Mentre a livello regionale si discute sulle possibili vie diplomatiche da adottare per risolvere la crisi nell’Est Congo, il gruppo armato M23 è entrato a Bukavu, capoluogo del Sud Kivu.
Il 27 gennaio 2025 il gruppo armato M23 occupa Goma, capoluogo del Nord Kivu con il supporto dell’esercito regolare ruandese. Il movimento aveva già preso il controllo della città nel novembre 2012, per poi ritirarsi l’anno successivo. Dopo il ritiro, si era sviluppato un conflitto a bassa intensità, ma nel 2021 il movimento ha ripreso vigorosamente i combattimenti e la conquista del Kivu. Un esodo continuo di residenti si riversa nei territori più a sud per sfuggire alle violenze del movimento e ai combattimenti di questi con le FARCD (Forces Armées de la République Démocratique du Congo) e i loro alleati.
Rispetto al 2012, l’M23 risulta essere più corposo, meglio armato, organizzato e motivato nel mantenere il controllo della città e proseguire l’offensiva. Se la prima conquista si era conclusa un anno dopo con la firma congiunta tra Kinshasa e M23 dei Dialoghi di Kampala[1] (firmati a Nairobi nel dicembre 2013) che avevano portato al ritiro del gruppo armato dalla città, questa volta non è garantita la riuscita di un cessate-il-fuoco e di un accordo di pace in tempi relativamente brevi. Kinshasa non ha nessuna intenzione – per il momento – di sedersi ai tavoli negoziali e confrontarsi con le rivendicazioni del gruppo armato. Il supporto della comunità internazionale alla RDC è molto meno incisivo rispetto alla forte presa di posizione del 2012-2013, quando grandi investitori statali sospesero i pagamenti al Ruanda, accusato già all’epoca di collaborare con i ribelli.
Un passo avanti e due indietro: lo stallo dei processi di Nairobi e Luanda
Alla ripresa delle ostilità, nell’aprile 2022 è stato istituito il processo di Nairobi, iniziativa sotto il cappello della EAC (East African Community) con l’obiettivo di facilitare la risoluzione del conflitto attraverso il dialogo tra le istituzioni di Kinshasa, i gruppi armati e la società civile. Al percorso politico si è accompagnato per un anno il sostegno militare in alle FARCD. Sotto invito di Tshisekedi, una forza militare regionale si era infatti stanziata nel 2022, ma nel dicembre 2023 era stata costretta al ritiro dopo il mancato rinnovo del mandato da parte delle autorità congolesi, che hanno accusato i contingenti militari di collusione con i gruppi armati. La missione è stata sostituita da forze della SADC (Southern Africa Development Community), comunità di cui fa parte la RDC (ma non il Ruanda) e politicamente più allineata agli interessi congolesi. Se infatti l’EAC spinge per il dialogo con l’M23 e non ha mai richiesto apertamente il ritiro delle truppe ruandesi dai territori congolesi, la linea politica di SADC denuncia apertamente la presenza delle FAR (Forcées Armées Rwandases) e ne richiede il ritiro e il rispetto dell’integrità territoriale della RDC
Si muove in parallelo il processo di Luanda, istituito anche questo nel 2022 nel quadro del “Luanda Roadmap”, mira a favorire il dialogo istituzionale tra Ruanda e RDC. L’intensificazione dei combattimenti, a partire dall’ottobre 2023, aveva portato ad una situazione di stallo, smossa a luglio 2024 con l’accordo tra i due paesi per un cessate il fuoco e con l’accodo di Rubavu che però non ha portato a risultati rilevanti.
Lo status quo avvantaggerebbe non solo l’M23 ma anche Kigali
Dal 2022 il gruppo di esperti per la RDC riapre la questione del supporto militare e strategico delle FAR all’M23. La partecipazione attiva dell’esercito ruandese alle operazioni e il rifornimento di armi, in aperta violazione dell’embargo, è stata nuovamente dimostrata.[2] Kigali continua a smentire le accuse e giustifica “l’eventuale temporanea” presenza di alcune sue unità alla protezione dei propri confini, denunciando in parallelo la collaborazione tra alcuni rami delle FARCD e le FDLR (Forces Démocratiques de la Libération du Rwanda), gruppo armato composto prevalentemente da hutu e vecchi responsabili genocidari, determinati a far cadere la presidenza di Kagame.
Dietro alla “sporadica” presenza di truppe militari ruandesi, di cui Kagame non sembrerebbe esserne al corrente[3] si celerebbe quello che le istituzioni congolesi denunciano da anni: Kigali mirerebbe all’appropriazione delle risorse minerarie congolesi da garantirsi attraverso il consolidamento della presenza dell’M23. Come rileva Jason Stearns le esportazioni minerarie del piccolo stato hanno superato 1 miliardo di dollari, quasi il doppio rispetto a due anni fa. Certo riforme del settore e investimenti da parte di capitali stranieri (anche dell’UE all’interno della Global Gateway Strategy) possono aver condotto ad aumento delle estrazioni, ma la provenienza di una parte dei minerali si sospetta sia di origine congolese. Lo scarso controllo della catena di approvvigionamento mineraria, la debolezza dei codici di regolamento del settore rendono complessa l’identificazione dell’origine delle materie prime.
Il coinvolgimento del Ruanda in una guerra regionale andrebbe a svantaggio della postura non solo regionale, ma anche internazionale che si sta costruendo da decenni. Negli anni ha ricevuto numerosi investimenti da Francia e Stati Uniti e Cina per citare i più famosi. Fornisce un rilevante numero di personale militare e di polizia, i suoi peacekeepers sono attivamente coinvolti nella UNMISS e nella MINUSCA; Nell’ottica di ottenere una posizione più forte all’interno delle Nazioni unite ha stretto rapporti non solo con attori regionali ma anche esterni al continente. In seno al Consiglio di sicurezza gli A3[4] di turno Algeria, Sierra Leone e Somalia e Guyana si sono opposti ad accusare apertamente le azioni di Kigali. Cosciente dell’intransigenza di Kinshasa e del disastro che la colpì quando nel 2012-13 alcuni grandi investitori sospesero i pagamenti, Kigali potrebbe avere l’intenzione di consolidare lo status quo nei due Kivu a proprio vantaggio.
Prosegue l’avvicinamento di Tshisekedi alla SADC
La convocazione da parte del capo di stato kenyota Ruto, presidente di turno dell’EAC, di meeting straordinario virtuale per discutere sugli ultimi avvicendamenti ha incontrato la resistenza di Tshisekedi, che ha declinato l’invito. Il 29 gennaio, tutti gli altri membri hanno partecipato e, durante l’incontro, il presidente ruandese, Paul Kagame, ha ribadito la necessità di risolvere la crisi attraverso un dialogo diretto tra le autorità congolesi e l’M23. Questa posizione, inaccettabile per Kinshasa, era stata già respinta durante la preparazione degli incontri a Luanda. Previsti per dicembre 2024, Kagame ha deciso di non presentarsi, facendo saltare la riunione in segno di protesta per l’intransigenza della controparte congolese.
Non risulta quindi sorprendente la mancanza di volontà da parte di Tshisekedi di dialogare con l’omologo ruandese e la sua mancata partecipazione al meeting virtuale. Tshisekedi ha preferito prendere parte all’incontro organizzato il 31 gennaio dalla SADC ad Harare, di cui fa parte anche il Sudafrica, attore il più delle volte ai ferri corti con il Ruanda. Pretoria, che ha perso una decina di peace-keepers durante l’avanza e la conquista di Goma, si sta scagliando apertamente contro Kigali e ribadisce l’integrità territoriale della RDC, dimostrandosi un solido alleato diplomatico per Kinshasa e, nell’eventualità, un forte supporto militare, rappresentando la quarta forza militare d’Africa.[5]
Summit multilaterale dai risultati tiepidi
EAC, SADC e UA (African Union) si sono riunite in un summit congiunto a Dar el Salaam il 7 e l’8 febbraio 2025. Anche in questo caso ci si è posti la solita domanda: saranno presenti Kagame e Tshisekedi? Il primo ha scelto di essere in presenza, mentre il secondo in video teleconferenza. Il comunicato finale congiunto risulta tiepido e generale: non menziona il ruolo ruandese nella crisi, ribadisce la necessità di dialogo tra le parti e il rilancio dei processi di Nairobi e Luanda. Già menzionate le tendenze politiche all’interno delle due organizzazioni regionali, l’AU ha adottato molta prudenza sulla questione, esprimendo un generale senso di preoccupazione per l’aggravamento delle tensioni tra RDC e Ruanda, appellandosi ad una generica condanna a qualsiasi supporto esterno all’M23. Come nei precedenti comunicati non viene denunciato pubblicamente l’operato di Kigali, nonostante il report del gruppo di esperti. Durante la riunione del CPS (Conseil de la paix et de la sécurité) del 14 febbraio, ha visto la Prima ministra congolese rilanciato l’appello alle sanzioni contro il Ruanda, in risposta Kagame ha risposto che la RDC deve prendersi le proprie responsabilità, dichiarando che il suo paese non ha niente a che vedere con i problemi del suo vicino. Nei prossimi giorni dovrebbe concretizzarsi un piano tecnico per un effettivo cessate il fuoco, ma non è dato sapersi se le autorità congolesi accetteranno e vorranno applicare la proposta. Non è ben chiaro se il coinvolgimento di tutte queste comunità sia un vantaggio nella risoluzione della crisi o se renderà ancora più complicato il processo di pacificazione e esacerberanno le mutue accuse di Ruanda e RDC. La diplomazia di Nairobi e Luanda sembra essere ad un binario morto: né Tshisekedi né Kagame mantengono forti le loro posizioni.
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L’M23 ha le possibilità di consolidare il potere nella regione
L’M23 non è l’unico gruppo armato che ha nidificato nella regione dei Kivu, nell’area esiste una costellazione di un centinaio di gruppi armati non statali, di cui la maggior parte è erede delle due guerre regionali combattute a cavallo tra la metà degli anni Novanta e Duemila e dell’esodo provocato dal genocidio ruandese del 1994. Un vespaio in cui si scontrano e si alleano rivendicazioni diverse e da cui partono le incursioni di gruppi armati che sfidano le autorità di Burundi, Uganda, RDC e Ruanda. Una gran parte si è costituita all’interno dell’Alliance Fleuve du Congo, coalizione politico-militare, comprendente anche l’M23. Questo protagonista degli ultimi avvenimenti nasce dalle ceneri di quelle unità uscite dall’esercito congolese e confluite nel CNDP (Congrès National pour la Défence du Peuple) in seguito al fallimento del progetto negoziale del 2009 che prevedeva la loro integrazione all’interno dell’esercito e la regolamentazione della questione della cittadinanza dei congolesi di origini ruandesi (i banyamulenge), insediati nella regione del Kivu in continue ondate a partire dal periodo precoloniale.[6] Attriti nati dal tentativo di Kabila Jr. di stanziarli in territori diversi dal Kivu, hanno convinto l’M23 ha imbracciare nuovamente le armi per poi arrestarsi nel 2013.
Sembra che questa volta la strategia adottata dal gruppo armato sia più profonda e indirizzata al rafforzamento della sua postura nei conflitti locali per la terra[7], l’autorità, le rendite provenienti dalle materie prime. Come avvenuto nei territori già sotto il loro dominio, l’intenzione è quella di creare una nuova governance locale soppiantando i rappresentanti locali delle autorità centrali, controllare le rotte commerciali strategiche, soprattutto quelle in direzione del Ruanda, instaurare un regime fiscale che possa sostenere tutta la nuova organizzazione, a tutto vantaggio di Kigali. Geograficamente, i Kivu sono due regioni con un suolo fertile per lo sviluppo delle attività agro-pastorali. Il suo sottosuolo, noto a livello mondiale, è ricco di minerali critici che attirano l’interesse non solo degli attori regionali, ma anche di quelli internazionali.
Il soppiantamento delle autorità centrali con il rafforzamento dello stato attuale gioverebbe inoltre a quegli attori internazionali interessati a trarre vantaggio dalle preziose risorse.
Dopo il cessate il fuoco unilaterale da parte dell’M23 per fare entrare gli aiuti umanitari, l’offensiva è ripresa e unità del gruppo armato si sono spinte verso sud ed è entrato a Bukavu, capoluogo del Sud Kivu.
Note
[1] UN, Letter dated 13 December 2013 from the Permanent Representative of the Democratic Republic of the Congo to the United Nations addressed to the President of the Security Council, S/2013/740, 2013
[2] Per un approfondimento sulla cooperazione tra i due attori si veda l’ultimo rapporto del gruppo di esperti per la RDC «Rapport final du Groupe d’experts sur la République démocratique du Congo», S/2024/432
[3] Si veda in merito l’intervista esclusiva rilasciata alla CNN in data 04/02/2025. https://edition.cnn.com/2025/02/03/world/video/rwanda-president-paul-kagame-drc-m23-interview-digvid
[4] A3 o African Three sono i tre membri non permanenti del Consiglio di sicurezza provenienti dal continente africano.
[5]Global Fire Power, African Military Strength (2025), 2025 https://www.globalfirepower.com/countries-listing-africa.php NB: nella classifica non sono disponibili dati per il Ruanda.
[6] Durante il regime di Mobutu si assistette ad una forte manipolazione dei requisiti per la cittadinanza che il “Leopardo” utilizzò per favorire alleati e penalizzare potenziali focolai di oppositori. I successivi governi non affronteranno mai organicamente la questione, andando ad alimentare il sentimento di esclusione dal tessuto sociale percepito dalle popolazioni residenti nei Kivu.
[7] In quest’area, la lotta per le proprietà terriere esiste fin dall’indipendenza, ma non si tratta di meri conflitti etnici o pastori/agricoltori. Questi scontri locali sono causati da politiche agricole e fondiarie incoerenti promosse nei decenni dalle autorità centrali e che hanno avuto come complici le leggi sulla nazionalità che impedivano di volta in volta ad alcuni gruppi, soprattutto ruandofoni, l’accesso alla proprietà terriera.
Foto copertina: Miliziani dell’M23 alla periferia della città orientale congolese di Kibumba – foto Ap/Moses Sawasawa