevole sesta posizione.

Sport dell’inclusione: un diritto fondamentale

Sport come mezzo di inclusione sociale, nonché vetrina di grande impatto per il mondo della disabilità e per le coscienze di tutti. È l’essenza dello sport, in purezza. E se parliamo di resilienza, inclusione, pieno godimento dei diritti civili, realizzazione della persona, parliamo di sport paralimpico, ma parliamo anche di una vera e propria professione[14]. Al di là della questione morale, ciò che risulta essere vitale è il link necessario tra mondo paralimpico e tutela giuridica. “Il diritto allo sport è spesso negato a causa delle barriere architettoniche, delle difficoltà legate al trasporto e alla mobilità, delle limitazioni a volte poste dalle stesse società sportive (solo il 3% dei disabili in Italia vi accedono). Gli avvocati hanno fornito strumenti e indicazioni specifiche su normative giuridiche che facilitano questo accesso e tutelano i diritti delle persone con disabilità, supportando anche le amministrazioni locali e le società alla loro applicazione”[15].
Nel testo originario la carta costituzionale italiana non prevedeva una tutela dello Sport in quanto diritto. Inizialmente visto come forma di spettacolo, lo sport si è col tempo iniziato a dotare di una corazza giuridicamente valida, soprattutto in seguito alla Riforma del Titolo V.  In seno a ciò, si è iniziato a comprendere il bisogno naturale di tutelare atleti con disabilità, garantendo loro un diritto fondamentale e imprescindibile che si connette inevitabilmente al suo aspetto psico-sociale.
Il comma 5 dell’articolo 30 della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità precisa che gli Stati parte hanno dei compiti precisi per permettere alle persone con disabilità di partecipare alle attività sportive e ricreative:

  • incoraggiare e promuovere la partecipazione più estesa possibile delle persone con disabilità alle attività sportive ordinarie a tutti i livelli;
  • garantire che le persone con disabilità abbiano la possibilità di organizzare, sviluppare e partecipare ad attività sportive;
  • garantire che le persone con disabilità abbiano accesso a luoghi che ospitano attività sportive, ricreative e turistiche;
  • garantire che i minori con disabilità possano partecipare, su base di uguaglianza con gli altri minori, alle attività[16].

Lo sport per essere giuridicamente inclusivo, tuttavia, deve essere avvicinabile da chiunque.
Il movimento mondiale delle persone con disabilità ha fornito la seguente definizione di inclusione: «[…] L’inclusione è un diritto basato sulla piena partecipazione delle persone con disabilità in tutti gli ambiti della vita, su base di eguaglianza in rapporto agli altri, senza discriminazioni, rispettando la dignità e valorizzando la diversità umana, attraverso interventi appropriati, superamento di ostacoli e pregiudizi, sostegni basati sul mainstreaming, in maniera da vivere nelle comunità locali […]».

Le barriere sono molte: barriere architettoniche che diventano muri invalicabili.
In Italia il riferimento normativo per l’eliminazione delle barriere architettoniche è la Legge 13/1989, insieme al suo regolamento di attuazione, il Decreto Ministeriale D.M. 14 giugno 1989, n.236. La legge identifica le “disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati” e comprende anche gli edifici residenziali pubblici, di nuova costruzione o da ristrutturare. Accessibilità, visitabilità e adattabilità sono i tre criteri alla base della legge; tuttavia, nella quotidianità queste barriere restano delle frontiere, un ostacolo permanente.
Spiega Marmorale: “Ci sono due eccessi: in alcune strutture c’è anche troppo, in altre non c’è ancora niente per risolvere il problema delle barriere architettoniche”.

Intervista a Raffaele Marmorale

Nella tua frase motivazionale sostieni che l’unico modo sensato per vivere è non avere regole. Immagino, però, che ciò non valga nel tuo sport. Puoi spiegarci il tuo approccio alla disciplina e come ti relazioni con i tuoi allenatori e con il DT[17] Alessandro Boraschi?
“Riguardo al mio motto, sono dell’idea che un pizzico di follia serva nella vita come nello sport, soprattutto quando si tratta di andare oltre i propri limiti.
Andando sull’aspetto sportivo, la direzione tecnica è di altissimo livello, siamo fortunati a essere allenati da professionisti del genere. Le altre nazioni chiedono spesso consulti alla nostra Federazione e ciò testimonia la bontà del lavoro svolto.
Le regole del powerlifting[18] sono molto rigide, le prove eseguite devono essere perfette per non risultare nulle. Questa estrema inflessibilità da parte dei giudici può lasciare stupefatti, ma è necessaria affinché non si verifichino incidenti che possano mettere a repentaglio l’incolumità degli atleti.
La prima prova ci serve per avere un risultato valido e infatti cerchiamo di non forzare eccessivamente, a differenza della seconda e della terza, in cui, basandoci pure sui risultati degli avversari, cerchiamo di realizzare il massimale che possa consentirci di ottenere una posizione importante”.

Analizzando i risultati della tua carriera, si evince che hai sempre gareggiato nella categoria fino ai 54 kg, a eccezione del Mondiale tenutosi a Manchester nel febbraio 2020, quando sei stato impegnato in quella fino ai 59 kg. Di recente sei diventato vice-campione italiano nuovamente nella categoria 54 kg. Quanto è stato difficile questo continuo cambiamento in un lasso di tempo relativamente breve?
“La mia categoria di riferimento è sempre stata quella fino ai 54 chili. Tuttavia, dato che il mio peso a volte va oltre quella misura, al Mondiale di Manchester abbiamo tentato il salto di categoria gareggiando in quella dei 59 kg. Anche questo aspetto va ponderato con attenzione, dovendo dichiarare un mese prima dell’evento la categoria di cui si vuole far parte”.

Sui tuoi profili social è possibile vedere gli allenamenti che hai svolto durante il lockdown del 2020. Quanto ha influito quel periodo sulla tua preparazione e come l’hai vissuto mentalmente e fisicamente?
“Durante il lockdown la Federazione ci ha messo a disposizione tutti gli strumenti e gli attrezzi necessari per continuare a prepararci al meglio. Allenandoci due volte al giorno eravamo costantemente in contatto da remoto. Ogni sabato io e i miei compagni partecipavamo a gare online che coinvolgevano l’intero circuito internazionale. Fortunatamente c’è stata una discreta partecipazione e questo ha permesso di non mollare la presa in un periodo così difficile”.

A proposito di ‘non mollare la presa’, alla luce dell’eclatante caso della ginnasta statunitense Simone Biles, che ha deciso di rinunciare a buona parte delle gare dell’Olimpiade per preservare la propria salute mentale, pensi che si faccia ancora troppo poco per ovviare a questo problema sempre più frequente?
“Purtroppo non tutte le Federazioni danno l’adeguato risalto all’aspetto psicologico degli atleti. La FIPE mette a disposizione un mental coach, che è una figura fondamentale per ogni atleta, in particolare per eventi planetari come Olimpiadi e Paralimpiadi. Senza la giusta concentrazione, anche in uno sport basato sulla forza come il powerlifting, non si riuscirebbe a realizzare una performance adeguata alle aspettative, poiché in pochissimi secondi si possono valorizzare o vanificare sforzi di mesi e anni”.

A Tokyo la pesistica paralimpica italiana era rappresentata da Donato Telesca, che ha chiuso al sesto posto nella categoria fino a 80 kg. Quanto è lontano il nostro movimento, riconosciuto solo nel 2011 dal Comitato Italiano Paralimpico, dalle eccellenze mondiali rappresentate da Cina, Egitto e Nigeria?
“Il nostro movimento sta vivendo un periodo positivo, la Cina ha sicuramente più risorse dell’Italia, basti pensare al numero di atleti partecipanti ai Giochi paralimpici. La Federazione fa tanta pubblicità in tutte le regioni, organizzando incontri e facendo un approfondito lavoro di scouting. Quando in un atleta si intravedono delle potenzialità, si cerca di convincerlo a iniziare questo percorso che prevede tanti sacrifici. Il caso di Donato Telesca è particolare, visto che, seppur scoperto quasi per caso dai nostri tecnici, partiva già da un livello molto alto. Ora è impegnato nel Mondiale di Tbilisi, una manifestazione fondamentale perché il punteggio ottenuto rientrerà nel ranking che porterà fino alla Paralimpiade di Parigi 2024”.

La pesistica olimpica italiana ha conquistato tre medaglie a Tokyo. Pensi che a Parigi 2024 sia un obiettivo raggiungibile anche dal movimento paralimpico?
“Al momento è abbastanza difficile ipotizzare un rendimento simile a quello dei colleghi normodotati. In ogni caso, gli allenamenti che facciamo in questo periodo sono già finalizzati alla Paralimpiade del 2024”.

Quali sono i tuoi obiettivi sportivi futuri?
“Il nostro presupposto è migliorare almeno di un chilo la prestazione precedente. Allargando il discorso, gli obiettivi sono tre: mantenermi in forma per competere in gare importanti, difendere il titolo di vice-campione italiano e guadagnarmi una nuova convocazione in Nazionale”.

Conclusioni

Non va dimenticato che in ambito giornalistico esiste tutt’oggi una narrazione tendente a stereotipare la figura dell’atleta disabile (e dei disabili in generale). Quelle parole insite di pietismo e buonismo diventano una zavorra. Il Testo Unico dei Doveri del Giornalista riporta all’articolo 6: “il giornalista rispetta i diritti e la dignità delle persone malate o con disabilità, siano esse portatrici di menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali”. La terminologia è importante, ma sono ancora più importanti i valori alla base, valori il cui perno dovrebbe essere una forte empatia.


Note

[1] Comitato Internazionale degli Sport dei Sordi (http://www.ciss.org/)
[2] Beneventano, classe 1990, vice-campione italiano di Para Powerlifting, Marmorale è uno sportivo caparbio che, grazie a un’eccelsa preparazione tecnica e tanti sacrifici, ha raggiunto ottimi risultati
[3] Il 24 marzo 2020, a causa del dilagare della pandemia di coronavirus, il Comitato Olimpico Internazionale ufficializzava lo slittamento di entrambe le manifestazioni dal 2020 al 2021 (https://olympics.com/en/news/tokyo-olympic-games-postponed-ioc)
[4]https://www.repubblica.it/sport/vari/2021/09/05/news/paralimpiadi_premi_atleti_disparita_-316620088/
[5] https://olympics.com/it/notizie/medagliere-cifre-record-italia-paralimpiadi-tokyo2020
[6] Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (https://www.inail.it/cs/internet/home.html)
[7] Di origine ebraica, in seguito alla promulgazione delle Leggi di Norimberga nel 1935, fu costretto ad abbandonare la Germania e a fuggire nel Regno Unito, dove nel 1944, presso l’ospedale di Stoke Mandeville, iniziò a guidare il Centro Nazionale di ricerca sulle lesioni del midollo spinale. Da sempre fautore dell’importanza dello sport come efficace metodo terapeutico mentale e fisico, organizzò i Giochi di Stoke Mandeville – giunti ad accogliere più di centrotrenta partecipanti stranieri – per persone paraplegiche. Per aver contribuito all’espansione degli ideali olimpici, nel 1956 ricevette la Coppa Fearnley. Nel 1960 fondò l’Associazione Britannica Sport Disabili e fu insignito sia del grado di ufficiale sia del titolo di commendatore dell’Ordine dell’Impero Britannico
[8] Anche se i Giochi sono stati spostati al 2021, è stato mantenuto il nome Tokyo 2020 per ragioni di marketing e di branding (https://www.newsweek.com/reason-why-olympics-2021-will-still-called-olympic-2020-games-1494333)
[9] https://www.ilpost.it/2021/08/19/come-funzionano-paralimpiadi-tokyo-2020-2021/
[10] https://www.paralympic.org/powerlifting
[11] http://www.comitatoparalimpico.it/
[12] https://www.sportopolis.it/pesistica-paralimpica-una-panca-per-vincere/
[13] Federazione Italiana Pesistica (https://www.federpesistica.it/)
[14] https://cnoas.org/news/paralimpiadi-il-valore-sociale-dello-sport/
[15] https://www.trevisotoday.it/sport/disabilita-sport-e-tutele-giuridiche-un-successo-il-convengo-del-comitato-paralimpico.html
[16] Pierangelo Cenci, Anna Vecchiarini, Claudia Di Giorgio, Lo sport per le persone con disabilità come diritto umano fondamentale
[17] Direttore Tecnico della Nazionale Italiana Para Powerlifting
[18]http://www.comitatoparalimpico.it/news/6734-tutorial-sport-paralimpici-para-powerlifting.html


Foto copertina: Roma, 23 giugno 2021 Cerimonia della consegna della bandiera nella foto: Credit Augusto Bizzi